FACT SHEET n.9 – Febbraio 2019 – Di Manuela Caiani Scuola Normale Superiore e OCIS
La destra radicale (populista e non) ha visto negli anni recenti una crescita costante e inarrestabile, con ripercussioni tangibili sullo stato della democrazia e delle politiche di inclusione in alcuni stati membri – come dimostrano i casi ungherese e polacco, dove i populisti al governo stanno attaccando il potere giudiziario e la stampa, definendo le identità nazionali in termini di etnia e religione e demonizzando gli avversari politici.
Se, infatti, intorno alla fine degli anni ’90 solo due governi in Europa (Austria e Slovacchia) erano guidati da forze populiste, oggi sono ben 11 i paesi europei (170 milioni di cittadini circa) che vedono partiti populisti al potere. Questi includono pochi partiti populisti di sinistra o “inclusivi” (es. Syriza in Grecia), caratterizzati da profili ideologici e agende di governo in cui trovano posto l’espansione universalistica del welfare e della partecipazione politica, e molti partiti populisti di destra radicale (o ‘esclusivi’), accomunati da una ideologia e programmi dove sono prominenti il nazionalismo (o etno-nazionalismo), sentimenti anti-establishment, valori ispirati al principio di ‘legge e ordine’ e xenofobia.
Il prossimo maggio, inoltre, sarà il momento della ‘madre di tutte le elezioni’ dell’Unione europea: le elezioni europee. Dovremmo aspettarci un ulteriore spostamento a destra della cartina politica europea? Secondo gli studiosi, quali potrebbero essere (e sono) i fattori di questa strabiliante ascesa? Come ben esemplificato dalla Figura 1, che mostra il peso elettorale dei partiti populisti esistenti in Europa al maggio 2018 (66 in tutto, di cui ben 55 di destra o “esclusivi”), se fino a due decenni fa il populismo in Europa era una forza marginale, che contava circa il 7% dei voti, nelle più recenti elezioni nazionali 1 europeo su 4 (circa il 25%) ha dato un voto a partiti populisti.
Figura 1. Peso elettorale dei partiti populisti in Europa (30 paesi, EU+ Norvegia e Svizzera).
Fonte: Paolo Graziano, Neopopulismi, (2018)
Partiti e movimenti di destra radicale sono in aumento in tutta Europa, da Est a Ovest, sia nell’arena elettorale che in termini di penetrazione e legittimazione sociale. Dal risultato storico dell’estrema destra in Svezia (Democratici Svedesi) attestatasi al 18% alle scorse elezioni (9 settembre 2018) alle recenti elezioni tenutesi nella Repubblica Ceca, dominate dal cosiddetto ‘Trump ceco’ (Babiš), leader del ‘Partito degli insoddisfatti’, che ha raggiunto il 30% dei voti. In Austria, il 15 ottobre scorso si è assistito al successo del partito di estrema destra Fpo (Partito della Libertà) che è entrato in un governo di coalizione e, similmente, il ‘Partito del progresso norvegese’ con oltre il 16% dei consensi alle elezioni parlamentari del 2013, per la prima volta nella storia del paese è entrato nel governo come formazione di destra radicale. Infine, pensiamo alla Germania dove poco più di un anno fa (elezioni federali del 24 settembre 2017) si è assistito all’importante risultato del partito di destra populista xenofobo AfD (Alternativa per la Germania), oppure al Fronte nazionale (FN – dal 2018 Rassemblement National) guidato da Marine Le Pen, in Francia, che ha raggiunto il secondo turno alle elezioni presidenziali del 2017.
L’ultimo tassello di questa serie inarrestabile di successi è stata la Spagna: alle recenti elezioni regionali andaluse del 2 dicembre 2018, l’estrema destra nazionalista e xenofoba di ‘Vox’ è diventata una forza politica rilevante, entrando in Parlamento con numeri sorprendenti (11%, con picchi del 30% in alcuni comuni dove è stato il partito più votato). Spesso classificata come destra radicale ‘latente’ per la sua debolezza organizzativa e frammentazione (Figura 2), la destra radicale è emersa nella sfera pubblica spagnola per la prima volta dalla caduta del franchismo.
