Osservatorio Coesione Sociale https://osservatoriocoesionesociale.eu Sito Osservatorio Coesione Sociale Mon, 15 Apr 2024 10:56:54 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.3.18 OCIS in Movimento. Nuovo ciclo di conversazioni su Coesione e Inclusione Sociale 2024 https://osservatoriocoesionesociale.eu/osservatorio/news/ocis-in-movimento-nuovo-ciclo-di-conversazioni-su-coesione-e-inclusione-sociale-sostenibilita-cultura-e-disuguaglianze-futuro-pari-opportunita-2024/ https://osservatoriocoesionesociale.eu/osservatorio/news/ocis-in-movimento-nuovo-ciclo-di-conversazioni-su-coesione-e-inclusione-sociale-sostenibilita-cultura-e-disuguaglianze-futuro-pari-opportunita-2024/#respond Mon, 15 Apr 2024 10:52:17 +0000 https://osservatoriocoesionesociale.eu/?p=8598 Dal 14 marzo al 27 novembre l’Osservatorio Internazionale per la Coesione e l’Inclusione Sociale organizza un ciclo di incontri dal titolo “OCIS in Movimento. Nuovo ciclo di conversazioni su Coesione e Inclusione Sociale: sostenibilità, cultura e disuguaglianze, futuro, pari opportunità 2024” in collaborazione con la Scuola Normale Superiore, di Pisa-Firenze.

 

Scopri di più

]]>
https://osservatoriocoesionesociale.eu/osservatorio/news/ocis-in-movimento-nuovo-ciclo-di-conversazioni-su-coesione-e-inclusione-sociale-sostenibilita-cultura-e-disuguaglianze-futuro-pari-opportunita-2024/feed/ 0
Elezioni locali del 2024 in Turchia: Cosa viene dopo? https://osservatoriocoesionesociale.eu/osservatorio/elezioni-locali-del-2024-in-turchia-cosa-viene-dopo/ https://osservatoriocoesionesociale.eu/osservatorio/elezioni-locali-del-2024-in-turchia-cosa-viene-dopo/#respond Thu, 11 Apr 2024 09:43:26 +0000 https://osservatoriocoesionesociale.eu/?p=8583 Commento n.2 – Aprile 2024. Di Deniz Nihan Aktan, Scuola Normale Superiore

Elezioni locali del 2024 in Turchia: Cosa accadrà dopo la vittoria dell’opposizione? Quale inclusività di varie minoranze della società civile? Mentre il risultato è stato un’ovvia sconfitta per l’AKP, i suoi impatti sui partiti di opposizione e sulla società civile non sono ancora così evidenti.

I risultati elettorali sono senza dubbio serviti come rimedio rapido e necessario contro il sentimento diffuso di disperazione e apatia nella maggioranza della popolazione in Turchia, visto che il regime autoritario si era assicurato il potere con la vittoria delle elezioni generali di meno di un anno fa. Sebbene gli oppositori del governo abbiano apprezzato i risultati incoraggianti, la gioia si è mescolata ad un certo livello di cautela poiché questa vittoria ha inevitabilmente ricordato a molti le elezioni generali del 7 giugno 2015.

In quelle elezioni generali, l’AKP è stato il partito più votato ma ha perso la maggioranza in parlamento, mentre il Partito pro-curdo HDP ha ottenuto il 13% dei voti e ha superato la soglia del 10% per entrare in parlamento. Poiché non è stato possibile formare una coalizione, il 1° novembre si sono svolte le seconde elezioni generali, che hanno visto la netta vittoria dell’AKP con il 49% dei voti. Nel periodo tra queste due elezioni, i negoziati di pace tra il governo turco e il movimento curdo si sono fermati. Questo arresto si è riflesso nel cambiamento del discorso del governo contro l’HDP e nella crescente violenza contro la popolazione curda del paese. Nello stesso periodo sono stati attaccati anche i comizi elettorali e gli edifici del partito dell’HDP[1]. Con gli incidenti del periodo successivo, come i bombardamenti, il tentativo di colpo di Stato e lo stato di emergenza durato 728 giorni, l’approccio securitario e militarizzante dello Stato si è fatto sentire nella vita quotidiana di gran parte della società.

Analogamente a quanto accaduto in quel periodo, sia durante che dopo le elezioni del 31 marzo 2024, il governo ha cercato di ignorare la volontà dell’opposizione. Oltre ad altre significative vittorie in 10 comuni cittadini e in 65 comuni distrettuali, il Partito pro-curdo DEM ha ottenuto più del 55% dei voti di Van. Tuttavia, due giorni dopo le elezioni, uno dei co-sindaci, Abdullah Zeydan, è stato privato del diritto di essere eletto dalla commissione elettorale provinciale di Van. Inoltre, l’autorità di sindaco è stata assegnata al candidato dell’AKP che è arrivato secondo con solo il 27,14% dei voti. Mentre il popolo di Van e i membri del partito DEM si sono mobilitati rapidamente contro questa decisione, si è iniziato a dubitare la capacità degli altri partiti, in particolare il principale partito di opposizione CHP, di dimostrare il loro discorso inclusivo, che ha contribuito alla loro vittoria, oltre la retorica.

Queste pratiche illegali non si sono limitate a Van. In città come Bitlis e Şırnak, dove il partito DEM aveva un’alta probabilità di vincere, ci sono stati casi in cui il risultato è stato cambiato a favore dell’AKP a causa dello spostamento di persone da province diverse o di voti ritenuti non validi. Sempre in questi giorni, nei comuni che stanno per passare al CHP dall’AKP, vengono tracciati acquisti e trasferimenti di denaro molto rapidi e di grande entità prima del passaggio di consegne, il che viene interpretato come rivelatore della portata della corruzione da parte delle precedenti amministrazioni.

Molti partiti politici e una parte significativa della società hanno reagito rapidamente contro la pratica illegale di Van. Cosi facendo, non hanno contribuito all’ulteriore criminalizzazione del popolo curdo, che è una pratica strategica a cui il governo è abituato a ricorrere per mobilitare sentimenti nazionalisti. Il 3 aprile il Consiglio elettorale supremo (YSK) ha consegnato ancora una volta il certificato di elezione ai candidati del partito DEM. Questa vittoria e la sua percezione all’interno dell’opposizione più ampia potrebbero fornire i primi segnali di una trasformazione post-elettorale verso un ambiente più democratico. Ciò potrebbe essere interpretato come un indebolimento dell’impatto di due delle strategie più fidate del governo: attuazione della retorica del “terrore” e criminalizzazione delle proteste di piazza.

