Ae n.270, maggio 2024

In Italia le politiche per l’abitare aumentano le diseguaglianze.

Pochi investimenti in edilizia residenziale mentre gli interventi fiscali a favore dei proprietari favoriscono le fasce più abbienti e danneggiano i giovani

Mentre infuriano le polemiche sul cosiddetto Superbonus, in Italia perdura l’assenza di un serio dibattito sulle politiche abitative. In verità, gli esperti hanno spesso cercato di stimolare la discussione pubblica, denunciando la mancanza di una politica per la casa nel nostro Paese. È davvero così? Non proprio, vediamo perché.
Da un lato i dati sono eloquenti nel mostrare lo scarso investimento pubblico volto a garantire una risposta ai bisogni abitativi, specie quelli delle fasce più deboli della popolazione. Eurostat certifica come nel 2021 in Italia la spesa pro-capite per le politiche sociali in questo settore fosse pari ad appena 11,50 euro, quasi dieci volte inferiore rispetto alla media europea (104,5 euro) e circa venti volte più bassa rispetto a Germania (199 euro) e Francia (210 euro).
Secondo una ricerca dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse, oecd.org) pubblicata nel 2023 a fronte di una media europea in cui otto case su cento sono in mano pubblica (mentre in Austria, Danimarca e Olanda sono venti su cento) in Italia sono poco più di due su cento: il divario tra domanda e offerta di edilizia residenziale pubblica è enorme. Inoltre il Fondo nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione è stato tradizionalmente sotto-finanziato e il Governo Meloni non ha perso l’occasione per depotenziarlo ulteriormente con l’ultima Legge di bilancio (la numero 213 del 2023). Una sorte simile ha avuto il Fondo morosità incolpevole -che sostiene i nuclei destinatari di sfratto perché non riescono a pagare il canone di locazione- le cui risorse sono state azzerate.
Siamo dunque fanalino di coda in Europa, non solo in quanto a (ir)rilevanza dell’edilizia pubblica, ma anche per ciò che concerne generosità e diffusione degli interventi diretti a sostenere le spese abitative di chi vive in affitto.
Vi è però anche l’altro lato della medaglia. Quegli interventi che utilizzano la leva fiscale nel campo delle politiche abitative: detrazione degli interessi sui mutui e per interventi di recupero del patrimonio edilizio (ristrutturazioni) ed esenzione dall’imposta sulla prima casa (Imu). Infatti, come riportato nel volume “La mano invisibile dello stato sociale” (Il Mulino, 2022) curato da Matteo Jessoula ed Emmanuele Pavolini, “quasi tutta la spesa in politiche abitative (98%) è veicolata tramite misure di welfare fiscale”, che sono rilevanti, costose (circa 13 miliardi di mancate entrate ogni anno) e, soprattutto, vanno a vantaggio dei proprietari di case (84%) e delle fasce più abbienti della popolazione.
Sostenere chi possiede case, erogare poco o nulla chi è in affitto e non finanziare l’edilizia pubblica ha drammatici effetti regressivi: sebbene la maggioranza degli italiani abbia un’abitazione di proprietà, l’affitto è infatti il titolo di godimento più diffuso tra le famiglie più povere e in questa situazione i bisogni abitativi sono sempre più diffusi.
Questo modello di politica della casa contribuisce a rendere l’Italia uno dei Paesi più diseguali in Europa e ha conseguenze specifiche per i “giovani”, che hanno maggiori difficoltà ad accedere all’edilizia pubblica e le cui condizioni abitative dipendono in gran parte dal nucleo di origine. Secondo un’indagine della Banca d’Italia (2016) il 16% delle famiglie ha ereditato la casa in cui vive, il 4% l’ha ricevuta in “dono” e l’8% vive gratuitamente in un alloggio di famiglia. A ciò va aggiunto il ruolo chiave di genitori e parenti nell’acquisto della prima casa o a sostegno dei costi d’affitto.
Fino a quando l’intervento pubblico si limiterà a sostenere i “proprietari” sarà difficile porre un freno alla riproduzione e alla trasmissione intergenerazionale delle disuguaglianze. Altrettanto complesso sarà favorire processi di emancipazione individuale nel Paese europeo in cui è più alto (dopo Croazia e Grecia) il numero dei giovani tra i 25 e i 29 anni che vivono con i genitori: il 71% contro una media del 42% nell’Unione europea.

 

Questo articolo è stato scritto da Marcello Natili e Matteo Jessoula per la rubrica mensile OCIS all’interno di Altreconomia.

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