Ae n.258, aprile 2023

Il Reddito alimentare non basta, serve una politica del cibo inclusiva.

Il ripensamento della filiera e il contrasto agli sprechi sono la risposta più efficace per garantire ai più poveri l’accesso a prodotti di qualità

In un articolo pubblicato sul sito di Altreconomia il 21 febbraio le ricercatrici Maria Vasile e Arianna De Conno analizzano i limiti del Reddito alimentare, un provvedimento inserito nella legge di Bilancio 2023, approvata il 29 dicembre 2022, ancora non attuata a causa dell’assenza dei decreti. Una delle critiche più rilevanti mosse dalle autrici riguarda l’inadeguatezza dello strumento, che prevede uno stanziamento di 1,5 milioni di euro per il 2023 e due milioni per gli anni successivi per l’erogazione di questo contributo in 15 Città metropolitane italiane.
Secondo i dati più recenti, relativi al 2021, elaborati dall’Istat sono 5,6 milioni le persone che si trovano in una condizione di povertà assoluta. Mentre la spesa alimentare media mensile per una famiglia di quattro persone ammonta a 640,85 euro. Non è purtroppo disponibile una stima della povertà assoluta nelle Città metropolitane, ma se considerassimo in modo prudenziale un tasso di povertà assoluta nei suddetti territori pari alla media nazionale, i potenziali beneficiari del provvedimento ammonterebbero a circa 1,5 milioni. Questo si tradurrebbe in un contributo individuale annuo pari a un euro. Una misera elemosina, non un intervento pubblico volto a garantire il diritto al cibo, che peraltro consentirebbe di rimettere in circolo prodotti invenduti che altrimenti andrebbero al macero o forse redistribuiti comunque da soggetti del Terzo settore, come già avviene in diverse realtà italiane. In sintesi, si tratta di un intervento puramente simbolico che non riesce nemmeno a scalfire il problema della povertà alimentare nei territori oggetto della sperimentazione.
Inoltre, Vasile e De Conno sottolineano un ulteriore limite del provvedimento, ovvero la “depoliticizzazione della povertà alimentare”. Si tratta di un rilievo che conduce al vero nocciolo della questione: il fenomeno della povertà assoluta (di cui quella alimentare è la manifestazione più grave) non può essere affrontata solo con provvedimenti debolmente redistributivi e sottofinanziati. Deve invece essere oggetto di un ripensamento radicale su come il cibo viene prodotto, distribuito e consumato (o scartato). Sotto tale profilo il provvedimento non affronta realmente nemmeno il problema dello spreco alimentare che in Italia che, al netto di quello che avviene a livello domestico, ammonta a circa 3,5 miliardi di euro.
Per rispondere in modo adeguato al bisogno (oltre che ai sempre più pressanti imperativi ecologici) è necessario in primo luogo destinare risorse adeguate alla tutela del diritto al cibo di qualità e non distribuire tutto ciò che il mercato scarta: spesso prodotti non sostenibili e talvolta dal contenuto nutrizionale molto limitato.
Inoltre, pare urgente disegnare politiche “multilivello” che siano volte a rivedere i sistemi alimentari al fine di metterli maggiormente al servizio di persone vulnerabili e tutelando l’ambiente. Che, ad esempio, incentivino in modo adeguato la redistribuzione dell’invenduto, la produzione locale di alimenti di qualità e promuovano l’educazione al cibo sostenibile.
Più in generale, è indispensabile ripensare ai sistemi alimentari, in linea con l’iniziativa europea “From farm to fork” che si pone l’obiettivo di sostenere un’agricoltura equa, sana e sostenibile, alla portata di tutte e di tutti.
Il Reddito alimentare dovrebbe essere considerato solo come un timido passo verso la strada maestra di una politica in materia inclusiva che renda presto la misura superflua. Sono necessari interventi che rendano effettivo il diritto al cibo (riconosciuto, peraltro, dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948), superando al più presto un intervento residuale di scarso rilievo strategico.

 

Questo articolo è stato scritto da Paolo Graziano per la rubrica mensile OCIS all’interno di Altreconomia.

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