La democratizzazione è un processo; tuttavia, la sconfitta del partito al potere dopo due decenni e le conquiste politiche successive hanno ripristinato la fiducia e la speranza nel cambiamento sociale e politico in gran parte dell’opposizione. Al contempo, è troppo presto per dichiarare l’indebolimento dell’impatto della retorica odiosa del governo contro i gruppi emarginati e le minoranze, visto che il partito islamico YRP, che ha anche dichiarato che chiuderà le associazioni LGBTI+, è diventato il terzo partito con il maggior numero di voti.

Durante questi giorni post-elettorali, abbiamo anche assistito alla detenzione di donne e persone LGBTI+, che sono tra i pochi gruppi che non sono indietreggiate nonostante il clima politico oppressivo dell’ultimo decennio del Paese. Il 2 aprile, le donne trans e lɜ loro alleatɜ volevano organizzare un iftar[2] in via Bayram, nel quartiere Beyoğlu a Istanbul, dove le donne trans vivevano e lavoravano fino a quando il comune distrettuale ha sigillato le loro case un mese fa[3] Otto persone sono state arrestate e rilasciate nelle ore successive. Il 4 aprile, nel corso della protesta femminista in solidarietà con Van, 54 persone sono state arrestate e tutte rilasciate a tarda notte.

Il fatto che tali violazioni non costituiscano un’eccezione nel contesto politico odierno rivela che i risultati elettorali siano solo una fermata nel percorso verso la democratizzazione. Tuttavia, questi risultati possono fornire alla società sopraffatta la motivazione e la fiducia necessarie per continuare a lottare contro la mentalità che normalizza i fiduciari nominati che si appropriano della volontà del popolo, la corruzione negli organi governativi e la securizzazione della vita quotidiana. La solidarietà e la cooperazione per un cambiamento sociale dovrebbero tenere conto delle asimmetrie di potere. Le urne elettorali non offrono soluzioni facili per alcuni gruppi emarginati che devono ancora lottare per i loro diritti fondamentali come il diritto alla vita, all’alloggio, al lavoro, il diritto di voto e di eleggibilità. Le molteplici storie di resistenza del paese possono offrire importanti lezioni e fonti di ispirazione.

 

[1] O’Connor, F., & Baser, B. (2018). Communal violence and ethnic polarization before and after the 2015 elections in Turkey: attacks against the HDP and the Kurdish population. Southeast European and Black Sea Studies, 18(1), 53–72.

[2] Il pasto serale con cui si interrompe il digiuno quotidiano durante il mese di Ramadan.

[3] https://kaosgl.org/en/single-news/violation-of-rights-against-lgbti-s-in-march-trans-women-s-houses-were-sealed-bayram-street-12-platform-made-a-call-for-solidarity

 

Deniz Nihan Aktan è una dottoranda presso la Classe di Scienze Politiche e Sociali della Scuola Normale Superiore e membro del Center on Social Movements Studies (COSMOS). Da diversi anni, sia in ambienti accademici che attivisti, lavora e scrive sulle politiche della sessualità nei campi di calcio e sulla mobilitazione deɜ atletɜ-attivistɜ queer-femministɜ per il loro diritto allo sport.

Scarica il Commento in pdf

]]>
https://osservatoriocoesionesociale.eu/osservatorio/elezioni-locali-del-2024-in-turchia-cosa-viene-dopo/feed/ 0
La mancata riforma delle Rsa, nonostante la pandemia https://osservatoriocoesionesociale.eu/osservatorio/la-mancata-riforma-delle-rsa-nonostante-la-pandemia/ https://osservatoriocoesionesociale.eu/osservatorio/la-mancata-riforma-delle-rsa-nonostante-la-pandemia/#respond Wed, 10 Apr 2024 15:39:54 +0000 https://osservatoriocoesionesociale.eu/?p=8572 Ae n.269, aprile 2024

La mancata riforma delle Rsa, nonostante la pandemia.

Tra marzo e aprile 2020 il Covid-19 ha causato più di 15mila morti nelle strutture. Anche se le condizioni restano difficili, chiuderle non è la soluzione

