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NOTA n.3 – Dicembre 2021 – Di Raffaele Bazurli e Francesca Campomori, Università Ca’ Foscari Venezia

La stratificazione dei diritti degli immigrati precede di almeno due decenni la pandemia; pertanto, prima di esaminare l’impatto del COVID sui diritti della specifica categoria dei migranti forzati è utile passare in rassegna alcuni snodi di tale stratificazione.

All’inizio degli anni duemila, diversi studiosi avevano già messo in luce i sistemi formali e informali di esclusione dei diritti per le persone immigrate, introducendo il concetto di stratificazione civica (Morris, 2003; Sainsbury, 2006). A partire da indagini su vari paesi europei veniva richiamata una prima fondamentale distinzione tra cittadini stranieri appartenenti a stati dell’Unione Europea (Ue) e i cosiddetti third country nationals, ovvero i cittadini di stati non appartenenti all’Ue. Allo stesso tempo emergeva anche chiaramente come, all’interno di questa seconda categoria, le persone immigrate godessero di diritti differenziati, soprattutto in base al motivo del loro ingresso in un paese ospite. Le categorie di entrata (entry categories), tra cui in particolare l’entrata per motivi di lavoro, per riunificazione familiare o per richiesta di asilo definivano – e definiscono tuttora – percorsi diversi di inclusione e un pacchetto di diritti differenziato, a partire dalla sicurezza di residenza (security of residence), alla quale si collega direttamente il diritto a beneficiare di prestazioni sociali. Alcune delle distinzioni nei diritti di cittadinanza derivano da convenzioni internazionali (come la convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati), o da direttive europee (come la direttiva 2003/86 sul ricongiungimento familiare o la 2013/33 sulle condizioni di vita dei richiedenti asilo), mentre altre sono state elaborate a livello nazionale e presentano pertanto una variabilità tra gli stati.

Questo sistema gerarchico di cittadinanza sociale negli ultimi due decenni si è ulteriormente rafforzato a causa dell’acuirsi della politicizzazione dell’immigrazione. La “crisi dei rifugiati” degli anni 2015-2016 ha poi esasperato una sempre più esplicita distinzione tra “rifugiati meritevoli” e “immigrati immeritevoli”, o tra “veri e falsi rifugiati”. In Italia, l’escalation di politiche pubbliche e di una retorica anti-immigrazione è culminata nel Decreto Salvini (113/2018), poi convertito in legge (7/2019), che ha creato una significativa stretta nell’accoglienza, e le cui implicazioni sono state illustrate estesamente in una nota precedente (Campomori, Nota 4/2020). La prima ondata della pandemia da COVID-19 si è pertanto manifestata quando erano in vigore le regole per l’accoglienza stabilite dal Decreto Salvini, superate alla fine del 2020 dal Decreto Lamorgese (convertito nella legge 173/2020).

La presente nota nasce come parte di una più ampia ricerca condotta nell’ambito del progetto PRIN dal titolo De-bordering activities and citizenship from below of asylum seekers in Italy. Policies, practices, people. La ricerca ha indagato l’impatto della pandemia, soprattutto la prima ondata e il relativo lockdown, sul sistema di accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati. Sono stati consultati vari documenti di policy e condotte trenta interviste a politici locali, operatori e attivisti in due regioni (Veneto ed Emilia-Romagna) e in sei città (Bologna, Ferrara, Ravenna, Belluno-Feltre, Venezia, Treviso).

