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NOTA n.5 – Ottobre 2022 – Di Emanuela Lombardo, Universidad Complutense de Madrid, e Manuela Naldini, Università di Torino

Introduzione

Nonostante i progressi compiuti negli ultimi decenni, il raggiungimento della parità di genere in vari luoghi di lavoro e professioni, compresi il mondo accademico e la ricerca, rimane una sfida importante. Sia a livello europeo, sia a livello nazionale si notano politiche pubbliche che mostrano una crescente attenzione al tema dell’uguaglianza nell’accademia e nella ricerca. Ad esempio, si pensi al ruolo avuto dall’Agenda di Lisbona che, con la creazione della European Research Area nel 2000, ha incoraggiato lo sviluppo di una knowledge-based economy nella quale l’uguaglianza di genere deve giocare un ruolo fondamentale. La Commissione europea, con il Programma H2020, ha assunto l’impegno di garantire nei paesi membri dell’Unione europea la promozione effettiva dell’uguaglianza tra donne e uomini e della dimensione di genere nel contenuto della ricerca e dell’innovazione. Parimenti importante è stata la decisione di rendere obbligatorio a partire dal 2022 nei programmi ERC come criterio di eleggibilità per le Università e gli Enti di ricerca la presenza di Gender Equality Plans (GEPs) o Piani di Uguaglianza di Genere per tutti i programmi di ricerca di Horizon Europe. In Italia, per esempio, i GEPs sono individuati come un requisito per l’accesso anche ai programmi di ricerca finanziati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). In Spagna la legge obbliga dal 2007 le istituzioni pubbliche e private, Università, istituti di ricerca e agenzie che finanziano la ricerca compresi, a creare una struttura competente per l’integrazione di un approccio di genere (gender mainstreaming) -denominata Unità di Uguaglianza-, e a adottare GEPs e protocolli contro le molestie sessuali. Nonostante queste politiche e la rinnovata attenzione verso l’intreccio tra genere e ricerca, il divario nelle carriere di uomini e donne continua ad essere presente in tutti i Paesi membri. Il diagramma a forbice (Figura 1) fotografa bene la disparità di genere nelle varie fasi della carriera universitaria. Il numero di studentesse ha superato quello degli studenti nell’EU-27 e EU-28 (ISCED 6&7[1]). La situazione cambia a partire dai primi gradini della carriera accademica (ISCED 8[2]) soprattutto a partire dal primo gradino di ingresso nella carriera accademica, cioè ricercatore/ricercatrice (Grade C), corrispondente in Italia alla posizione di ricercatore/ricercatrice, per allargarsi ulteriormente nei successivi avanzamenti di carriera. Secondo il rapporto “She Figures”, ancora nel 2020 le donne costituivano il 42,3% del personale accademico, ma occupavano solo il 26% delle posizioni come docente ordinario/a (Grade A, cfr. Figura 1) e solo il 23,6% delle posizioni di governo (European Commission, 2021).

 

Figura 1. Proporzione (%) di uomini e donne nella carriera accademica, studenti-tesse e personale accademico, UE27. 2015-2018


Fonte: She figures, European Commission, 2021.

Accanto al fenomeno della segregazione verticale, continua a essere presente quello della segregazione orizzontale: le donne risultano infatti significativamente meno presenti nell’ambito delle discipline STEMM (Science, Technology, Engineering, Mathematics and Medicine).