Inserita nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) per rinnovare un sistema messo a dura prova dal Covid-19, la riforma della non autosufficienza è stata finalmente adottata nel 2023. Nello studio “Cronaca di una strage nascosta. La pandemia nelle case di riposo” (Mimesis, 2023) ho messo a fuoco i problemi che hanno avviato il processo di riforma, ricostruendo “la strage nascosta” nelle residenze sanitarie per anziani (Rsa) nei primi mesi della crisi sanitaria globale. Tra marzo e aprile 2020 le “morti in eccesso” registrate in queste strutture furono 15.600: un terzo dell’intera mortalità da Covid-19 in quel periodo. Colpisce che la contabilità di quei decessi fosse completamente sfuggita alle statistiche ufficiali, sulla cui base le autorità di governo presero le misure emergenziali durante le prime ondate pandemiche. Senza dati, quale politica fu possibile adottare? Come illustrato nel volume, in quei due mesi terribili il virus che si diffuse silenziosamente nelle case di riposo aggredì moltissimi residenti causando un numero estremamente elevato di decessi non registrati nelle statistiche ufficiali, provocando la protesta di parenti e lavoratori delle Rsa nonché, infine, l’apertura di varie inchieste giudiziarie (alcune delle quali ancora in corso). Solo il 5 aprile 2020, la “strage nascosta” irruppe sui media a seguito di un’inchiesta giudiziaria sul Pio Albergo Trivulzio, la più importante istituzione assistenziale di Milano. Come poté accadere? Non fu solo fatalità: in altri Paesi, in condizioni molto simili, i decessi furono molto meno. E colpisce
inoltre l’assenza di informazioni e conoscenze sulle Rsa prima e durante la pandemia. In questo quadro non stupisce che la regolamentazione emergenziale si sia dimostrata molto lacunosa: mentre in Italia chiudevano scuole e stadi, le residenze per anziani restavano aperte alle visite dei parenti; il turn-over degli operatori aumentava invece di ridursi; le mascherine non furono rese disponibili così come i test diagnostici, utili a curare i malati e proteggere i sani. La pandemia ha dunque messo a nudo la marginalità di queste strutture all’interno del Servizio sanitario nazionale,
nei rapporti di potere sbilanciati all’interno della governance delle decisioni pubbliche, a cui corrispondono inevitabilmente standard di qualità inadeguati, ridotti finanziamenti pubblici, assenza di controlli. Se oggi le vaccinazioni di massa hanno sventato il pericolo di nuove stragi, le condizioni di lavoro e di vita in queste strutture sono rimaste invariate, con livelli molto bassi di sicurezza e di qualità delle prestazioni. Né si è più parlato di una riforma delle case di riposo. Il Pnrr, la successiva Legge Delega sugli anziani e il decreto delegato approvato l’11 marzo 2024 sono state occasioni perse. L’idea oggi dominante è che sia stata proprio un’eccessiva “istituzionalizzazione” degli anziani ad aver contribuito alla strage e che la soluzione, dunque, stia nel chiudere
le case di riposo. In realtà, un ridimensionamento del sistema delle Rsa sarebbe un rimedio peggiore del male che si intende abolire. Per gran parte delle persone che vi risiedono (anziani over
85 afflitti da multi-morbilità o da disagio cognitivo) non esistono alternative reali perché la loro disabilità è troppo grave, i familiari non ci sono e altre soluzioni (inclusa la badante) non sono più possibili. Chi sostiene la necessità di chiudere queste strutture condanna molti anziani non autosufficienti a un ricovero improprio oppure obbliga le famiglie, quando presenti, a un surplus di cura e di sofferenza. Soprattutto, aumenta l’insicurezza dei più fragili, esposti alla mancanza di un’adeguata tutela sanitaria. Se qualcosa possiamo imparare dalla pandemia, per il nostro futuro e non solo per risarcire gli oltre 15mila morti, è di ridare valore al sistema delle residenze, fissando una responsabilità nazionale conseguente all’identificazione delle Rsa come Livello essenziale di assistenza.

 

Questo articolo è stato scritto da Costanzo Ranci per la rubrica mensile OCIS all’interno di Altreconomia.

Scarica l’articolo in pdf

]]>
https://osservatoriocoesionesociale.eu/osservatorio/la-mancata-riforma-delle-rsa-nonostante-la-pandemia/feed/ 0
Non autosufficienza: la riforma (per ora) non si farà https://osservatoriocoesionesociale.eu/osservatorio/non-autosufficienza-la-riforma-per-ora-non-si-fara/ https://osservatoriocoesionesociale.eu/osservatorio/non-autosufficienza-la-riforma-per-ora-non-si-fara/#respond Wed, 10 Apr 2024 15:30:46 +0000 https://osservatoriocoesionesociale.eu/?p=8565 Ae n.268, marzo 2024

Non autosufficienza: la riforma (per ora) non si farà.

Tre aspetti centrali della legge delega non trovano attuazione adeguata nel nuovo decreto. Una situazione che si somma all’assenza di risorse finanziarie

La “Legge Delega per la non autosufficienza” (numero 33/2023) disponeva alcuni passaggi fondamentali: un sistema integrato (sanità e assistenza) di prestazioni long-term care (Ltc) dotato di una governance unificata e riconoscibile; un sistema di accesso e valutazione del bisogno unificato e standardizzato a livello nazionale; un nuovo servizio di assistenza domiciliare che superasse il dualismo tra servizi sanitari e assistenziali; la riforma dell’indennità di accompagnamento tramite l’introduzione di una “Prestazione universale” che doveva prevedere una graduazione della misura in base al bisogno e una “opzione servizi” in alternativa al semplice trasferimento monetario. Il decreto attuativo sviluppa l’avvio di un sistema nazionale di valutazione della non autosufficienza in grado di superare l’estrema frammentazione dei percorsi attuali di accesso alle prestazioni long-term care. La giungla infinita di procedure amministrative sarà superata da un nuovo sistema che prevede due soli passaggi: una valutazione nazionale sulla base di strumenti standardizzati e una regionale finalizzata alla stesura di un Piano assistenziale individuale. Gli altri tre aspetti centrali della riforma, invece, non trovano un’attuazione adeguata, a partire dalla costruzione di un sistema integrato. La legge di riforma, infatti, prevedeva l’istituzione del Sistema nazionale per la popolazione anziana non autosufficiente (Snaa) e una programmazione integrata di tutti gli interventi a titolarità pubblica. Il decreto ne riduce l’ambito agli interventi socioassistenziali, confermando il dualismo tra assistenza e sanità ereditato dal passato. Per quanto riguarda l’assistenza domiciliare, invece di integrare i servizi esistenti di carattere sanitario e sociale, il decreto si limita a prevederne il coordinamento, evitando di definire aspetti cruciali quali la durata dell’assistenza e le professionalità da coinvolgere. Non c’è stata la riforma dell’indennità di accompagnamento, che resta del medesimo importo, limitandosi ad avviare una sperimentazione biennale della nuova “Prestazione universale”: una misura aggiuntiva, pari a 800 euro mensili, a cui potranno accedere i beneficiari dell’indennità di accompagnamento over 80, in condizioni certificate come “gravissime” e con Isee inferiore a seimila euro annuali.

Il dispositivo fa un importante passo in avanti e due passi indietro. Da un lato, la “Prestazione universale” deve essere obbligatoriamente convertita in servizi di cura, anche forniti da una badante assunta regolarmente: non più cash, ma solo servizi. Dall’altro, nonostante la prestazione sia “universale”, l’accesso è consentito sulla base di una “prova dei mezzi”: un grave arretramento rispetto all’indennità di accompagnamento, che viene erogata indipendentemente dal reddito, riconoscendo il diritto alla cura come un bene primario di cittadinanza. Il secondo passo indietro è che la nuova misura è aggiuntiva dell’indennità e non prevede, come invece è scritto nella legge 33/2023, che questa venga riassorbita nella nuova misura. Prevedendo due opzioni -una cash, solo trasferimento monetario svincolato, come è attualmente, e l’altra cash for care, opzione servizi, con importo aumentato e utilizzabile solo per accedere a servizi di cura- la norma avrebbe creato le premesse per una forte crescita dell’offerta di servizi al posto del sistema attuale, fondato esclusivamente su trasferimenti monetari che lasciano la cura al “fai-da-te” delle famiglie.
Configurandosi invece come un’aggiunta per pochissimi, la “Prestazione universale” non potrà mai essere ampliata all’intera platea dei non autosufficienti, finendo per diventare un intervento di nicchia destinato ad aumentare la complessità del sistema. La legge 33/2023 sugli anziani aveva sollecitato molte aspettative sulla possibilità che trovasse sbocco la tanto attesa riforma del sistema italiano di long-term care. Il decreto attuativo, coniugato con l’assenza di risorse finanziarie allocate sulla non autosufficienza, segnala che la riforma annunciata per ora non si farà.

