Ae n.259, maggio 2023
I passi indietro dell’Italia nelle politiche contro la povertà.
I nuovi provvedimenti del governo riducono importi e durata delle prestazioni. L’obiettivo è chiaro: tagliare la spesa, colpevolizzando i beneficiari
Il governo italiano si appresta a intervenire nuovamente nel settore delle politiche contro la povertà. L’impianto della riforma è già stato deciso, così come il nome dei nuovi strumenti: Garanzia per l’inclusione (Gil) rivolta ai “non occupabili” e Garanzia per l’attivazione lavorativa (Gal) per gli “occupabili”). O almeno così emerge da una bozza di provvedimento fatta circolare dall’esecutivo a metà aprile. Rispetto al Reddito di cittadinanza (RdC) si introducono alcuni cambiamenti sostanziali: si riduce da 9.360 a 7.200 euro la soglia Isee per accedervi, con la conseguenza di escludere non pochi nuclei familiari. Vengono inoltre portati da dieci a cinque gli anni di residenza necessari per poterne beneficiare, anche in virtù di un processo di valutazione presso la Corte di giustizia europea, riducendo -ma non sanando del tutto- un’evidente ingiustizia. Terza modifica: si introduce la differenza tra nuclei familiari “occupabili” (beneficiari della Gal) e “non occupabili” (in cui sono presenti minori, persone con disabilità o con più di 60 anni) beneficiari di Gil, prevedendo importi inferiori del 25% per i primi. Nel caso di un single, ad esempio, l’importo massimo scende da 500 a 375 euro mensili, mentre una coppia non potrà riceverne più di 525. Per i beneficiari della Gal, inoltre, non è prevista la possibilità di ricevere il rimborso della spesa per affitto (fino a 280 euro mensili, rimasta in vigore invece per la Gil). La Garanzia per l’attivazione lavorativa potrà durare al massimo per 12 mesi. Quarta modifica: si restringono ulteriormente i parametri della scala di equivalenza, così riducendo la probabilità di ricevere la Gil e la sua stessa entità per le famiglie numerose, anche quelle con figli minori. Va poi segnalata la bizzarria di introdurre (finalmente) l’indicizzazione all’inflazione di importi e soglie del trasferimento: ma solo a partire dal 2026 quando, si spera, l’attuale fiammata sarà spenta. Nell’insieme, si tratta di interventi che mirano a tagliare l’investimento complessivo nelle politiche di contrasto alla povertà, riducendo l’importo e la durata delle prestazioni. Proprio la distinzione tra “occupabili” e non costituisce uno degli aspetti più problematici della riforma. Negli altri Paesi europei in cui è presente (fatta eccezione per l’Ungheria) tale distinzione non è finalizzata a introdurre sostegni monetari differenti a parità di disagio economico. Mira invece a prevedere servizi e strumenti di inclusione sociale e lavorativa differenziati, a seconda della vicinanza al mercato del lavoro. Inoltre, generalmente, tale distinzione poggia su un’effettiva classificazione delle chances occupazionali degli individui e non sulla mera composizione familiare, ovvero sulla presenza di minori, persone con disabilità o anziani. Nel complesso, l’impianto della misura sembra poggiare su due assunti: da un lato che il Reddito di cittadinanza sia eccessivamente generoso, per cui i beneficiari non si attivano sufficientemente nella ricerca di un lavoro (o meglio, preferiscono ricevere il sostegno monetario piuttosto che accettare i lavori esistenti); dall’altro che l’investimento in tale misura sia eccessivo. Purtroppo, come ha sottolineato recentemente la sociologa Chiara Saraceno, entrambi gli assunti non si basano su solide valutazioni empiriche: la spesa complessiva per questo strumento è in linea con quanto previsto dagli studiosi e con quanto avviene nella maggioranza degli altri Paesi europei, mentre i problemi di attivazione riguardano piuttosto le caratteristiche del mercato del lavoro italiano e il sistema complessivo delle politiche attive nel nostro Paese. Su queste dimensioni si potrebbe intervenire se si volesse migliorare lo strumento, a meno che lo scopo sia sottrarre risorse a chi già ne ha meno di tutti.
Questo articolo è stato scritto da Marcello Natili e Michele Raitano per la rubrica mensile OCIS all’interno di Altreconomia.
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