Comprendere il fenomeno della disuguaglianza di genere nell’accademia

Il fenomeno della disuguaglianza di genere nell’Università e nella ricerca può essere rappresentato attraverso tre metafore che sintetizzano bene alcuni dei dati contenuti nel grafico. Il ‘rubinetto che perde’ è la prima metafora che indica il processo per cui le donne continuano ad avere più probabilità dei loro colleghi uomini di abbandonare la carriera (questo avviene in forma più accentuata nelle discipline di area STEMM). La seconda è quella della ‘porta di cristallo’, per cui le donne hanno meno probabilità degli uomini di accedere a posizioni stabili. Infine, la terza metafora è quella del ‘soffitto di cristallo’ per descrivere quella barriera invisibile che rende più difficile alle donne raggiungere gli stadi più alti della carriera (diventare professore/ssa ordinario/a) e in generale scalare le posizioni apicali. Gli studi hanno altresì rilevato che la valutazione della ricerca e i processi di selezione del personale accademico non sono immuni da stereotipi di genere impliciti, che tendono a favorire i ricercatori piuttosto che le ricercatrici. Anche in linea con la svolta neo-liberista che ha investito le Università e la ricerca, nei sistemi nazionali sono aumentate le richieste di individualizzazione, competizione e si sono generate crescenti pressioni a pubblicare (publish or perish). La divisione sessuale dei ruoli di docenza e ricerca nell’ambito universitario, conosciuta come academic housekeeping o lavoro domestico accademico – in cui gli uomini tendono a dedicare più tempo alla ricerca e alle pubblicazioni mentre le donne alla docenza e alle attività amministrative e di servizio, comunque ad attività meno prestigiose e utili per la carriera accademica – contribuisce ad accrescere il divario di genere. Infine, la violenza di genere e in particolare il sessismo e le molestie sessuali sono un ostacolo importante nella carriera accademica delle donne.
In questo contesto caratterizzato da competizione e individualizzazione e da crescente necessità di introdurre politiche pubbliche per ridurre le disparità di genere, è utile presentare i risultati di due progetti di ricerca esemplificativi delle molteplici sfide che rimangono aperte, nonostante la presenza a molteplici livelli (europeo, nazionale e a livello di singolo Ateneo o centro di ricerca) di politiche pubbliche nel campo della ricerca e dell’Università. Prima di far ciò, ci sembra utile offrire qualche dato di sfondo sulle disparità di genere nei due Paesi in cui i progetti sono stati condotti nel quadro europeo: Italia e Spagna. I dati mostrano infatti che Italia e Spagna, pur appartenendo alla stessa ‘famiglia di paesi’ per alcune dimensioni socio-economiche, anche in termini di tardiva partecipazione delle donne al mercato del lavoro e in termini di servizi e politiche soprattutto di welfare, oggi risultano lontani in termini di posizionamento per la riduzione del divario di genere. Per monitorare e confrontare i progressi e i rallentamenti nella riduzione dei divari di genere, l’Istituto Europeo per l’Uguaglianza di Genere (EIGE) ha introdotto un indice sull’uguaglianza di genere (Gender Equality Index – GEI). Ogni anno l’indice assegna ai Paesi della UE un punteggio che va da 0 a 100. Il punteggio 100 significa che un paese ha raggiunto la piena parità tra uomini e donne. L’indice è composto da una batteria di indicatori sui traguardi raggiunti in domini chiave: lavoro, denaro, conoscenza, tempo, potere e salute, nonché nei loro sotto domini. La Figura 2 offre un quadro sintetico delle differenze tra alcuni Paesi della EU. Come si può osservare la Spagna nel 2020 aveva raggiunto il traguardo per tutti i campi chiave indicati di 72 punti su 100, un valore 4 punti superiore alla media dei paesi membri e si collocava al 7 posto in Europa. Sotto tale profilo, l’Italia presentava un punteggio più basso non solo della Spagna, bensì anche della media europea, collocandosi al 14° posto in Europa.

Figura 2. Il Gender Equality Index (GEI) in alcuni paesi europei, 2020


Fonte: EIGE (European Institute for Gender Equality)

Con questo quadro di sfondo generale, che ci consente anche di avere un’idea di come si collochino i due Paesi in oggetto rispetto al gender gap, ci pare utile presentare i due progetti di ricerca esemplificativi delle sfide ancora aperte nella ricerca e nell’accademia in general. Il primo si focalizza sulle trasformazioni del mondo accademico entro un quadro di asimmetrie di genere nell’Università italiana. Il secondo progetto è invece focalizzato sul versante implementazione delle politiche pubbliche per ridurre le disuguaglianze di genere nelle università spagnole.