 

Questo articolo è stato scritto da Costanzo Ranci per la rubrica mensile OCIS all’interno di Altreconomia.

Scarica l’articolo in pdf

]]>
https://osservatoriocoesionesociale.eu/osservatorio/non-autosufficienza-la-riforma-per-ora-non-si-fara/feed/ 0
Il nuovo assegno di inclusione farà crescere la povertà https://osservatoriocoesionesociale.eu/osservatorio/il-nuovo-assegno-di-inclusione-fara-crescere-la-poverta/ https://osservatoriocoesionesociale.eu/osservatorio/il-nuovo-assegno-di-inclusione-fara-crescere-la-poverta/#respond Wed, 10 Apr 2024 15:25:13 +0000 https://osservatoriocoesionesociale.eu/?p=8557 Ae n.267, febbraio 2024

Il nuovo assegno di inclusione farà crescere la povertà.

La riforma voluta dal Governo Meloni ha reso categoriale l’accesso al “reddito minimo”. Riducendo il numero di famiglie beneficiarie e gli importi medi. Pessima idea

Dal primo gennaio 2024 non esiste più il reddito di cittadinanza (Rdc), sostituito dall’assegno d’inclusione (Adi). Entrambe le misure sono dei “redditi minimi”, cioè prestazioni finalizzate al contrasto della povertà per coloro che soddisfano precisi requisiti relativi al reddito e al patrimonio familiare. Se si eccettua un vincolo di residenza in Italia particolarmente stringente (dieci anni di cui due continuativi), il Rdc era concesso a tutti i nuclei in condizione di bisogno (certificata tramite una “prova dei mezzi”) mentre l’Adi viene erogato solo a quelli in cui è presente almeno un componente nelle seguenti condizioni: minorenne, con disabilità, over 60 o inserito in programmi di assistenza dei servizi territoriali. Le altre famiglie “povere” non sono dunque ritenute meritevoli di sostegno; per loro l’unica prestazione prevista è un assegno mensile da 350 euro (“Supporto per la formazione e il lavoro”) di cui possono beneficiare per un massimo di 12 mesi, non rinnovabili, i membri che partecipino a una politica attiva del lavoro. La riforma voluta dal Governo Meloni ha dunque reso “categoriale” l’accesso al reddito minimo in Italia, al contrario di quanto avviene in altri Paesi dell’Unione europea dove il sostegno monetario ai poveri si basa sul principio dell’universalismo selettivo, in base al quale vengono tutelati tutti coloro che superano la prova dei mezzi, indipendentemente da ogni altra condizione (ad esempio, la composizione della famiglia). Inoltre, altre modifiche hanno reso più complicato soddisfare i requisiti di accesso anche per alcuni nuclei “meritevoli”: la soglia di reddito per chi vive in affitto è stata ridotta da 9.360 a 6.000 euro ed è stata modificata la scala di equivalenza, necessaria per valutare il reddito di nuclei di diversa dimensione, eliminando dal calcolo i componenti in età attiva (oltre il primo) che non hanno responsabilità di cura (ad esempio i figli di età inferiore a tre anni o di almeno tre minori). Ne discende un minor valore della scala, che rende più difficile rispettare il requisito di accesso e, anche quando lo si rispetta, comporta una riduzione della prestazione.
Al contrario, la riforma ha introdotto miglioramenti per le famiglie in cui sono presenti persone con disabilità e prevedendo la piena cumulabilità tra l’Adi e l’assegno unico per i figli, bambini con meno di tre anni o almeno tre minori. Negli altri casi la mancata considerazione dell’adulto nella scala di equivalenza compensa ampiamente il cumulo con l’assegno unico. Infine, il requisito di residenza in Italia è stato ridotto da dieci a cinque anni.
Questi cambiamenti causano una riduzione del numero di nuclei eleggibili al reddito minimo e, in media, una contrazione dell’importo delle prestazioni erogate, facendo così aumentare la povertà. Aspettative di questa natura sono chiaramente confermate dallo studio “La revisione delle misure di contrasto alla povertà in Italia” realizzato da tre ricercatori della Banca d’Italia (Giulia Bovini, Emanuele Dicarlo e Antonella Tomasi) che hanno simulato gli effetti distributivi della riforma.
I risultati sono eloquenti nella loro drammaticità. Il tasso di copertura potenziale del reddito minimo, ovvero il numero di nuclei che rispettano tutti i requisiti, si riduce del 43% e le famiglie eleggibili scendono da 2,1 a 1,2 milioni. Il numero di quelle escluse è elevato sia tra gli italiani (-40%) sia tra gli stranieri (-65%); questi ultimi, a fronte dell’allentamento del requisito di residenza, sono penalizzati dai requisiti categoriali dell’Adi. Infine il reddito del decile più povero diminuirebbe in media dell’11%. Tutto ciò ha chiari effetti sulla povertà: mentre il Rdc contribuiva a ridurre l’incidenza di quella assoluta fra le famiglie (dall’8,9% al 7,5%) la sostituzione con l’Adi dovrebbe far risalire questo valore all’8,3%. La povertà, già in forte crescita in Italia anche a causa dell’impennata inflazionistica, tenderà quindi ad aumentare anche a causa delle scelte dell’attuale governo.

 

Questo articolo è stato scritto da Michele Raitano per la rubrica mensile OCIS all’interno di Altreconomia.