L’analisi dei dati raccolti ha reso evidente come il COVID-19 abbia esercitato un impatto differenziato sui percorsi di vita, le opportunità e i diritti dei migranti accolti nei vari tipi di strutture. Il tipo di struttura in cui ci si è trovati ad essere accolti allo scoppio della pandemia –con particolare riguardo ai CAS, Centri di Accoglienza Straordinaria o al SIPROIMI, Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati – ha fatto la differenza, senza dimenticare i più di 600 mila richiedenti asilo e rifugiati che erano rimasti esclusi tout court dal sistema di accoglienza. Un altro elemento di differenziazione è legato ai contesti regionali e locali che hanno espresso diverse capacità e volontà politiche di attutire le conseguenze negative della crisi pandemica sui richiedenti asilo e rifugiati. Il COVID-19 ha prodotto quindi una ulteriore stratificazione di diritti, che in parte si è sommata e in parte è trasversale a quelle già osservate in precedenza. Nelle prossime sezioni descriviamo come tale stratificazione, e il conseguente aumento delle diseguaglianze, abbia preso forma. Concludiamo la nota con qualche spunto di riflessione su come interrompere la spirale di stratificazioni che abbiamo visto in atto durante la prima ondata pandemica.

L’esasperato dualismo del sistema di accoglienza alla prova della prima ondata pandemica

Le politiche restrittive sull’asilo portate avanti nel 2018 dall’allora Ministro dell’Interno Matteo Salvini avevano creato una marcata spaccatura tra il sistema prefettizio dell’accoglienza straordinaria (Centri di Accoglienza Straordinaria – CAS) e il sistema affidato su base volontaria agli Enti Locali, che il Decreto aveva rinominato SIPROIMI (ex SPRAR, sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati). Il nuovo nome era coerente con le norme introdotte dal decreto per l’accesso ai centri della rete, e a tutti i servizi ad esso connessi (vedi Tabella 1). La possibilità di essere accolti nel SIPROIMI veniva infatti riservata solo ai titolari di protezione internazionale e ai minori non accompagnati, escludendo i richiedenti asilo e i titolari di una protezione “speciale” (ex umanitaria). Le persone ancora in attesa di una risposta dalle autorità rispetto alla domanda di protezione internazionale e i titolari di protezione speciale potevano accedere solamente ai CAS, che tuttavia non erano nati con l’intento dichiarato di creare una gerarchizzazione dell’accoglienza, ma piuttosto con l’obiettivo di garantire una più vasta ricezione alla luce della carenza cronica di posti negli SPRAR. Il nuovo capitolato di spesa relativo ai CAS, approvato unitamente al Decreto, prevedeva inoltre un taglio consistente dei servizi erogati dai CAS e penalizzava i progetti di micro-accoglienza diffusa rispetto ai grandi centri, evidenziando ancora più chiaramente il dualismo nel sistema.

Tabella 1: Tipo di accoglienza associata ai vari status dei migranti forzati (regole in vigore durante la prima ondata di pandemia e fino a dicembre 2020)

Va ricordato che negli ultimi dieci anni i CAS hanno accolto oltre 7 beneficiari su 10 (addirittura il 73% allo scoppio della pandemia),[4] configurandosi di fatto come la modalità più diffusa di accoglienza. È in questo scenario che il 9 marzo 2020 si inserisce l’inizio del primo lockdown. La conseguenza immediata e generalizzata per tutte le categorie di migranti forzati (e, ovviamente, non solo per loro) è, da un lato, l’espulsione dal mercato del lavoro per chi lavorava (spesso nell’economia sommersa e dunque senza poter godere degli ammortizzatori sociali) e, dall’altro, l’interruzione o l’impossibilità di accesso a tirocini formativi e apprendistato per chi si stava approcciando la mondo del lavoro.

