Ae n.231, novembre 2020

Da “Quota 100” a “Quota 102”? L’enigma delle pensioni.

Torna il dibattito sulla previdenza. Quali sono i nodi irrisolti dal 1992 e come intervenire per provare a fare un passo avanti

 

Puntuale come l’alternarsi delle stagioni, in Italia si torna a parlare di riforma delle pensioni. Dal gennaio di quest’anno è attiva una commissione che ha il compito di valutare come intervenire in ambito previdenziale e che sta ragionando sull’opportunità di definire nuove regole che -in sostituzione di “Quota 100” che va a scadenza nel 2021- consentano ad alcuni gruppi di individui di pensionarsi prima del raggiungimento dei requisiti stabiliti dalla riforma del 2011. Il governo starebbe pensando a “Quota 102”, strumento simile a “Quota 100” ma con requisiti più stringenti per ridurne l’impatto sul bilancio pubblico: il ritiro sarebbe consentito dai 64 anni con 38 di contribuzione con una lieve riduzione dell’importo della prestazione. “Quota 102” presenta però gli stessi limiti di “Quota 100” dato che non risponderebbe alla domanda di flessibilità di chi non riesce a raggiungere i 38 anni di contribuzione a causa di una carriera sfavorevole. Come si possono introdurre forme di flessibilità dell’età pensionabile che beneficino tutti senza comportare esborsi eccessivi per il bilancio pubblico? Sulla base della considerazione che il metodo contributivo è la base di calcolo della maggior parte delle prestazioni delle coorti vicine al pensionamento, si potrebbe permettere, a partire da una certa età, di ritirarsi subendo una riduzione della quota retributiva della pensione (come il 3,2% per ogni anno di anticipo rispetto all’età legale) che compensi, in modo attuarialmente equo, il vantaggio della sua percezione per un numero maggiore di anni. Se ben definita, una misura di questo tipo offrirebbe un’opportunità in più a tutti, senza generare problemi per il bilancio pubblico nel lungo periodo. Rimarrebbero due principali criticità: l’impatto sul bilancio pubblico di breve periodo (di “cassa”) dovuto al più elevato flusso di uscite nell’immediato e l’esigenza di tutelare in modo selettivo i più svantaggiati. La prima criticità è molto sovrastimata a causa della tendenza a ipotizzare che tutti si ritirino appena raggiunti i requisiti minimi. Ma è plausibile che non sia così, come confermano alcuni dati: “Quota 100” è stata richiesta da poco più di 200mila individui a fronte di oltre 600mila domande stimate dal Def per il biennio 2019-2020;

30.000

Il numero di individui che ha usufruito dell’Ape volontaria, ovvero la possibilità di pensionarsi in anticipo subendo una penalizzazione dell’importo della pensione

 

l’anticipo pensionistico (Ape) volontaria, che offriva la possibilità di pensionarsi in cambio di una penalizzazione monetaria, è stata richiesta nei 30 mesi di attivazione da poco più di 30mila individui; “Opzione donna”, basata sul ricalcolo contributivo, ha interessato nel 2019 circa 18mila lavoratrici. In tutta probabilità l’impatto di cassa di una misura congegnata lungo le linee qui esposte sarebbe limitato, a fronte di un sicuro miglioramento del benessere dei lavoratori che si vedrebbero offerta una più ampia opportunità di scelta. Rimarrebbe la seconda criticità, cioè come offrire agli individui più svantaggiati una tutela che non riduca l’importo di prestazioni non generose e non sia limitata alle poche categorie che svolgono lavori “gravosi” o “usuranti”. Su questo bisognerebbe avviare una riflessione sulla gravosità delle varie mansioni e su come queste influiscano sull’aspettativa di vita. Un intervento che offrisse a tutti un’opportunità di scelta in più senza impattare sul bilancio pubblico e tutelasse le categorie più bisognose porrebbe finalmente fine a un dibattito sui requisiti di accesso al pensionamento che si protrae dal 1992, lasciando spazio a una riflessione su temi altrettanto cruciali come la tutela dei futuri pensionati poveri.

Questo articolo è stato scritto da Michele Raitano per la rubrica mensile OCIS all’interno di Altreconomia.

 

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