Scarica l’articolo in pdf

]]>
https://osservatoriocoesionesociale.eu/osservatorio/il-nuovo-assegno-di-inclusione-fara-crescere-la-poverta/feed/ 0
L’housing first nel Pnrr: tra innovazioni e occasioni mancate https://osservatoriocoesionesociale.eu/osservatorio/lhousing-first-nel-pnrr-tra-innovazioni-e-occasioni-mancate/ https://osservatoriocoesionesociale.eu/osservatorio/lhousing-first-nel-pnrr-tra-innovazioni-e-occasioni-mancate/#respond Wed, 10 Apr 2024 15:20:24 +0000 https://osservatoriocoesionesociale.eu/?p=8551 Ae n.266, gennaio 2024

L’housing first nel Pnrr: tra innovazioni e occasioni mancate.

Quelli che verranno messi in atto sono progetti di accoglienza temporanea per le persone senza dimora. Una proposta molto lontana dall’approccio originale

Con 450 milioni di euro e un target di 25mila persone in situazione di grave deprivazione materiale a cui offrire soluzione abitative, l’housing first è entrato a pieno titolo nella programmazione della missione 5 (“Inclusione e coesione”) del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). La decisione di inserire nel piano la protezione e il sostegno alle persone senza dimora in un’ottica di inclusione, invece che di mera assistenza, è senz’altro un importante risultato. Secondo l’ultimo censimento Istat, nel 2021 le persone senza tetto e senza dimora in Italia erano 96.197, concentrate soprattutto a Roma (23%), Milano (9%), Napoli (7%) e Torino (4,6%). Una fotografia, tuttavia, solo parziale del fenomeno della grave marginalità, a causa del criterio meramente amministrativo adottato, quello dell’iscrizione anagrafica. Si rimanda alla Federazione italiana organismi per le persone senza dimora (fio.PSD, fiopsd.org) per una spiegazione più approfondita della difficoltà nella raccolta dei dati su questo fenomeno. A lungo la grave marginalità delle persone in età adulta e la condizione dei senza dimora sono state assenti dall’agenda nazionale, affidando di fatto la responsabilità a livello locale. Solo nel 2016 il ministero del Lavoro e delle politiche sociali ha messo a disposizione i primi 50 milioni di euro. L’approccio housing first (di cui avevamo parlato sul numero di gennaio 2022 di Altreconomia) innova radicalmente la tradizionale modalità operativa dei servizi sociali, offrendo prima di tutto un alloggio e un accompagnamento personalizzato. Risposte emergenziali come gli interventi limitati a mense e dormitori sono insufficienti e il periodo del lockdown ha reso ancora più evidente quanto sia importante avere una casa sicura in cui poter vivere stabilmente. Non è quindi un caso che un piano così ambizioso per le persone senza dimora sia emerso proprio in conseguenza alla crisi pandemica che ha enormemente complicato gli ingressi nei dormitori a causa del rischio contagi. Tutto bene dunque? Non proprio. Dai documenti del Pnrr emerge una commistione che non è solo linguistica: le espressioni housing temporaneo e housing first vengono utilizzate come sinonimi, sebbene rimandino ad approcci non omologabili.

Il secondo approccio, infatti, per sua natura non prevede un “termine” nell’accompagnamento e nella possibilità di usufruire di un alloggio. Anzi, proprio l’assenza di una scadenza del periodo di supporto ne è diventato l’elemento qualificante. Gli interventi finanziati dal Pnrr sono invece una forma di accoglienza temporanea, che fissa in 24 mesi il tempo massimo di utilizzo degli appartamenti messi a disposizione dai Comuni. La distanza tra i due approcci e la difficoltà per molti ambiti territoriali sociali di elaborare progetti coerenti con la metodologia dell’housing first sono emerse con particolare evidenza in fase di manifestazione di interesse per la presentazione dei progetti da finanziare. Dovendo scegliere tra avviare (o consolidare) progetti housing first oppure adottare soluzioni di housing temporaneo molti territori hanno infatti optato per questa seconda scelta, più vicina alle soluzioni tradizionali, e proprio per questo non comparabile a una metodologia efficace e validata da anni di studi ed esperienza sul campo. Oggi il Pnrr sta rappresentando, per molti territori, una sfida straordinaria per l’incentivo a studiare e mappare il fenomeno, programmare e progettare interventi, costruire alleanze strategiche tra enti pubblici territoriali e Terzo settore. Proprio per questo poteva rappresentare un’occasione preziosa per promuovere l’adozione diffusa dell’approccio housing first coerente con la metodologia originale.

Questo articolo è stato scritto da Francesca Campomori e Giuseppe Dardes per la rubrica mensile OCIS all’interno di Altreconomia.

Scarica l’articolo in pdf

 

]]>
https://osservatoriocoesionesociale.eu/osservatorio/lhousing-first-nel-pnrr-tra-innovazioni-e-occasioni-mancate/feed/ 0
Il congedo di paternità in Spagna: un passo verso il modello dual earner/ dual carer? https://osservatoriocoesionesociale.eu/osservatorio/il-congedo-di-paternita-in-spagna-un-passo-verso-il-modello-dual-earner-dual-carer/ https://osservatoriocoesionesociale.eu/osservatorio/il-congedo-di-paternita-in-spagna-un-passo-verso-il-modello-dual-earner-dual-carer/#respond Wed, 10 Apr 2024 14:32:41 +0000 https://osservatoriocoesionesociale.eu/?p=8541 SOCIAL COHESION PAPER n.2 – Aprile 2024 – Di Alice Biscuola, Università degli Studi di Milano

Il Quaderno si concentra sulle politiche di conciliazione tra vita personale e lavorativa, con particolare attenzione all’impatto sulle disuguaglianze di genere, muovendosi su due piani. Da un lato, mira ad analizzare le politiche di conciliazione in una prospettiva degenderizzante, cioè valutando se (e quanto) esse contribuiscano a decostruire i ruoli di genere, o se al contrario non riescano a sollevare le madri dal ruolo di prime responsabili degli obblighi famigliari. Dall’altro, il lavoro approfondisce le dinamiche politiche che plasmano lo sviluppo di tali misure di conciliazione.

Per anni, infatti, il disegno delle politiche di conciliazione ha avuto come effetto la riproduzione del modello patriarcale di divisione del lavoro, che impone alle donne la cura dei figli e delle figlie, e agli uomini il ruolo di procacciatori di reddito per il nucleo famigliare. Più recentemente, a partire dai paesi nord europei e successivamente nel resto del Vecchio Continente, il discorso pubblico sulla conciliazione sembra aver assunto una connotazione più egalitaria.