Tuttavia, osservando la situazione più in filigrana, si fanno evidenti le profonde differenze tra i due tipi di centri di accoglienza nel mitigare gli impatti più deleteri della pandemia.  In particolare, quattro elementi caratterizzanti del sistema SIPROIMI hanno dato prova di poter assicurare una tutela dei diritti sociali e della qualità della vita significativamente superiore rispetto a quanto avvenuto nei CAS. In primo luogo, il fatto che i progetti SIPROIMI si fondino su un’accoglienza diffusa, solitamente in appartamenti, o comunque in piccoli centri, ha consentito sia di limitare i contagi, sia di poter predisporre spazi per l’isolamento. In secondo luogo, l’elevata integrazione dei centri nella geografia delle città ha facilitato l’accesso al sistema di welfare locale e soprattutto ai servizi sanitari; in terzo luogo, la capillare presenza di mediatori culturali e di un numero congruo di operatori ha garantito una diffusione puntuale delle informazioni relative alle misure preventive per evitare il contagio e favorito l’innescarsi di relazioni di fiducia che hanno creato un contesto più favorevole al rispetto delle indicazioni fornite. Al riguardo, un operatore di un ente gestore di un SIPROIMI di Bologna ha affermato:

Nei nostri centri SIPROIMI non abbiamo avuto casi di COVID […]. Perché? Perché gli operatori sociali nel SIPROIMI hanno più tempo da dedicare ai nostri beneficiari, ci sono molti tipi di specialisti che si dedicano a loro ed è più facile guadagnare la loro fiducia rispetto a centri in cui le presenze sono maggiori.

Da ultimo, il forte coordinamento nazionale della rete SIPROIMI ha portato ad una elevata uniformità nelle informazioni e nelle misure attuate a livello locale, a differenza di quanto è invece accaduto nei CAS, tanto che un operatore di Belluno si è così espresso: “il Ministro dell’Interno e le prefetture ci hanno abbandonato al nostro destino”.

I CAS offrono in effetti un quadro speculare: i grandi centri, spesso molto affollati e caratterizzata da un’elevata e inevitabile promiscuità (con camere da letto e servizi igienici condivisi da molte persone), sono diventati un incubatore ideale per la diffusione del virus. Un’indagine condotta nei mesi di maggio e giugno 2020 (Costanzo et al., 2020) ha mostrato che l’82,4% dei contagi nei centri di accoglienza sono avvenuti nei CAS e specialmente in quelli in cui le persone contagiate non sono state isolate in luoghi dedicati. Il numero elevato di contagi ha avuto anche implicazioni rilevanti sulle prospettive di integrazione: un solo caso sospetto obbligava tutte le persone ospitate in un centro ad una lunga quarantena che – proprio a causa del sovraffollamento delle strutture – paradossalmente rischiava di creare ulteriori contagi, sia tra i migranti accolti sia tra gli operatori (una dinamica che si è verificata anche in altre istituzioni “totali”, come le prigioni o i centri di detenzione). Le lunghe (e spesso ripetute) quarantene obbligatorie hanno portato alla perdita del lavoro, in conseguenza dei contratti precari – se non del tutto inesistenti. Proprio il timore di perdere il lavoro ha portato spesso a nascondere i sintomi del COVID, con l’effetto di diffondere ulteriormente il virus. Un attivista di un’associazione di Treviso ha rimarcato le conseguenze negative di questa catena di problemi, affermando come esse abbiano profondamente minato “il successo dei progetti migratori e le possibilità di costruirsi una vita nella città”.

Nei CAS di grandi dimensioni si sono verificate situazioni di pesanti tensioni legate alla convivenza forzata in spazi sovraffollati. Nell’estate del 2020, nel CAS collocato nell’hinterland di Treviso, presso l’ex Caserma Serena, circa 250 dei 300 migranti accolti sono risultati positivi e costretti alla quarantena in una situazione di elevato sovraffollamento e con l’aggravante delle alte temperature estive. Ne è nata un’accesa protesta, a cui è seguita una dura repressione della polizia che ha portato anche a quattro arresti. Uno dei ragazzi arrestati, un richiedente asilo del Mali, si è poi suicidato in prigione. Nel commentare questo ed altri episodi simili, larga parte degli intervistati ha sottolineato come nei CAS la carenza di contatti con l’ambiente esterno e la scarsità di servizi di mediazione culturale abbiano creato le condizioni per un’escalation nella tensione, facendo diventare i centri delle vere e proprie “pentole a pressione”.

