Ae n.209, novembre 2018

Sussidio per chi “sta sul divano” o misura insufficiente. Al di là degli slogan, ecco le caratteristiche dell’intervento redistributivo.

Se non sapessimo né chi né perché lo stesse facendo, l’introduzione del Reddito di Cittadinanza sarebbe una buona o una cattiva notizia per il sistema di protezione sociale italiano? Per chi si studia le storture e le distorsioni del nostro sistema di welfare, dovrebbe trattarsi di una buona notizia. Per anni si è denunciato come questo dimenticasse proprio quella categoria che maggiormente avrebbe bisogno di protezione sociale: i poveri, o meglio, tutti gli individui a basso reddito che per un motivo o per l’altro (età, lavori precari, carichi familiari, etc.) non abbiano maturato i contributi necessari per accedere alle assicurazioni sociali. Oggi, a quanto dato sapere – ancora non vi è un disegno di riforma ufficiale, solo le poche informazioni contenute nella nota di aggiornamento al DEF – si destina finalmente una quota di risorse adeguate a rispondere ai bisogni di questa fascia di popolazione. Si badi bene, adeguate, non eccessive, e sicuramente non in grado di mettere a rischio la sostenibilità economica del nostro sistema di welfare: vi si destina infatti una cifra vicina ai 9 miliardi, leggermente inferiore a quanto destinato in media dal resto dei Paesi europei, difficilmente in grado di causare di per sé problemi di sostenibilità economica ad un paese che spende circa 475 miliardi ogni anno per il proprio welfare state.

5 milioni e 58mila – Le persone che nel 2017 vivono in povertà assoluta in Italia secondo l’Istat

Nel dibattito pubblico emerge tuttavia l’obiezione che tali prestazioni siano pericolose e disincentivino al lavoro: gli italiani ne approfitterebbero per restarsene sul divano a riposare o per ingrossare le fila del lavoro nero. Oltre a essere argomentazioni irriguardose nei confronti dei poveri – sempre poco meritevoli e ‘approfittatori’ – queste non poggiano su solide evidenze empiriche. Non esistono infatti studi che mostrino una relazione negativa tra schemi di reddito minimo e livelli occupazionali, e al contrario, i dati mostrano come nei paesi d’Europa dove queste prestazioni esistono da molti anni vi siano tassi d’impiego decisamente più elevati che in Italia. Ciò che numerosi studi mostrano – da ultimo il lavoro di Leventi, Sutherland e Tasseva per l’Institute for Social and Economic Research– è che generose politiche socio-assistenziali siano gli strumenti più efficaci per ridurre la povertà, anche più di misure di politica attiva del lavoro.

Con questo, non si vogliono negare gli aspetti critici che sicuramente emergono andando ad approfondire le caratteristiche della misura. Ad esempio, rispetto agli strumenti presenti in tutti gli altri paesi europei, il RdC è senz’altro molto generoso – pari a 780 euro per un individuo solo – un importo più vicino agli stipendi medi di quanto si usi fare, a rischio di creare davvero qualche disincentivo e/o problemi al regolare funzionamento del mercato del lavoro. Anche la decisione di affidare la gestione di questo strumento ai centri per l’impiego, piuttosto che ai servizi sociali, desta qualche dubbio. Da un lato, perché vi sottende una visione che tende a focalizzarsi esclusivamente nel rientro nel mercato del lavoro – attraverso sanzioni e condizionalità elevate – per favorire l’uscita dalla condizione di bisogno, mentre più efficace sarebbe un approccio olistico che miri a riattivare le capacità dell’individuo attraverso una presa in carico integrata e l’attivazione di più servizi.  Da un altro, perché i centri per l’impiego italiani sono già oggi in grande sofferenza, mentre così facendo andrebbero dispersi i passi in avanti fatti nei servizi di inclusione sociale negli ultimi anni con l’introduzione del REI.

Sono difetti certamente importanti, cui se ne sommano altri francamente imbarazzanti – il dibattito su spese meritevoli e non, ad esempio – che non devono però far dimenticare come per la prima volta si sia deciso di fare un deciso intervento redistributivo verso chi ha di meno. Non vorremmo che siano proprio le deboli risorse politiche dei potenziali beneficiari il motivo per cui si dibatta così attentamente sull’efficacia di questa misura – una dimensione tante volte dimenticata nel dibattito pubblico a fronte di programmi di spesa anche più elevata.

Questo articolo è stato scritto da Marcello Natili per la rubrica mensile OCIS all’interno di Altreconomia.

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