Questo possibile cambio di paradigma verrà analizzato con specifico riferimento all’evoluzione del congedo di paternità negli ultimi due decenni in Spagna, un paese che fino a tempi recenti ha presentato i tratti tipici del modello di welfare sud Europeo, tra cui il sottosviluppo di servizi sociali e misure di assistenza sociale e, soprattutto, un marcato “familismo di default” – cioè un debole investimento pubblico nel settore della conciliazione, per cui i relativi bisogni rimangono a carico delle famiglie quali erogatrici di welfare.

 

Scarica il Social Cohesion Paper completo

]]>
https://osservatoriocoesionesociale.eu/osservatorio/il-congedo-di-paternita-in-spagna-un-passo-verso-il-modello-dual-earner-dual-carer/feed/ 0
Elezioni locali del 2024 in Turchia: la rinascita della socialdemocrazia https://osservatoriocoesionesociale.eu/osservatorio/elezioni-locali-del-2024-in-turchia-la-rinascita-della-socialdemocrazia/ https://osservatoriocoesionesociale.eu/osservatorio/elezioni-locali-del-2024-in-turchia-la-rinascita-della-socialdemocrazia/#respond Fri, 05 Apr 2024 14:28:49 +0000 https://osservatoriocoesionesociale.eu/?p=8534 Commento n.1 – Aprile 2024. Di Batuhan Eren, Scuola Normale Superiore

La Turchia ha vissuto una notte storica per la cultura democratica del Paese, nelle recenti elezioni amministrative del 31 marzo 2024. Le elezioni hanno portato a una vittoria rivoluzionaria per le forze di opposizione del Paese: per la prima volta dal 1977, il principale partito di opposizione socialdemocratico e progressista CHP (Cumhuriyet Halk Partisi; Partito Popolare Repubblicano) ha ottenuto la vittoria del voto popolare in un’elezione, conquistando il 37,8% degli elettori. Il partito conservatore di governo AKP (Adalet ve Kalkınma Partisi; Partito della Giustizia e dello Sviluppo), invece, ha ottenuto il 35,5% dei voti, diventando il secondo partito, in un’elezione, per la prima volta dalla sua fondazione nel 2002. Mentre l’AKP ha perso il 7,3% dei voti dalle ultime elezioni locali del 2019, il CHP è riuscito ad aumentare i suoi voti del 7,7 %.
Alle elezioni, il candidato del CHP Ekrem İmamoğlu è stato rieletto sindaco di Istanbul con il 51% dei voti, nonostante la campagna elettorale dell’AKP in cui il governo ha utilizzato tutti i mezzi mediatici e 16 ministri hanno partecipato attivamente contro di lui. Imamoğlu può essere considerato il candidato più forte per diventare il giovane leader delle forze di opposizione in Turchia con la sua posizione socialdemocratica e un discorso politico contro la polarizzazione. Allo stesso modo, il candidato del CHP Mansur Yavaş, con la sua posizione anti-corruzione e il suo programma di politica sociale, ha battuto un record storico ed è stato rieletto sindaco della capitale Ankara con il 60% dei voti. Vincendo in 35 province su 81, il CHP governerà quindi le città con oltre il 60% della popolazione e l’80% delle fonti economiche del Paese. Anche il partito filo curdo DEM (Halkların Eşitlik ve Demokrasi Partisi; Partito dell’Uguaglianza e della Democrazia dei Popoli) è riuscito a ottenere un risultato positivo, soprattutto nelle regioni orientali del Paese. Nonostante la crescente repressione attraverso la nomina non democratica di fiduciari non eletti nella maggior parte dei comuni democraticamente conquistati dal 2019, il partito DEM ha vinto le elezioni in 10 città. Poiché il numero di donne sindaco è raddoppiato in tutto il Paese, le elezioni locali hanno segnato una vittoria significativa per la socialdemocrazia.
Considerando l’apatia politica tra i sostenitori dei partiti di opposizione dopo la perdita delle recenti elezioni presidenziali contro il presidente Erdoğan nel 2023, pochi osavano sperare in una simile vittoria in Turchia. Nonostante l’impatto devastante del forte terremoto di febbraio e la crisi economica in corso, Erdoğan è riuscito ad assicurarsi il posto di presidente nel maggio 2023 ottenendo il 52,2% dei voti contro Kemal Kılıçdaroğlu, presidente del CHP e candidato delle forze di opposizione. La decisione del leader del CHP di rimanere al suo posto fino alle elezioni del congresso del partito, invece di dimettersi immediatamente, ha fatto perdere il sostegno al partito a molti elettori del CHP. In queste circostanze, la storica vittoria sotto la guida di Özgür Özel, eletto nuovo presidente del CHP a novembre, solo un paio di mesi fa prima delle elezioni locali, è considerata da molti un risultato inaspettato.
È ancora presto per ipotizzare le ragioni sociali, politiche ed economiche di questo importante cambiamento nel contesto politico turco, ma ci sono stati alcuni indicatori di questo risultato che dovrebbero essere ulteriormente indagati. Con un tasso di inflazione intorno al 70% e il deprezzamento della lira turca al punto che 1 euro equivale a 35 lire, la crisi economica in corso sembra essere efficace nel modificare le preferenze degli elettori. Il fatto che l’AKP di Erdoğan non sia riuscito a superare l’impatto devastante della crisi nonostante la presidenza e la maggioranza parlamentare, fa sì che molti sostenitori dell’AKP, compresi i pensionati e la classe operaia conservatrice, prendano le distanze dall’AKP. I risultati mostrano che il partito ultraconservatore YRP (Yeniden Refah Partisi), alleato di Erdogan alle elezioni generali del 2023 ma che ha deciso di correre da solo alle elezioni locali, è riuscito ad attrarre parte di questo gruppo di elettori. Con le sue critiche ai continui accordi commerciali dell’AKP con Israele e agli effetti della crisi economica, la sua retorica che privilegia i valori islamici e la sua rigida posizione contro i diritti LGBT+, l’uguaglianza di genere e le politiche di vaccinazione COVID-19, questo partito è diventato di recente un’alternativa conservatrice per esprimere l’insoddisfazione verso l’AKP e ha ricevuto il 6,2% dei voti. In questo contesto di crisi, il principale partito di opposizione CHP, con il suo nuovo leader e i sindaci di Istanbul e Ankara che godono di fiducia pubblica, è riuscito ad attrarre nuovi elettori dai partiti di entrambi i blocchi di governo e di opposizione. Le politiche sociali redistributive di İmamoğlu e Yavaş, l’enfasi sulla lotta alla corruzione, la responsabilità pubblica e la trasparenza e il discorso politico depolarizzante del loro periodo da sindaci hanno giocato un ruolo importante nel rafforzare la fiducia nell’opposizione in tutto il Paese. Le forti critiche del leader del CHP Özel all’AKP per le pratiche nepotiste e corporative, la sua enfasi sull’impoverimento e il suo appello per una “Alleanza per la Turchia” inclusiva e pluralista sembrano risuonare anche con gli elettori curdi, nazionalisti laici e conservatori moderati degli altri partiti. Questo sostegno è comprensibile se si considera che questi elettori di opposizione erano già stati incoraggiati a votare per gli alleati dei loro partiti a causa delle alleanze strategiche tra i partiti nelle elezioni generali del 2003. Questo cambiamento nelle pratiche di voto potrebbe avere un impatto positivo sull’aumento significativo dei voti del CHP.
In un contesto politico in cui l’estrema destra è in ascesa in Europa, la svolta della Turchia verso una socialdemocrazia progressista dopo 22 anni di governo imbattuto dell’AKP è significativa non solo per la storia democratica del Paese, ma anche per le lotte democratiche nella regione. È fondamentale che i comuni del CHP continuino con le loro politiche sociali, l’approccio egualitario e la governance trasparente per mantenere il sostegno popolare alle prossime elezioni generali. Inoltre, la capacità dell’opposizione di opporre una resistenza unitaria alle pratiche fiduciarie antidemocratiche, già iniziate contro il partito DEM subito dopo le elezioni, è una delle condizioni più importanti per preservare la rinata cultura democratica del Paese. Tenendo presente che questa vittoria non è un risultato ma un inizio per la difesa della democrazia, è necessario continuare la lotta per un cambiamento progressivo e democratico in Turchia.

