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FACT SHEET n.6 – Settembre 2017 – Di Marcello Natili, Università degli Studi di Milano

La Grande Recessione ha avuto un forte impatto sulle condizioni di vita dei cittadini Europei. Se nella seconda fase della Strategia di Lisbona (2005-2009) gli indicatori di povertà ed esclusione sociale mostravano un lieve miglioramento, la situazione è divenuta fortemente negativa a partire dal triennio 2009-2012. Ciò, nonostante la “overarching strategy” dell’UE lanciata nel 2010 e denominata Europa 2020 avesse posto come obiettivo una sostanziale riduzione della povertà: la Commissione Europea si proponeva infatti di far uscire almeno 20 milioni dalla condizione di povertà ed esclusione sociale entro il 2020.

Tabella 1. Persone a rischio povertà ed esclusione sociale (AROPE), UE 27 (% della popolazione totale), 2005-2015Fonte: Dati Eurostat

Come mostra la tabella 1, le cose sono andate in maniera differente. L’Unione Europea utilizza tre diversi indicatori per misurare la povertà, che vanno a comporre l’indice delle persone a rischio povertà ed esclusione sociale (AROPE, tabella 1). Analizzando l’evoluzione di questo indicatore, è possibile distinguere tre fasi tra il 2005 e il 2015: nel periodo 2005-2009, povertà ed esclusione sociale nell’UE sono diminuite dal 25,8% (circa 124 milioni di persone) a 23,3% (114 milioni). Dopo questo periodo, il rischio povertà è cresciuto significativamente, andando a riguardare il 24,7% della popolazione europea (circa 123 milioni) nel 2012, un valore simile a quello del 2005. Questo trend nasconde differenze significative – come mostra il fatto che paesi come Austria, Germania, Lussemburgo e Polonia non hanno conosciuto alcuna crescita della povertà in questo periodo. In seguito, l’incidenza del rischio povertà ed esclusione sociale è diminuita, ma nel 2015 comunque riguardava il 23,7% della popolazione (117 milioni), un valore ancora superiore a quello del 2009. La situazione nei singoli stati membri è diversificata. Nel 2015, la percentuale delle persone a rischio povertà e/o esclusione sociale varia, infatti, da circa il 40% della popolazione in Bulgaria al 15-16% in Repubblica Ceca, Olanda o Svezia.

Tabella 2. Indice di grave deprivazione materiale (SMD) EU 27 (% della pop. totale), 2005-2015Fonte: Dati Eurostat

Anche l’indicatore di grave deprivazione materiale[1] (SMD) ha avuto un’evoluzione simile (tabella 2). Nel periodo 2005-2009, il numero delle persone gravemente deprivate è diminuito in Europa da 52 milioni (10,2%) a 40 milioni (8,2%). Tuttavia, gli anni successivi sono stati caratterizzati da una crescita sostanziale dell’indicatore – dal 8,2% nel 2009 al 9,8% nel 2012 – dovuto soprattutto a un drammatico incremento nelle aree più fortemente colpite dalla Grande Recessione, cioè i paesi dell’Europa dell’Est e del Sud, in particolare Grecia (dove l’indicatore di deprivazione materiale cresce di 8,5 punti), Italia (+7,2), Lituania (+4,2%) e Ungheria (+6). Da sottolineare come le differenze in termine di diffusione della deprivazione materiale all’interno dei paesi che compongono l’Unione Europea  siano oggi ancora più evidenti anche per quanto concerne gli altri indici (tasso di povertà relativa, tasso di famiglie a bassa intensità di lavoro, AROPE), con una variazione tra il 34,2% della Bulgaria allo 0,7% in Svezia. Infine, l’indicatore di bassa intensità lavorativa[2] coglie un’altra dimensione rilevante: la diffusione in Europa di nuclei familiari “esclusi” dal mercato del lavoro, in quanto nessun componente lavora, oppure è occupato in attività lavorative in modo discontinuo e poco intenso. Anche per questo indicatore si osserva una generale diminuzione fino al 2009 e un successivo aumento a partire dall’anno dopo, sebbene sia da registrare un’importante differenza rispetto agli altri indicatori di povertà: nel 2015, questo è infatti ancora significativamente superiore rispetto al 2008, e sono quasi 40 milioni le persone interessate nell’Unione Europea.

[1] L’indicatore di grave deprivazione materiale è dato dalla percentuale di persone che vivono in famiglie che sperimentano almeno quattro tra i seguenti nove sintomi di disagio: impossibilità di riscaldare adeguatamente l’abitazione, di avere un pasto proteico almeno una volta ogni due giorni, di fare una settimana di ferie all’anno lontano da casa, di potersi permettersi un televisore a colori, o una lavatrice, o un’automobile, o un telefono, oppure l’essere in ritardo nel pagamento di bollette, affitto o mutuo.

[2] L’intensità del lavoro è convenzionalmente definita come il rapporto fra il numero totale di mesi lavorati dai componenti della famiglia e il totale di mesi teoricamente disponibili per attività lavorative durante l’anno.

Figura 1. Indice di bassa intensità lavorativa in alcuni paesi dell’UE 27, anni 2005-2015.

Fonte: Elaborazione dell’autore da dati Eurostat

Questi dati mostrano anche come in Italia, l’aumento delle povertà, e in particolare quella estrema, sia stato particolarmente drammatico. Tutti gli indicatori utilizzati evidenziano come la diffusione della povertà in Italia sia superiore rispetto alla media europea, e la sua crescita durante la Grande Recessione particolarmente accentuata. Una conferma arriva anche dall’evoluzione dell’indice di povertà assoluta stimato dall’Istat, che mostra un incremento complessivo del 154,8% dal 2007 al 2016 (tabella 3).

Tabella 3. Evoluzione Indice di povertà assoluta in Italia, 2007 – 2016.

Fonte: Elaborazione dell’autore da dati Istat consultati il 1 settembre 2017

Questi dati sono inoltre particolarmente interessanti se li scorporiamo per fasce d’età. Diviene così possibile mostrare come gli effetti della crisi sono stati particolarmente drammatici per minori e “giovani”, fasce sociali sovente dimenticate dal nostro sistema di protezione sociale.

Per saperne di più:

Atkinson, A., Guio, A.C. and Marlier, H. (2017) Monitoring Social Inclusion in Europe. Eurostat Statistical Book

Saraceno, C. (2015). Il lavoro non basta. La povertà in Europa negli anni della crisi. Milano, Feltrinelli.

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