Figura 2. La comunità della destra radicale in Spagna (n. di organizzazioni 86; rilevamento 2009-2010).
Fonte: Manuela Caiani e Linda Parenti, Il Web nero, (2013).
Del resto, l’Europa centro-orientale non fa eccezione. Solo per menzionare alcuni risultati recenti: l’ultranazionalista, antisemita e neofascista Jobbik (il ‘Movimento per una migliore Ungheria’), dopo aver ottenuto circa il 15% alle ultime elezioni europee (2014), si è assicurato un 20% alle elezioni nazionali dello stesso anno; così come in Slovacchia, il partito di estrema destra, anti-rom, anti-immigrazione, anti-ebrei e anti-Nato ‘Partito del popolo per la nostra Slovacchia’, ha ottenuto l’8% dei voti e 14 seggi alle elezioni del 2016 per il consiglio nazionale della Repubblica slovacca (il Parlamento locale). Infine, nella Repubblica Ceca il partito anti-immigrazione ed euroscettico ‘Libertà e democrazia Diretta’ ha ottenuto oltre il 10% dei voti alle elezioni nazionali del 2018.
Inoltre, insieme alla crescente importanza dei partiti di destra radicale, sono emerse nuove forme di movimenti di destra che funzionano spesso come incubatori di nuove idee politiche e organizzative: la nascita e diffusione del movimento anti-islamico PEGIDA che, con le sue ‘marce del lunedì’, dal 2014 ha attirato l’attenzione, ben oltre i confini tedeschi, di molti simpatizzanti nell’Europa settentrionale e centro-orientale, dando vita di fatto al più ampio movimento transnazionale anti-islamico dell’Europa contemporanea; i gruppi di ‘vigilanti’ anti immigrati chiamati ‘i soldati di Odin’ (nelle piccole democrazie del Nord); la veloce diffusione odierna dei cosiddetti ‘movimenti identitari’ in Francia, che fanno della definizione di popolo ‘esclusiva’ una loro cifra distintiva.
Va ricordato, infine, che il 2019 è l’anno di nuove e numerose elezioni nazionali in diversi paesi: dalle parlamentari in sette stati membri dell’UE (e in Svizzera) alle presidenziali in sei (oltre alla Macedonia e all’Ucraina).
Tuttavia, come sottolineano sociologi politici e scienziati della politica, il populismo non è un fenomeno nuovo in Europa: ad esempio, il partito radicale austriaco ‘della Libertà’ fu fondato nel 1956 da un precedente attivista nazista e per primo ottenne oltre il 20% dei voti nel 1994. Inoltre, diversi partiti populisti di destra hanno variamente, anche se non in modo uniforme e con fortune discontinue, ottenuto successi nel corso degli anni ‘90 (in Norvegia, Svizzera, Italia). Da allora il populismo anti-establishment è cresciuto a palla di neve, soprattutto successivamente alla crisi finanziaria del 2008 e alla crisi dei rifugiati del 2015 in Europa. Fra le possibili ragioni del successo populista, su cui attualmente si interrogano gli scienziati sociali e politici, si menzionano due tipi di fattori: alcuni di contesto, altri di natura individuale.
Tra i primi, la crisi della democrazia rappresentativa e in generale della fiducia nei partiti e nelle istituzioni politiche (da qui la presa sull’elettorato dell’appello anti-élites politiche, sia nazionali sia europee); fattori socio economici (come la recente crisi economico- finanziaria e i conseguenti sentimenti di deprivazione relativa); fattori culturali, quali la crisi della modernizzazione e l’incremento del senso di insicurezza. Più in particolare, se nel dibattito accademico la tesi della “mobilitazione dei perdenti della globalizzazione” è considerata la chiave per interpretare il successo della destra radicale populista, unitamente alle tesi che sottolineano l’emersione di “nuove fratture” nella società in cerca di partiti che le rappresentino o l’emergenza dello “scontro di civiltà” e “arretramento culturale” di cui questi partiti si farebbero portavoce, viene sempre più’ spesso considerato dagli studiosi il ruolo giocato dai leader carismatici e da Internet come nuovo strumento di mobilitazione e attivazione politica.