Come abbiamo accennato nell’introduzione, la stratificazione nei diritti si fa ancora più esplicita e drammatica per i migranti esclusi dal sistema di accoglienza per svariate ragioni (diniego della richiesta, espulsione dai centri per motivi disciplinari, fuoriuscita dai percorsi di accoglienza senza aver raggiunto un’autonomia abitativa), nonché per coloro che hanno cercato di arrivare in Italia durante la pandemia. Il 7 aprile 2020, infatti, il governo italiano ha dichiarato che i propri porti, per tutta la durata dell’emergenza nazionale, “non assicurano i necessari requisiti per la classificazione e definizione di Place of Satefy (luogo sicuro)” (decreto interministeriale n.150/2020). Successivamente, tutte le persone sbarcate o arrivate via terra hanno avuto l’obbligo di quarantena a bordo di alcune navi noleggiate (in alcuni casi anche degli autobus) e sono anche state sottoposte a procedure speciali per la registrazione delle richieste di asilo (Dossier Statistico Immigrazione, 2021).

Il ruolo dei governi regionali e locali nel mitigare o amplificare la stratificazione

Se l’accentuato dualismo del sistema di accoglienza ha esercitato un peso importante nell’avvallare una ulteriore stratificazione di diritti tra richiedenti asilo e titolari di permessi speciali da una parte, e titolari di protezione internazionale dall’altra, la nostra ricerca ha messo in luce anche il ruolo giocato dai contesti locali nel mitigare, o al contrario amplificare, l’impatto della pandemia.

Emblematici e speculari sono i casi di Emilia-Romagna e Veneto, così come di alcune città all’interno delle due regioni: mentre la Regione Emilia-Romagna ha attivamente collaborato con le Aziende Sanitarie Locali e le agenzie di welfare locale per contribuire  alla distribuzione dei dispositivi di protezione e al tracciamento e isolamento dei positivi (senza peraltro fare differenza tra tipologia di centri), la Regione Veneto ha invece mantenuto un basso profilo, rivendicando l’assenza di competenze dirette del livello di governo regionale nell’area della protezione internazionale.  A livello locale poi, l’entrata della Lega nella giunta del comune di Venezia, nel settembre del 2020, ha portato ad un taglio nei posti SIPROIMI (da 77 a 44 posti) mentre si era ancora nel pieno della crisi pandemica. Nel commentare questa scelta, un operatore sociale di Venezia ha affermato:

In tempo di grande difficoltà dovuta al COVID-19, la priorità principale del governo locale è stata mettere le mani sul SIPROIMI […]. Il SIPROIMI funziona bene, è ben consolidato: Venezia l’ha messo in piedi vent’anni fa. La ragione per cui lo si vuole smantellare è solo politica […], dopo il Decreto Salvini il SIPROIMI è diventato un oggetto politico, un oggetto su cui piantare bandierine politiche.

Anche il caso della ex caserma Serena di Treviso illustrato nella sezione precedente è stato oggetto di una forte strumentalizzazione politica: gli esponenti della destra radicale si sono scagliati con veemenza contro i migranti in protesta senza accennare alle condizioni inumane in cui erano stati relegati. E il sindaco della città il 30 luglio 2020 commentava l’episodio con queste parole:

Il nuovo focolaio all’interno della struttura genera un danno incalcolabile, anche in termini di immagine. […] Sono arrabbiato perché ora ci troviamo a fronteggiare una nuova emergenza. E la colpa non è dei nostri cittadini. [5]

Come uscire dalla spirale della stratificazione dei diritti?

