AE MARZO

Ae n.224, marzo 2020

La riforma delle pensioni in Francia: égalité, universalité, solidaritè?

Il governo sostiene di voler introdurre un sistema unico tra privato e pubblico. Ma non tutti i cittadini sono d’accordo

Negli ultimi anni il tema delle pensioni è stato al centro dell’agenda politica in tutti i Paesi europei. In Francia, dal 5 dicembre 2019, si sono tenute diverse manifestazioni di protesta derivanti dal timore di una proposta di riforma delle pensioni, presentata a fine gennaio 2020. Fino a quella data, il dibattito pubblico si era animato a partire dalla presentazione dei risultati di uno studio, il Rapport Delevoye, che ha costituito il punto di riferimento per una proposta di riforma volta, nelle parole del rapporto stesso, a dar vita a un sistema pensionistico “più semplice e più giusto per tutti”. Slogan a parte, l’obiettivo del governo è duplice: da un lato, rendere “sostenibile” la spesa pensionistica attualmente intorno al 14% del Pil; dall’altro, mettere ordine nella giungla dei 42 schemi pensionistici esistenti proponendo un modello “universale” a punti che varrebbe per tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori. In opposizione alla riforma, tra l’inizio di dicembre 2019 e la fine di gennaio 2020, si è sviluppato un movimento di protesta straordinario. Il 24 gennaio 2020 il governo francese ha reso pubblico il progetto di legge che chiarisce definitivamente i contenuti della proposta: l’obiettivo resta l’introduzione di un sistema universale che non consenta più distinzioni tra le regole pensionistiche per i dipendenti privati e per dipendenti pubblici. Va ricordato come una delle argomentazioni messe in campo dal governo riguarda proprio le differenze tra lavoratori pubblici e privati: non solo in termini di trattamento pensionistico (il calcolo della pensione per chi lavora nel settore pubblico è pari al 75% del salario medio degli ultimi sei mesi di stipendio, mentre per il settore privato il calcolo è pari al 50% del salario medio dei più lucrativi 25 anni di vita lavorativa), ma anche in termini di età effettiva di pensionamento (63 anni in media per i lavoratori privati, di età variabile ma talvolta inferiore ai 55 anni per i dipendenti pubblici). L’argomentazione del governo francese è che il sistema abbia bisogno di maggiore equità, intesa come trattamento omogeneo delle diverse categorie.

85%
del salario minimo: il livello della pensione minima nel progetto di riforma in Francia

 

Al contempo, il progetto di riforma prevede la transizione a un metodo di calcolo della pensione cosiddetto “a punti”, che valorizza l’attività lavorativa, nel quale la tutela dei lavoratori part-time, atipici e/o con carriere frammentate sarebbe affidata a un incremento della capacità redistributiva del sistema: ciò avverrebbe tramite la fissazione della pensione minima contributiva all’85% del salario minimo oltre che con la valorizzazione dei periodi di disoccupazione e una maggiorazione per ogni figlio nel calcolo della pensione. Gran parte dei sondaggi disponibili rilevano che la maggioranza dei francesi (intorno al 70%) vorrebbe una riforma delle pensioni ma al tempo stesso metà popolazione francese si dice d’accordo con i manifestanti. Non sappiamo ancora come andrà a finire; tuttavia, l’aspetto interessante del progetto di riforma francese, per quanto concerne il calcolo delle prestazioni, consiste nel riconoscimento che una maggiore portata redistributiva dei sistemi pensionistici è necessaria. Ciò che manca nel progetto di riforma è un ripensamento più radicale del nesso lavoro-pensione che possa assumere la forma, ad esempio, di una “pensione di base” uguale per tutti i residenti per ridurre ai minimi termini la povertà nella fase di pensionamento, dopo carriere in mercati del lavoro sempre più flessibili.

 

Questo articolo è stato scritto da Paolo Graziano e Matteo Jessoula per la rubrica mensile OCIS all’interno di Altreconomia.

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