Il progetto italiano Gendering Academia

Il primo progetto è un PRIN, finanziato dal MIUR, dal titolo GeA (Gendering Academia), volto ad indagare le carriere accademiche e le condizioni di lavoro di giovani ricercatori/trici e professori/esse all’interno sia delle Scienze Umane e Sociali (SSH – Social Sciences and Humanities) che nelle discipline STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) con un’attenzione alla dimensione di genere (maggiori informazioni sul progetto e sulle pubblicazioni https://www.pringea.it/). Il lavoro di ricerca si propone di esplorare in quattro Atenei italiani di diverse dimensioni e posizioni geografiche i processi di reclutamento e di promozione in ottica di genere, con particolare attenzione alle recenti trasformazioni dell’Università. L’obiettivo è quello di comprendere se e in che modo le differenze e le disuguaglianze di genere sono (ri)prodotte nei vari stadi delle carriere accademiche e come i livelli micro (individuale), meso (delle culture organizzative e della governance) e macro (norme e politiche) interagiscono nel sostenere od ostacolare il successo nella carriera accademica, dal reclutamento, alla stabilizzazione, agli avanzamenti di carriera. La questione della persistenza delle disuguaglianze di genere nell’Università italiana e le sue trasformazioni negli ultimi 20 anni sono studiate utilizzando sia dati quantitativi (analisi statistica di dati secondari Istat e MIUR, sondaggi somministrati allo staff accademico), sia dati qualitativi (123 interviste semi-strutturate a ricercatori/trici precari/ e a professori/esse associate, 52 interviste a testimoni privilegiati della governance dei quattro Atenei coinvolti, 46 interviste semi-strutturate al personale scientifico di otto Dipartimenti nelle aree STEM e SSH), per un totale di 225 interviste. Il progetto parte dall’idea che le disparità di genere siano il risultato di processi che si cumulano nel corso della vita, nelle diverse fasi della carriera lavorativa e famigliare. A partire dalle interviste condotte con ricercatori/trici, professori/resse e con testimoni privilegiati la ricerca mostra l’importanza di fattori da ricondurre a processi che operano a diversi livelli. Tali processi mettono in evidenza anche come i cambiamenti del sistema universitario italiano non abbiano ad oggi contribuito a ridurre i divari di genere. Dallo studio emerge come primo elemento di trasformazione del sistema: l’intensificazione dei tempi e dei ritmi di lavoro. Fare ricerca è sempre più spesso una ‘vocazione’, ma entro una cultura di ‘devozione totale’ al lavoro, sostenuta da un modello di lavoratore ‘incondizionato’ (senza responsabilità di cura e senza altro tempo oltre al lavoro). L’accelerazione dei tempi di lavoro è in gran parte dovuta alla richiesta di maggiore produttività (scientifica), “è una tragedia […]” dice Anita, una ricercatrice precaria di 34 anni, “uno lavora continuamente, non, non ci sono orari… non ci sono weekend non… […] tu dai che devi produrre, devi produrre, quindi cerchi sempre di produrre”. Sul fronte dei percorsi lavorativi, le donne, sia in ingresso che nelle fasi più avanzate della carriera, presentano percorsi più lenti e meno lineari. Inoltre, le donne in accademia, ‘percepiscono’ più spesso dei loro colleghi maschi di non essere state sostenute nel loro percorso professionale e di ricerca (da un o una mentore) e manifestano più spesso il rifiuto verso le posizioni apicali. Sono all’opera anche alcuni meccanismi di auto-selezione da parte delle donne stesse ‘penso che siamo ancora noi in alcuni aspetti la barriera di noi stesse’, dice Pia, 48 anni, professoressa associata. Sul fronte della conciliazione famiglia e lavoro, ancora una volta, le penalizzazioni legate alla maternità, strategie di rinvio o la rinuncia alla maternità e paternità, per non compromettere la carriera, rappresentano le ordinarie storie di vita delle ricercatrici e dei ricercatori dell’Università italiana. La pandemia, d’altro canto, con la chiusura di scuole e servizi per l’infanzia, ha contribuito ad esacerbare le diseguaglianze di genere preesistenti. Inoltre, dalla ricerca emerge che i cambiamenti che hanno investito il mondo accademico negli ultimi anni hanno generato degli effetti anche sulle culture organizzative (di genere) dei Dipartimenti. Sebbene alcuni ritengano che questa svolta abbia determinato un’aderenza maggiore ai principi dell’uguaglianza fra uomini e donne e del gender mainstreaming, i modelli organizzativi emergenti – che costruiscono modelli di lavoro e di cittadinanza accademica in linea con le richieste di individualizzazione, competizione e completa dedizione al lavoro imposte dalla nuova agenda – continuano a perpetuare le disuguaglianze di genere. Inoltre, la pandemia ha contribuito ad esacerbare le diseguaglianze di genere preesistenti, specialmente per coloro che si trovano nelle prime fasi della carriera, in posizioni di ricerca temporanee e condizioni di lavoro precarie.

