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Le nuove forme organizzative guardano all’interesse pubblico e alla sostenibilità. Il caso di Melpignano, in provincia di Lecce.

 

I cambiamenti legati al processo di trasformazione delle società contemporanee stanno incidendo sul benessere generale della nostra società. Se da un lato la “società dell’incertezza” favorisce il disimpegno e non la solidarietà, minando la coesione sociale, dall’altro è proprio negli ultimi anni, e con una accelerazione dopo la crisi del 2008, che abbiamo registrato il fiorire di esperienze che hanno riportato in auge la comunità. Quell’insieme cioè di persone che condividono valori, culture, interessi, risorse e progetti, dando avvio a nuove forme di protagonismo sociale. Rispetto a forme di pro-attivismo del passato, un tratto fondamentale delle esperienze di protagonismo sociale degli ultimi anni è quello di aver intrecciato a doppio filo l’agire sociale con quello economico, nella ricerca di nuove forme di organizzazione sociale.

È all’interno di questo cambiamento che va letta l’esperienza delle cosiddette cooperative di comunità a cui la Fondazione Euricse (2016) ha dedicato recentemente un Libro Bianco, definendo con questo nome quelle imprese cooperative (possedute e gestite dai soci sulla base di principi inclusivi e democratici) che sono in grado di produrre beni e servizi in modo stabile e continuativo (inclusi beni pubblici) e di allocarli in modo da garantire la propria sostenibilità, avendo come obiettivo il miglioramento della capacità di vita di una comunità nella quale sono radicate.

Il fenomeno delle cooperative di comunità nel nostro Paese è abbastanza giovane e ancora piuttosto circoscritto. Uno studio pubblicato quest’anno ne individua 24 attive nel periodo dal 2000 fino al 2014, presenti in 8 Regioni sia del Centro-Nord, nate in località isolate o montane per iniziativa degli stessi cittadini, sia del Sud, sviluppatesi in contesti vallivi-costieri più densamente popolati e dove è il soggetto pubblico il motore del processo sinergico tra Comuni e privati. In assenza di una normativa nazionale, alcune Regioni (Puglia. Basilicata, Abruzzo, Liguria, Emilia-Romagna, Lombardia) hanno emanato norme per definire cosa possano fare e come possano essere supportate le cooperative di comunità. Le esperienze delle cooperative di comunità sembrano rappresentare una possibile risposta a due processi ormai giunti a maturazione: il primo riguarda le forme organizzative basate su scambi e di pratiche di partecipazione attiva dei cittadini nel loro ruolo di consumatori fino alla produzione e distribuzione di beni e servizi; il secondo riguarda il ruolo delle organizzazioni pubbliche nei riguardi di una rimodulazione del welfare: cambiando atteggiamento verso il terzo settore, queste ultime hanno maturato la consapevolezza che la riforma dei servizi di protezione sociale possa contribuire alla crescita economica e occupazionale. Tra queste esperienze si può citare la Comunità Cooperativa Melpignano (LE), attiva nella produzione e gestione di beni e servizi di interesse generale come le infrastrutture energetiche. È nata dalla collaborazione tra Lega Coop, Borghi Autentici d’Italia e l’amministrazione comunale, per gestire una rete di produzione di energia solare tramite pannelli fotovoltaici posti sui tetti degli edifici della città, i cui utili sono destinati allo spazio urbano. Un modo diverso e interessante di organizzare la gestione del territorio e le attività economiche, con l’impegno diretto nella gestione dei servizi di interesse generale da parte dei cittadini.

 

Questo articolo è stato scritto da Francesca Forno per la rubrica mensile OCIS all’interno di Altreconomia.

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