Ae n.244, gennaio 2022

Come rendere il sistema fiscale equo ed efficace.

Oltre alla lotta a evasione ed elusione, rivedere le aliquote permetterebbe di improntarle a principi redistributivi potenziando il welfare

L’ottava Indagine sulle dichiarazioni dei redditi ai fini Irpef curato dal centro studi e ricerche di Itinerari Previdenziali (itinerariprevidenziali.it) presenta alcuni elementi di dubbia interpretazione. Partiamo dai dati: secondo l’indagine relativa alle dichiarazioni del 2019, il 78,82% dei contribuenti dichiara redditi imponibili inferiori a 29mila euro, garantendo un gettito pari al 28,36% del totale. Più in dettaglio, sono circa dieci milioni i dichiaranti che presentano redditi lordi inferiori ai 7.500 euro e circa 19 milioni di contribuenti dichiarano un reddito compreso tra zero e 15mila euro lordi. Invece i dichiaranti redditi superiori ai 100mila euro sono solo l’1,21%, pari a poco più di 500mila contribuenti che -complessivamente- versano il 19,56% dell’Irpef. Una situazione con tante ombre e nessuna luce. Da un lato emerge un quadro allarmante relativo alla metà circa del totale dei dichiaranti che guadagna meno di 15mila euro lordi all’anno: sono persone (e famiglie) a rischio povertà. Dall’altro lato risulta evidente un carico gravoso sui redditi superiori ai 29mila euro che garantiscono un gettito pari a circa il 71,5% di tutta l’imposta Irpef. Intanto il Governo Draghi pare orientato a ridurre le aliquote da cinque a quattro, alleggerendo il carico fiscale per tutti i contribuenti e concentrando i maggiori benefici derivanti dalla (possibile) riforma nella fascia reddituale 29mila- 55mila euro: sono poco meno di sette milioni di contribuenti. Sebbene tale orientamento governativo presenti alcuni indubbi vantaggi in termini di riduzione del carico fiscale complessivo, il dubbio che si possa e si debba fare di più è lecito: una (lieve) riduzione sic et simpliciter dell’Irpef non pare essere una scelta particolarmente innovativa rispetto alla necessità strutturale di rivedere l’impianto fiscale complessivo. Esso dovrebbe mirare a colpire maggiormente i redditi da capitale e contenere il prelievo dai redditi da lavoro. Tuttavia in un contesto di difficoltà economica e di lenta ripresa da un anno estremamente difficile, la proposta governativa non può che essere vista con favore. Ciononostante è possibile identificare altre urgenti linee di intervento caratterizzate da una efficacia redistributiva ancora più robusta.

78,82%

La quota dei contribuenti italiani che nel 2019 ha dichiarato redditi imponibili fino a 29mila euro

 

In primo luogo la lotta senza quartiere nei confronti dell’elusione e dell’evasione: come ci ricorda la Commissione governativa istituita per monitorare l’andamento dell’economia non osservata, dell’elusione e dell’evasione fiscale, il tax gap (una misura del “sommerso”) viene stimato in quasi 110 miliardi di euro: circa la metà del totale delle imposte dirette. In secondo luogo la revisione delle aliquote potrebbe essere improntata a principi ancora più redistributivi rispetto a quelli ipotizzati nell’attuale proposta: ad esempio, si potrebbe ipotizzare di introdurre nuove aliquote per i redditi superiori ai 100mila euro. Infine è necessario rivedere in modo strutturale il sistema delle spese fiscali (tax expenditures) che ammontano -secondo uno studio del Senato- a oltre 75 miliari di euro che nel 58,5% dei casi vanno a un numero limitato di soggetti (meno di 30mila). Sfrondare e rivedere tale sistema non è più rinviabile. In sintesi rendere il fisco più equo ed efficace consentirebbe da un lato di rafforzare il patto tra contribuenti e istituzioni, e dall’altro di garantire maggiori entrate utili per potenziare il sistema nazionale di welfare, rendendolo più capace di rispondere agli impellenti bisogni sociali della popolazione.

 

Questo articolo è stato scritto da Paolo Graziano per la rubrica mensile OCIS all’interno di Altreconomia.

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