Per saperne di più:
Per i risultati delle elezioni: https://secim.aa.com.tr/
Per la vittoria economica dell’opposizione (in turco): https://www.ekonomim.com/ekonomi/en-buyuk-ekonomiye-sahip-illerin-tamami-chpye-gecti-haberi-736830
Per la vittoria di İmamoğlu e Yavaş: https://www.duvarenglish.com/thousands-of-supporters-gather-for-imamoglu-and-yavass-re-election-victory-speeches-news-64118
Per l’ascesa dello Yeniden Refah Partisi: https://www.duvarenglish.com/turkeys-far-right-yrp-becomes-third-party-nationwide-after-campaign-on-poverty-palestine-news-64117
Per il “regime fiduciario” antidemocratico della Turchia: https://www.duvarenglish.com/turkish-authorities-detain-2906-dem-party-members-in-2023-news-63513

 

Scarica il Commento in pdf

]]>
https://osservatoriocoesionesociale.eu/osservatorio/elezioni-locali-del-2024-in-turchia-la-rinascita-della-socialdemocrazia/feed/ 0
Stima del fabbisogno e della spesa Long-Term Care in Italia: valutazioni ex-ante di una proposta di riforma https://osservatoriocoesionesociale.eu/osservatorio/stima-del-fabbisogno-e-della-spesa-long-term-care-in-italia-valutazioni-ex-ante-di-una-proposta-di-riforma/ https://osservatoriocoesionesociale.eu/osservatorio/stima-del-fabbisogno-e-della-spesa-long-term-care-in-italia-valutazioni-ex-ante-di-una-proposta-di-riforma/#respond Tue, 02 Apr 2024 13:51:04 +0000 https://osservatoriocoesionesociale.eu/?p=8510 SOCIAL COHESION PAPER n.1 – Marzo 2024 – Di Report preparato dal Gruppo di Ricerca composto da Costanzo Ranci, Francesca Audino, Carlo Mazzaferro e Marcello Morciano

La legge 23 marzo 2023, n. 33 “Deleghe al Governo in materia di politiche in favore delle persone anziane” ha introdotto il Sistema Nazionale Anziani non Autosufficienti (SNAA), che programma e monitora in modo integrato l’insieme dei servizi e degli interventi a favore di questa tipologia di soggetti. L’uso delle risorse pubbliche per la non autosufficienza sarà programmato congiuntamente dai soggetti responsabili a ogni livello di governo: Stato, Regioni e territori. A livello centrale, il CIPA (Comitato interministeriale per le politiche in favore della popolazione anziana) definisce gli indirizzi generali dello SNAA. Il DDL riforma le procedure per le valutazioni delle condizioni degli anziani, che diventano due: una di responsabilità statale, che assorbe le diverse procedure oggi esistenti a livello nazionale, e l’altra di competenza delle Regioni, che rimane invariata. La valutazione nazionale verrà realizzata con un nuovo e moderno strumento, finalizzato a misurare adeguatamente l’aspetto multidimensionale della non autosufficienza e a cogliere in maniera più completa le esigenze dei soggetti interessati.

Considerando gli interventi destinati ad anziani e famiglie, il DDL prevede
Servizi domiciliari: si introduce l’ADISS (Assistenza domiciliare integrata sociosanitaria), con risposte unitarie – attraverso l’integrazione dei servizi di Asl e Comuni – e interventi di durata e intensità commisurate alle esigenze dell’anziano che venga a trovarsi in una condizione di NA.
Prestazione universale per la non autosufficienza: in alternativa all’attuale indennità di accompagnamento, il DDL prevede un trasferimento graduato in base al fabbisogno assistenziale dell’anziano e la possibilità di scelta tra il contributo monetario senza vincoli d’uso e la fruizione di servizi alla persona (badanti regolari o soggetti organizzati), in quest’ultimo caso ricevendo un importo superiore.
Servizi residenziali: si prevede una riqualificazione della dotazione di personale commisurata alle esigenze delle persone in carico, e sostegni alla diffusione di ambienti di qualità, amichevoli, familiari e sicuri, organizzati per garantire le normali relazioni di vita.
Caregiver familiari: è previsto un articolato insieme di azioni, tra cui: considerazione delle loro condizioni nei vari momenti valutativi, revisione delle tutele previdenziali, assicurative e degli strumenti per l’inserimento lavorativo e promozione di forme integrate di sostegno.