Il progetto spagnolo UNiGUAL

Il progetto di ricerca spagnolo UNIGUAL, finanziato dall’Agenzia Statale della Ricerca del Ministero spagnolo della Scienza e Innovazione, studia l’attuazione delle politiche di uguaglianza (piani di uguaglianza GEPs, protocolli contro le molestie sessuali e sessiste, misure per conciliare lavoro e vita familiare) nelle università spagnole. Il progetto ha mostrato che il principale ostacolo all’attuazione delle politiche di uguaglianza nelle università consiste nella resistenza all’applicazione delle politiche di uguaglianza da parte dell’istituzione stessa e di attori che non riconoscono, normalizzano o rendono invisibili le disuguaglianze nel tentativo di mantenere lo status quo relativo alla disuguaglianza. La ricerca, basata in una metodologia qualitativa di interviste, focus groups e analisi documentale, ha contribuito ad identificare le forme di resistenza, tra cui il rifiuto di assumersi responsabilità nell’attuazione delle politiche di uguaglianza e la negazione della necessità di un cambiamento verso l’uguaglianza. Sono state inoltre identificate le norme di genere informali che alimentano la resistenza, come per esempio la considerazione dell’uguaglianza come una questione di seconda classe anziché una priorità, il miraggio dell’uguaglianza (cioè pensare che l’uguaglianza sia già stata raggiunta) e la sopravvalutazione del lavoro accademico maschile e la sottovalutazione del lavoro accademico femminile. I risultati contribuiscono anche all’identificazione dei principali fattori che favoriscono la resistenza all’attuazione delle politiche di uguaglianza nelle università, che comprendono sia la mancanza di meccanismi di controllo esterni ed interni per monitorare e valutare l’implementazione dei piani di uguaglianza, protocolli contro le molestie sessuali e sessiste e altre misure per raggiungere l’uguaglianza nell’università, sia la cultura e la gerarchia di genere dell’università e il conservatorismo del contesto istituzionale che oppone resistenza al cambiamento promosso dalle politiche di uguaglianza. UNiGUAL consente anche di conoscere quali sono i fattori che facilitano l’attuazione delle politiche di uguaglianza nelle università, che includono il tipo di istituzionalizzazione dell’organismo competente in materia di uguaglianza di genere dell’università (in Spagna denominato Unità di Uguaglianza), le norme di genere formali (scritte, adottate dall’università, come i piani di uguaglianza) e informali (non scritte ma in uso, come la preferenza tacita per il candidato maschile nei processi di selezione del personale), le idee relative all’uguaglianza che esistono nel contesto universitario, e le strategie degli attori che si impegnano a promuovere le misure di uguaglianza negli atenei. La ricerca ha individuato sia le contro- resistenze individuali da parte di chi dirige le Unità di Uguaglianza, sia quelle collettive, come le alleanze tra attori che promuovono l’uguaglianza nell’ambito universitario. Tra le contro-resistenze di chi dirige le Unità di Uguaglianza si annoverano, ad esempio, l’uso delle norme di uguaglianza in ambito universitario per legittimare l’attuazione delle politiche, l’allineamento con e la partecipazione alle campagne dei movimenti femministi, la ricerca di appoggio alle misure di uguaglianza da parte del/della Rettore/Rettrice e dei/delle Prorettori/Prorettrici, e la ricerca di legittimità attraverso la firma di accordi con le istituzioni pubbliche che operano per l’uguaglianza di genere. I fattori facilitatori della contro-resistenza individuale includono l’attivismo femminista della Direttrice dell’Unità di Uguaglianza dell’università, il capitale sociale della Direttrice attraverso i legami personali stabiliti dentro e fuori l’università e l’integrazione della Direttrice nei centri decisionali. Le contro-resistenze collettive comprendono, soprattutto, alleanze tra diversi attori che promuovono l’uguaglianza in Ateneo, come personale esperto di genere sia interno che esterno all’università, studenti e studentesse e personale amministrativo. Includono anche la costruzione di spazi e forum interuniversitari per integrare il genere nell’insegnamento e nella ricerca (ad esempio XarxaVives in Catalogna) e l’espansione delle strutture di uguaglianza all’interno delle università (ad esempio, commissioni per l’uguaglianza o reti universitarie). I fattori che facilitano la contro resistenza collettiva sono i valori femministi condivisi, il capitale sociale a disposizione degli attori pro-eguaglianza, il sostegno rettorale e quello dei movimenti femministi. I risultati del Progetto UNiGUAL – sia scientifici (vedi le pubblicazioni del team su https://www.unigual.es/publicaciones-y-recursos/), sia sociali (vedi le raccomandazioni scritte e video su https://interunigual.com/recomendaciones /) – mirano ad avere un impatto sociale affrontando la progettazione, valutazione e impatto delle politiche pubbliche sull’uguaglianza, con l’obiettivo di offrire risorse innovative per attuare efficacemente le politiche di uguaglianza di genere nelle università spagnole.