Tali partiti (anche grazie al web) stanno mobilitando i cittadini, preoccupati riguardo alla crisi europea finanziaria e fiscale, che ha creato insicurezza e dubbi sugli esistenti sistemi politici e sulle organizzazioni politiche tradizionali, presentate come corrotte, elitiste e lontane dalla ‘gente comune’. In aggiunta, l’Unione europea viene vista come una finestra aperta per i migranti che minacciano le culture nazionali e la sicurezza. Soprattutto nell’Europa orientale è stato notato che questi gruppi usano l’appello per un welfare sciovinista o nativista come metodo per unire pregiudizi razzisti a rivendicazioni politiche più economiche (e razionali), accusando le minoranze etniche e religiose (in particolare islamici e popolazione Rom) di essere ‘parassiti del welfare’.
Oltre agli studi che guardano alle cause di contesto del successo della destra radicale populista, ci sono inoltre studi che si concentrano sulle caratteristiche, valori e motivazioni individuali degli elettori di questi partiti. La Tabella 1 – tratta da uno studio realizzato in Germania sulla base di dati di sondaggio relativi ad una serie di elezioni a livello statale – mostra che il tipico profilo dell’elettore e attivista della destra radicale si identifica principalmente nelle seguenti caratteristiche: basso livello di educazione, 35-59 anni d’età, maschio, operaio o disoccupato, basso livello di soddisfazione nella democrazia e fiducia nelle istituzioni, paura nei confronti dell’immigrazione e aspettative di ‘discesa’ sociale.
Tabella 1. Profilo medio dell’elettore-tipo della destra radicale in Germania (ad esempio, AfD – Alternativa per la Germania).
Età | 35-59 |
Sesso | Maschio |
Professione | Operaio, disoccupato |
Istruzione | Bassa/media |
Origine politica | Non votante, partito conservatore (CDU), partiti minori, partito socialdemocratico (SPD), sinistra |
Soddisfazione per la democrazia e i partiti | Bassa |
Paura per l’immigrazione | Alta |
Aspettativa di ‘discesa’ sociale | Alta |
Tema rilevante | Terrore, criminalità, rifugiati |
Fonte: Dati tratti dal progetto Infratest Dimap (URL: http://wahl.tagesschau.de/wahlen/2017-09-24-BT- DE/umfrage-alter.shtml).
Riguardo alle previsioni per le prossime elezioni europee, i sondaggi prevedono che i partiti populisti oggi al governo perderanno consensi: per esempio, il partito dei Verdi in Finlandia e Syriza in Grecia (come pure dei Greci indipendenti). Perfino il Partito popolare danese, che appoggia il governo liberale di minoranza, è previsto in (modesto) calo. L’eccezione più significativa, rispetto a questa tendenza generale, è quella della destra radicale populista rappresentata dal partito polacco ‘Diritto e giustizia’ (Pis), che nonostante le opposizioni interne e critiche internazionali (es. da parte dell’Unione europea), ha guadagnato popolarità crescente (Mudde 2016). Inoltre, si prevede che molti altri partiti radicali o populisti di destra, ora all’opposizione, otterranno risultati eccellenti: nello specifico, il Vlaams Belang (‘Interesse fiammingo’) in Belgio e il partito populista di destra al momento meno conosciuto in Europa, il Partito popolare dei conservatori in Estonia, che si dovrebbe attestare intorno al 15%. Per concludere, nel complesso la sfida della destra radicale nella sua variante populista è destinata ad essere sempre più significativa, sebbene l’attività di governo non sia – perlomeno nei paesi occidentali dell’Unione Europea – particolarmente premiante. Sono e rimangono prevalentemente partiti ‘di lotta’, e solo raramente quando vanno al governo riescono a rafforzarsi. Vedremo se le numerose elezioni nazionali e le elezioni europee del 2019 confermeranno o meno tale lettura del fenomeno.’
Per saperne di più:
Caiani, M. e L. Parenti (2013), Il Web nero, Bologna: Il Mulino
Graziano P. (2018), Neopopulismi, Bologna: Il Mulino.
Mudde, C. (2016), The Populist Radical Right: A Reader, London: Routledge.
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