È evidente che, per correggere la diversità di trattamento, di opportunità e – di fatto – di diritti a seconda del tipo di struttura in cui si viene indirizzati, è necessaria una volontà politica ad oggi assente. Più in generale, la politicizzazione dell’immigrazione e in particolare dell’asilo ha portato i decisori politici a inquadrare sistematicamente i servizi legati all’accoglienza come un mero costo senza considerare l’investimento che questi servizi, soprattutto se impostati con elevati standard qualitativi, possono produrre. In altre parole, l’investimento economico in strutture di accoglienza che offrono reali percorsi di inserimento sociale e lavorativo (invece che configurarsi, come accade in numerosi CAS, in luoghi che offrono poco più che vitto e alloggio) può portare ad una migliore coesione sociale dei contesti locali e ad un più rapido inserimento delle persone accolte nel tessuto produttivo. Nel lungo termine, peraltro, la logica del risparmio finisce per essere controproducente, perché porta ad un prolungamento del bisogno di assistenza una volta usciti dal sistema di accoglienza; costi che, nel post accoglienza, sono interamente a carico del welfare locale. Per uscire da questa impasse è fondamentale superare il dualismo del sistema che abbiamo descritto e dismettere una volta per tutte la logica dei centri di accoglienza straordinaria. La situazione di diminuzione significativa degli sbarchi che si protrae dalla seconda metà del 2017 renderebbe tra l’altro più sostenibile questa scelta. Il vero nodo per superare la cronica carenza di posti nell’attuale SAI (Sistema di Accoglienza e Integrazione, ex SIPROIMI) è abbandonare il principio dell’adesione volontaria degli Enti Locali. Una soluzione possibile, che ASGI (Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione) ha indicato a più riprese già dal 2015, è una riforma che trasferisca ai Comuni le funzioni amministrative per gestire l’accoglienza: si giungerebbe così al graduale assorbimento dei servizi specifici per l’accoglienza all’interno dei servizi sociali garantiti a livello territoriale, come parte del relativo sistema di welfare e, quindi, non più di carattere opzionale (Dossier Immigrazione 2021, 152-158). In questo modo, i Comuni non potrebbero più scegliere, come accade ora, se attivare un progetto SAI o meno, cioè se occuparsi o meno dei servizi di accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati: l’accoglienza diventerebbe parte integrante del welfare locale e si potrebbero fissare anche dei livelli minimi di assistenza a cui i Comuni dovrebbero attenersi.

 

[1] Si veda altreconomia.it/inchiesta-revoche-prefetture/

[2] Openpolis, Centri d’Italia, una mappa dell’accoglienza, 31 dicembre 2019.

[3] Ibid.

[4] Si veda www.libertaciviliimmigrazione.dlci.interno.gov.it/it/documentazione/statistica/cruscotto-statistico-giornaliero

[5]www2.comune.treviso.it/nuovo-focolaio-alla-caserma-serena-129-migranti-positivi-al-covid-19-il-sindaco-di-treviso-mario-conte-ora-lo-stato-paghi-i-danni

Per saperne di più:

Bazurli R., Campomori F. 2021 Further to the Bottom of the Hierarchy: The Stratification of Forced Migrants’ Welfare Rights amid the COVID-19 Pandemic in Italy, articolo presentato al Convegno Annuale della Società Italiana di Scienza Politica (SISP), 9-11 settembre 2021.

Costanzo, G., Di Napoli, A., Cammilli, M., Carletti, L., Rossi, A., Petrelli, A. & Mirisola, C. (2020). Indagine nazionale COVID-19 nelle strutture del sistema di accoglienza per migranti. Roma: Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e per il contrasto delle malattie della Povertà.

Hamlin, R. (2021). Crossing: How We Label and React to People on the Move. Stanford University Press.

Idos, 2021, Dossier Statistico Immigrazione 2021.

Morris L., 2003, Managing Contradictions: Civic Stratification and Migrants’ Rights, in International Migration Review, Vol.37, n.1, pp. 74-100.

Sainsbury, D. (2006) Welfare Immigrants’ Social Rights in Comparative Perspective: Welfare Regimes, Forms of Immigration and Immigration Policy Regimes, in Journal of European Social Policy 16(3), 229-244.

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