Il presente rapporto intende contribuire all’analisi e discussione sulla riforma del sistema italiano di long-term care (LTC) attraverso una stima della spesa necessaria a finanziare la nuova Prestazione Universale per la Non Autosufficienza, prevista dall’articolo 4 della legge 33/2023. Il rapporto è articolato nelle seguenti parti. La prima parte contiene una presentazione generale della riforma LTC prevista dalla legge n.33/2023, discute e analizza i contenuti specifici della Prestazione Universale e fornisce una stima sintetica della spesa necessaria alla sua implementazione. Le parti successive presentano le relazioni tecniche. La seconda parte presenta una stima dell’entità e articolazione del fabbisogno assistenziale a cui la Prestazione Universale dovrebbe rispondere, effettuata sulla base di una Scala NA che viene presentata e confrontata con altre misurazioni disponibili. La terza parte illustra nel dettaglio i contenuti della stima presentata nella prima parte.

 

Scarica il Social Cohesion Paper completo

]]>
https://osservatoriocoesionesociale.eu/osservatorio/stima-del-fabbisogno-e-della-spesa-long-term-care-in-italia-valutazioni-ex-ante-di-una-proposta-di-riforma/feed/ 0
Per non rimanere senza casa e senza futuro https://osservatoriocoesionesociale.eu/osservatorio/per-non-rimanere-senza-casa-e-senza-futuro/ https://osservatoriocoesionesociale.eu/osservatorio/per-non-rimanere-senza-casa-e-senza-futuro/#respond Wed, 27 Dec 2023 10:58:57 +0000 https://osservatoriocoesionesociale.eu/?p=8482 Ae n.265, dicembre 2023

Per non rimanere senza casa e senza futuro.

Solo il 20% della popolazione vive in affitto, ma qui si concentrano le fasce più vulnerabili. Manca una politica pubblica e investimenti coerenti sull’abitare

 

Quando parliamo di questione abitativa facciamo riferimento a una molteplicità di istanze e bisogni che si articolano attorno alla casa, che comprendono sia l’adeguatezza dell’alloggio sia la qualità del contesto territoriale in cui è inserito. L’espressione sottolinea inoltre il disagio vissuto da quanti non trovano risposte in termini di sostegno all’accesso alla abitazione. In Italia la questione abitativa era già (ri)emersa negli anni Duemila e si è acuita con la crisi economica e occupazionale innescata dalla pandemia da Covid-19. Alle situazioni di fragilità a cui tradizionalmente erano rivolte le politiche della casa se ne sono aggiunte di nuove e diversificate, che hanno riguardato fasce più ampie di popolazione per le quali le condizioni abitative e gli oneri economici connessi all’abitare rappresentano un fattore di vulnerabilità sempre più rilevante.
Alcune cifre possono essere utili a inquadrare la situazione. In Italia il 70,8% delle famiglie vive in una casa di proprietà, il 20,5% in affitto e l’8,7% dispone di un’abitazione in usufrutto o a titolo gratuito. Questo dato -che apparentemente può risultare neutro o essere letto come un indicatore di benessere- in realtà nasconde una serie di contraddizioni. In primo luogo, perché non dice nulla dei valori immobiliari, profondamente diseguali sul territorio italiano: tra centro e periferia, tra città e aree rurali, tra Nord e Sud del Paese.
Allo stesso tempo fa emergere quanto la proprietà privata sia stata incentivata sia rispetto all’affitto, sia agli investimenti pubblici. Questi ultimi non si traducono solo nella realizzazione di robusti programmi di edilizia residenziale pubblica per le fasce deboli della popolazione, ma un più generale investimento statale nell’abitare utile a controbilanciare il mercato privato delle locazioni.
Analizzando invece i dati sull’affitto, vediamo innanzitutto che è diffuso soprattutto tra i nuclei meno abbienti: il 31,8% nel quintile più povero. Chi paga un canone di locazione sono soprattutto le famiglie di più recente costituzione, il 35,5% di quelle in cui il principale percettore di reddito è disoccupato e il 68,5% di quelle in cui è presente almeno un cittadino di origine straniera. Un dato che sale al 73,8% per le famiglie composte interamente da stranieri, tra le quali poco più di una su dieci vive in una casa di proprietà.

2,5
Milioni di famiglie spendono per le spese relative all’abitare una quota di reddito pari o superiore al 40%.

 

L’incidenza delle spese per l’abitazione è ovviamente più alta per chi vive in affitto, arrivando a quasi un terzo del reddito (27,9%). Le famiglie “in sovraccarico”, quelle per cui questa incidenza è uguale o superiore al 40%, sono quasi 2,5 milioni, pari al 9,9% del totale a livello nazionale.
In questo contesto dobbiamo poi aggiungere il fatto che dalla fine degli anni Settanta si è sostanzialmente chiusa la stagione dell’edilizia residenziale pubblica, che oggi conta un totale di circa 800mila alloggi. Appena il 4% del patrimonio abitativo nazionale, molto al di sotto rispetto ad altri Stati europei: in Francia la quota è del 16%, nel Regno Unito del 17,6% mentre in Paesi come l’Olanda o l’Austria supera il 20%. Al contesto italiano bisogna poi aggiungere il fatto che di tutto il patrimonio pubblico utilizzabile solo l’86% è assegnato (una quota significativa è infatti sfitta o occupata abusivamente) e più di un appartamento su due tra quelli utilizzati richiederebbe interventi di riqualificazione.
Un tale scenario impone l’esigenza di una rinnovata attenzione pubblica e robusti investimenti sull’abitare, in un contesto in cui l’emergenza abitativa tocca nuove fasce, come ci ha ricordato lo slogan del recente movimento degli studenti universitari contro il caro affitto: senza casa, senza futuro.

 

Questo articolo è stato scritto da Sonia Paone per la rubrica mensile OCIS all’interno di Altreconomia.

Scarica l’articolo in pdf

 

]]>
https://osservatoriocoesionesociale.eu/osservatorio/per-non-rimanere-senza-casa-e-senza-futuro/feed/ 0