L’Italia ha destinato solo due miliardi di euro a fronte di 4,8 milioni di individui bisognosi. L’Europa è lontana.
Ultima tra i Paesi europei, anche l’Italia si è finalmente dotata di una misura di contrasto alla povertà. La diffusione della povertà estrema nel nostro Paese era divenuta d’altronde un fenomeno sempre più allarmante: nel 2016 sono quasi 4 milioni e 800mila gli individui che secondo l’Istat vivono in condizione di povertà assoluta, particolarmente diffusa tra giovani e bambini. Questi numeri -oltre alla fondamentale azione di advocacy svolta dall’Alleanza contro la povertà- hanno contribuito a porre finalmente la povertà un po’ più in alto nell’agenda politica.
E tuttavia, pur costituendo un primo passo importante, i limiti del Reddito di inclusione sociale (REI) sono evidenti. Le risorse sono poche: meno di due miliardi sui sette considerati necessari da esperti e policy-makers per alleviare almeno le condizioni di bisogno più estreme. Oltretutto, non si tratta completamente di risorse “nuove”: per provvedere a circa un terzo del finanziamento del REI, dal 2019 scomparirà l’ASDI, che forniva un sostegno importante per alcune categorie di disoccupati di lungo periodo. Insomma -almeno in parte- si tratta di una partita di giro. Questo, nonostante sia noto che nel settore della protezione del reddito per gli individui in età da lavoro, e per le loro famiglie, in Italia sia necessario investire più risorse più ancora che modificarne l’utilizzo. Ma che cosa comporta questa ristrettezza di bilancio? In primo luogo, solamente una parte ridotta degli individui in povertà estrema potranno accedere al REI. La legge prevede che solamente le famiglie in cui oltre ad essere conclamata una situazione di povertà estrema sia presente un minore, oppure un disabile, una donna in stato di gravidanza, e/o un disoccupato over 55 possano accedere al REI. La presenza di tali requisiti non conosce un corrispettivo negli schemi di contrasto alla povertà esistenti nel resto d’Europa, dove tali misure sono di regola rivolte a tutti i residenti in condizione di bisogno. La distinzione tra “poveri meritevoli e non” è d’altronde un vecchio vizio del sistema di protezione sociale italiana, che fa sì che rimangano senza alcuna rete di protezione fasce sociali fortemente indebolite dalla crisi -primi fra tutti, i giovani, ma in generale tutti gli individui in età da lavoro senza figli-. Ad oggi, nelle stime del governo riceveranno il REI solo 500mila nuclei familiari, cioè il 38% del totale della popolazione in povertà assoluta: pertanto, il 62% dei poveri ne rimarrà escluso. Una seconda criticità riguarda l’importo, poco generoso, del REI. L’ammontare massimo di tale misura è pari a 188 euro per una persona sola, e aumenta di pari passo al crescere del nucleo familiare, fino a un massimo di 485 euro per una famiglia composta da 5 persone. Non sono difficili da immaginare le difficoltà di un individuo senza altre fonti reddituali a sopravvivere con meno di duecento euro mensili, o quelle di una famiglia di 5 persone con meno di 500. Sebbene gli schemi di reddito minimo in Europa abbiano spesso problemi di adeguatezza, il caso italiano è particolarmente critico: per fare un esempio, in Spagna il reddito minimo corrisponde in media a circa 430 euro per una persona che vive sola. Insomma, l’introduzione del REI è senz’altro importante, ma occorre fare di più perché diventi davvero uno strumento in grado di proteggere chi è più in difficoltà. La Grecia ha recentemente introdotto una nuova misura, il Reddito di Solidarietà, cui sono destinate quattro volte le risorse del REI: è arrivato il momento di avvicinarsi -vista la distanza dai “soliti” Paesi scandinavi- almeno ai nostri (poveri) vicini mediterranei.
Questo articolo è stato scritto da Marcello Natili per la rubrica mensile OCIS all’interno di Altreconomia.
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