Ae n.234, febbraio 2021
Family Act: verso un sistema coerente di politiche per la famiglia?
Dall’assegno unico al sostegno alle pari opportunità, il testo di legge rafforza gli strumenti per la maternità. Ma può ancora migliorare
È noto che le politiche rivolte alle famiglie in Italia sono non solo scarse ma spesso eterogenee e contradditorie nelle finalità, oltre che squilibrate verso trasferimenti monetari frammentati a sfavore dei servizi. Il disegno di legge “Deleghe al governo per il sostegno e la valorizzazione della famiglia” (Family Act) sembra rappresentare una svolta nella misura in cui esplicita chiaramente i suoi obiettivi: sostegno alle scelte positive di fecondità, quindi al benessere dei bambini, adolescenti e delle loro famiglie in un’ottica universalistica, insieme alle pari opportunità in famiglia e nel mercato del lavoro tra padri e madri. A questo fine individua come contenuti delle deleghe sia riforme e razionalizzazione
delle misure esistenti -specie per quanto riguarda i trasferimenti monetari- sia un rafforzamento degli strumenti di conciliazione lavoro-famiglia e dei servizi socio-educativi rivolti a bambini e adolescenti.
Sono tutti obiettivi pienamente condivisibili che vanno rafforzati nel passaggio dall’approvazione della legge delega a quella delle deleghe specifiche sui diversi temi. Tre sembrano, in particolare, i nodi fondamentali su cui migliorare il testo attuale. Il primo riguarda l’equilibrio tra universalismo e selettività, non sciolto del tutto nel disegno di legge. Il secondo riguarda le pari opportunità tra madri e padri. Il terzo l’equilibrio tra trasferimenti monetari e servizi. Sono aspetti su cui l’Alleanza per l’infanzia si è espressa in due documenti (alleanzainfanzia.it).
La tensione tra universalismo e selettività è ben rappresentata nella formulazione dell’assegno unico universale, oggetto di stralcio in un disegno di legge ad hoc, che è già stato approvato dalla Camera ed è in attesa di approvazione dal Senato. In coerenza con l’articolo 2 del Family Act, esso viene definito un trasferimento insieme unico (che prevede l’assorbimento delle misure attualmente esistenti) e universale, esteso a tutti i figli a carico fino al 21esimo anno di età ma allo stesso tempo subordinato all’Isee, oltre che di importo superiore dal terzo figlio in su. Queste due specificazioni, mentre limitano l’universalità della misura, rischiano, specie la prima, di entrare in conflitto (in quanto disincentivanti) con il sostegno all’occupazione materna e alle pari opportunità di genere specie nel caso di basse qualifiche, ovvero nelle circostanze che già ora sono di svantaggio per le donne ed espongono al rischio di povertà le famiglie monoreddito con figli. Il problema dell’universalismo, ma anche delle pari opportunità, si pone anche nel caso dei congedi. Permangono le difformità che tuttora esistono nell’accesso e alla fruizione del congedo di maternità e ancor più a quelli parentali tra lavoratrici (e lavoratori), l’insufficiente indennizzazione dei secondi, che disincentiva i padri a prenderne una parte ed impedisce anche a molte madri di farlo. Non viene considerato il tema del congedo di paternità per i lavoratori autonomi e assimilati.
Quanto all’equilibrio tra trasferimenti monetari e servizi, il disegno di legge propone un complesso mix tra voucher, detassazione, ampliamento dell’offerta di nidi, e supporto ad “altri servizi educativi”, anche non formali, per favorire non solo la conciliazione tra lavoro e famiglia ma anche, se non soprattutto, le pari opportunità tra bambini e tra adolescenti. Questa molteplicità di strumenti rischia di non ridurre la frammentazione del sistema attuale. Occorrerebbe, invece, porre come priorità il rafforzamento dell’offerta pubblica di servizi per la prima infanzia e del tempo pieno nella scuola dell’obbligo.
Questo articolo è stato scritto da Chiara Saraceno ed Emanuele Pavolini per la rubrica mensile OCIS all’interno di Altreconomia.
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