Ae n.237, maggio 2021
Il congedo di paternità per una nuova cura della famiglia.
Rispetto ad altri Paesi europei, l’Italia incoraggia poco la presenza dei “papà a casa”. Un’occasione mancata per sostenere il welfare
Dal primo gennaio 2021, una svolta copernicana ha investito la Spagna, tradizionalmente il Paese in Europa più simile al nostro per sviluppo economico, cultura e modello “familista” di welfare. Il congedo di paternità è stato equiparato a quello della madre: ognuno dei due genitori ha diritto a 16 settimane di congedo, retribuite al 100%, delle quali le prime sei sono obbligatorie per entrambi. Non si tratta di una scelta in controtendenza con il panorama internazionale, al contrario. Tra congedo di paternità e congedo parentale, in media, nei Paesi Ocse sono otto le settimane di congedo riservate ai padri. Per limitarci ai Paesi appartenenti all’Unione europea, superano abbondantemente questa media Belgio (19,3), Francia (28), Portogallo (22,3) e Svezia (14,3). Certo, non sempre viene garantita continuità reddituale per l’intero periodo: e tuttavia, solamente in Grecia, Irlanda e nei Paesi dell’Est una copertura del 100% dello stipendio viene garantita per meno di cinque settimane. E in Italia? Lo strumento del congedo di paternità è stato introdotto sperimentalmente, e per un giorno solo, nel 2012. Nel corso degli anni i giorni di congedo di paternità sono gradualmente aumentati e la legge di Bilancio di quest’anno ha portato a 10 i giorni di congedo obbligatori per i padri, più uno facoltativo da sottrarre eventualmente al congedo di maternità, e viene retribuito al 100%. A fianco di questa misura, esiste il congedo parentale: 10 mesi (11 se il padre si astiene dal lavoro per tre mesi consecutivi) fruibili da entrambi i genitori nei primi 12 anni di vita dei figli. Tuttavia un tasso di sostituzione particolarmente basso -solamente il 30% della retribuzione- disincentiva un largo utilizzo di questo congedo, in particolare per i padri. Nel complesso l’Italia si colloca tra i Paesi dove è meno incentivata la presenza dei “papà a casa”. Eppure, proprio in Italia maggiore è il bisogno di equilibrare i carichi lavorativi ed equiparare le opportunità lavorative tra uomini e donne. Il nostro Paese è intrappolato da anni in un equilibrio basato su bassa fecondità -si fanno pochi figli, una tendenza in atto da decenni e confermata anche quest’anno dai dati Istat, che ci vede fanalino di coda in Europa come numero di figli per donna- e bassissimi livelli occupazionali femminili: il 53,2% delle donne tra i 20 e 64 anni lavora contro una media europea del 66,6%.
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Sono i giorni di congedo destinati esclusivamente ai padri oggi in Spagna. In Italia sono fermi a 10
In Spagna il congedo di paternità è stato lanciato proprio per far fare passi avanti nella parità tra uomini e donne, da un lato favorendo l’offerta di lavoro femminile, troppo spesso frenata da doveri di cura che gravano prevalentemente sulle spalle delle donne, dall’altro aumentando la domanda di lavoro femminile da parte delle aziende rimuovendo i fattori che fanno sì che avere figli sia un costo associato alle donne. Per quanto fondamentale, l’equità di genere non è l’unico motivo per guardare con favore a questi sviluppi. Sono numerosi gli studi che mostrano come il congedo parentale favorisca una maggiore partecipazione degli uomini alla cura dei bambini con ricadute positive anche in termini di risultati scolastici dei figli, e ri-bilanci i carichi familiari riducendo anche il conflitto nella coppia sulla divisione del lavoro domestico. Il congedo di paternità sembra favorire il coinvolgimento di entrambi i genitori nella crescita dei figli ed è un fattore fondamentale per garantire pari opportunità e benessere dell’intera famiglia, padri compresi.
Questo articolo è stato scritto da Marcello Natili e Alice Biscuola per la rubrica mensile OCIS all’interno di Altreconomia.
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