Conclusioni

Nonostante la crescente attenzione dedicata al tema dei divari di genere nella ricerca e nell’Università a livello dell’Unione europea, Spagna e più recentemente anche in Italia, molti restano gli ostacoli da superare e le sfide da affrontare per eliminare le disuguaglianze di genere nell’accademia. Le politiche pubbliche hanno un ruolo chiave per colmare questo divario. L’Istituto Europeo per l’Uguaglianza di Genere EIGE raccomanda che, per essere efficaci, i piani di uguaglianza GEPs adottati nelle università, istituti di ricerca e agenzie di valutazione della ricerca devono incidere sui processi organizzativi, grazie all’appoggio dei vertici istituzionali, lo stanziamento di adeguate risorse economiche e umane, la raccolta e monitoraggio di dati sull’evoluzione del divario di genere in accademia, e la formazione di genere di tutto il personale. Ma devono anche incidere sul contenuto delle azioni, introducendo misure che permettano l’equilibrio tra il lavoro e la vita familiare, la parità di genere nel processo decisionale, l’uguaglianza di genere nella contrattazione e promozione di carriera, l’integrazione di un approccio di genere nel contenuto della ricerca e della docenza e misure contro la violenza di genere, comprese le molestie sessuali. A tal fine, sono necessarie strutture competenti dotate di risorse adeguate per la realizzazione e il monitoraggio dell’attuazione effettiva delle politiche adottate e l’impegno da parte di tutta la comunità accademica nell’applicazione delle misure di uguaglianza.

[1] Secondo la classificazione internazionale standard dell’istruzione (ISCED – International Standard Classification of Education), il livello 6 corrisponde alla laurea triennale, mentre il livello ISCED 7 alla laurea Magistrale o equivalente.
[2] Il livello ISCED 8 corrisponde al dottorato o equivalente.

Per saperne di più:

Rossella Bozzon, Annalisa Murgia e Barbara Poggio (2019),“Gender and precarious careers in academia and research: macro, meso and micro perspectives”. In Gender and Precarious Research Careers, Annalisa Murgia e Barbara Poggio (a cura di), pp. 15–49, Londra, Routledge.

Renzo Carriero e Manuela Naldini (2022), “Gender Disparity in Access to Academia in Italy. The barriers to women’s early career stages”, Polis, 1/2022, pp. 5-32.

Cecilia Castaño, Susana Vásquez-Cupeiro e José Luis Martinez-Cantos (2019), ”Gendered management in Spanish universities: Functional segregation among vice-rectors”, Gender and Education, 31(8), pp. 966-985.

European Commission, Directorate-General for Research and Innovation, She figures 2021: Gender in research and innovation: Statistics and indicators, Publications Office, 2021.

Camilla Gaiaschi e Rosy Musumeci (2021), “ «Why so slow?» Un’analisi del reclutamento accademico in Italia dal 2000 al 2020, tra processi di femminilizzazione e (ri-)maschilizzazione. Sociologia Italiana – Italian Journal of Sociology, 18/2021, pp. 97-122.

Emanuela Lombardo e María Bustelo (2021), “Sexual and sexist harassment in Spanish universities: policy implementation and resistances against gender equality measures”, Journal of Gender Studies, 31(1), pp. 8-22.

Emanuela Lombardo, María Bustelo, Alba Alonso, Tània Verge, Arantxa Elizondo, Rebecca Tildesley, Isabel Diz e MariaCaterina La Barbera (2021). Igualdad e interseccionalidad en las Universidades. Recomendaciones, mimeo.

Rebecca Tildesley, Emanuela Lombardo e Tània Verge (2021), “Power Struggles in the Implementation of Gender Equality Policies: The Politics of Resistance and Counter-resistance in Universities”, Politics & Gender, pp. 1-32.

 

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