Ae n.216, giugno 2019

Pur con limiti evidenti, la misura – fuorviante nel titolo e non universale – è un’innovazione da guardare con favore. Ecco perché

Lo scorso novembre un articolo in questa rubrica a firma di Marcello Natili metteva in evidenza luci e ombre del reddito di cittadinanza Italian style. A due mesi dall’avvio dell’accettazione delle domande, è possibile fare qualche considerazione preliminare circa la sua attuazione. In primo luogo, emerge un dato: oltre un milione di persone ha fatto domanda, su una platea potenziale di beneficiari di oltre 5 milioni di poveri assoluti (dati ISTAT, 2017). Se però consideriamo il fatto che la maggior parte delle domande (circa il 60%) proviene da persone che si trovano nella fascia d’età 40-67, è possibile che la maggior parte delle domande provenga da rappresentanti di famiglie povere (sempre nel 2017, l’ISTAT stimava che queste fossero circa 1,8 milioni). Il tasso di copertura, pertanto, potrebbe aggirarsi intorno al 50% dei potenziali beneficiari. Tuttavia, se consideriamo che circa il 25% delle domande è stata bocciata, potremmo stimare che poco più del 40% dei “poveri assoluti” avrà accesso al beneficio.
In secondo luogo, dalla distribuzione geografica delle domande emerge con nettezza la prevalenza da parte delle regioni meridionali, Campania e Sicilia in testa, che insieme coprono circa il 25% delle domande. Si tratta di un dato largamente prevedibile e previsto, ma che conferma -se mai ve ne fosse bisogno- della prevalenza del disagio economico nel Mezzogiorno. A ben guardare però emerge un quadro più variegato: mentre in Campania circa l’85% della platea potenziale di beneficiari ha presentato domanda, la percentuale scende notevolmente in alcune altre Regioni, quali ad esempio la Calabria e il Molise, dove tale dato si attesterebbe intorno al 43%. In altri termini, soprattutto nel Mezzogiorno, emergono delle differenze regionali piuttosto rilevanti. È evidentemente troppo presto per poter spiegare il fenomeno, ma se i dati dovessero essere confermati nei prossimi mesi, ci si dovrebbe interrogare intorno alle ragioni di tale differenziale di copertura.

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Le domande presentate per il “reddito di cittadinanza”.
Dato aggiornato al 30 aprile 2019

Infine, com’è stato previsto, la platea più vulnerabile dei poveri assoluti (gli stranieri, circa il 25% del totale) non viene intercettata dalla misura perché spesso non in possesso di un requisito fondamentale per l’assegnazione del beneficio: la residenza. Ciò non significa che non vi siano stranieri tra i potenziali beneficiari, ma allo stato attuale i dati INPS disponibili non consentono di verificare la nazionalità dei beneficiari. Un altro elemento su cui concentrare gli sforzi futuri di indagine di osservatori e studiosi interessati all’“esperimento” italiano. Pur con tutti i punti interrogativi e con i limiti sopra evidenziati, il reddito di cittadinanza -un’etichetta fuorviante visto che tecnicamente non si tratta di un reddito universale di cittadinanza ma di una misura erogata a “certe condizioni”- è un’innovazione che va guardata con favore. Essa potrebbe contribuire in modo significativo alla riduzione della povertà assoluta, in modo ben più incisivo della misura pre-esistente, il Reddito di inclusione (REI). Resta da chiedersi perché si sono dovuti aspettare così tanti anni per affrontare con decisione (anche se con un poco di approssimazione) un problema così importante quale la povertà assoluta. In attesa di un vero reddito di cittadinanza, i prossimi mesi saranno determinanti per capire come migliorare il provvedimento e renderlo ancora più utile in termini di contrasto alla povertà assoluta.

Questo articolo è stato scritto da Paolo Graziano e da Marcello Natili per la rubrica mensile OCIS all’interno di Altreconomia.

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