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Ae n.205, giugno 2018

L’iniziativa comunitaria avviata nel 2008 mette in rete le realtà che promuovono l’inclusione e valorizzano la diversità.

Le politiche per l’integrazione o per l’inclusione sociale sono ormai diffuse in tutto il mondo. Spesso, però, laddove presenti, esse sono incentrate su una definizione nazionale dei problemi e quindi risentono di un disegno di politica pubblica che potremmo definire impositivo: è il governo nazionale che decide, e lascia alle realtà locali il (difficile) compito di attuare.
Il programma “città interculturali” del Consiglio d’Europa ribalta questa prospettiva, fornendo supporto a quelle pratiche “dal basso” che a livello locale hanno portato alla realizzazione di programmi efficaci di promozione dell’interculturalità. Avviata nel 2008 come un’iniziativa cofinanziata dalla Commissione europea e dal Consiglio d’Europa, nel corso degli anni il programma è arrivato a coinvolgere 126 città a livello globale, di cui 98 città europee e 25 città italiane, tra cui Reggio Emilia, Torino e Venezia. L’obiettivo è promuovere il dialogo e iniziative di scambio di buone pratiche di politiche urbane tra città che considerano l’interculturalità un’opportunità e non una minaccia.
A livello nazionale si è costruita una rete (la rete italiana Città del Dialogo) che raggruppa le amministrazioni locali che riconoscono e promuovono politiche urbane inclusive e che valorizzano la “diversità”. Tale valorizzazione viene fatta in particolare attraverso l’identificazione di pratiche virtuose sintetizzate in un indice -l’intercultural cities index- suddiviso in quattordici indicatori che monitorano la capacità di sviluppare politiche locali (quali politiche educative, politiche dei trasporti, politiche di scambio internazionali, etc.) in un senso interculturale.
Nel contesto italiano, i dati più recenti mostrano come tra le piccole città Fucecchio e Campi Bisenzio siano particolarmente virtuose, mentre Torino è la più “interculturale” tra le grandi e Reggio Emilia tra le città medio-piccole. Sono tutte città che, pur in presenza di sfide connesse all’accoglienza, sono state in grado di disegnare le politiche pubbliche in un senso inclusivo e non esclusivo, volte cioè a trarre vantaggio dall’interculturalità in termini di valorizzazione del pluralismo culturale e ridefinizione del significato di coesione sociale a livello locale.

Il programma “città interculturali”, pur non essendo un’iniziativa nota al grande pubblico, merita di essere segnalata perché mostra come la “faccia” più esposta agli effetti delle crescenti migrazioni -quella del governo locale- possa decidere di impostare la propria attività in un senso di accoglienza e di apertura, e non viceversa di chiusura e paura. Inoltre, si tratta di un’iniziativa che sostanzia la nozione di “governo multilivello”: un’organizzazione internazionale (in questo caso, in prima battuta il Consiglio d’Europa) si pone come catalizzatore, diffusore e promotore di buone prassi che possano poi costituire punti di riferimento per amministratori locali in tutto il mondo. E consentendo alle città di disporre di un supporto, a costi limitati, per la definizione
di politiche pubbliche capaci di promuovere nuove forme di coesione sociale. Infine, la costruzione e diffusione dell’intercultural city index consente alle città coinvolte -e ai cittadini che vogliono informarsi su questi temi- di tenere traccia dei propri miglioramenti e, più in generale, di rafforzare l’azione di governo in un senso marcatamente inclusivo. E, di questi tempi, non è poco.

Questo articolo è stato scritto da Paolo Graziano per la rubrica mensile OCIS all’interno di Altreconomia.

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