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NOTA n.1 – Marzo 2020 – Di Emmanuele Pavolini, Università degli Studi di Macerata

OCIS si è recentemente occupata del tema dello stato della sanità italiana tramite due interventi redatti dal sottoscritto (Fact Sheet, 10/2019 e Policy Memo, 10/2019). I due interventi mettevano in chiaro quali siano le principali luci ed ombre del nostro sistema sanitario nazionale (SSN) e lo facevano in tempi non sospetti rispetto alla crisi attuale (era l’ottobre 2019).

Rimandando ai due testi sopra menzionati per gli approfondimenti necessari, è utile rileggere oggi i punti essenziali messi a suo tempo in luce per poi riflettere su quanto sta drammaticamente accadendo ora e su quanto sarà necessario fare in futuro. Innanzitutto, il documento metteva in chiaro un aspetto fondamentale, che risalta drammaticamente ora in piena crisi: il nostro SSN ha assicurato e continua ad assicurare una buona qualità della cura. Tuttavia, esso presenta tre elementi critici, che adesso rischiano di diventare esplosivi: la limitatezza delle risorse economiche messe a disposizione del SSN; l’eccessivo carico posto sulle spalle degli operatori della sanità (dai medici agli infermieri e alle altre figure professionali) in termini di condizioni di lavoro; le diseguaglianze nell’accesso ai servizi.

Rispetto alle polemiche di questi giorni, con vari fonti che parlano di tagli draconiani alla sanità italiana degli ultimi anni, occorre essere più precisi. La figura 1 mette in luce quanto è successo alla spesa pubblica sanitaria in Italia nel medio periodo. È utile impiegare come indicatore la spesa pro-capite a prezzi costanti per capire se un aumento della spesa nel corso del tempo sia dovuto ad un effettivo incremento delle risorse immesse nel SSN o dipenda invece dall’inflazione (la spesa aumenta solo nominalmente ma non realmente) o da un aumento della popolazione nel suo complesso (la spesa aumenta perché vi sono più persone). Se prendiamo l’ultimo ventennio (dal 2000 al 2018), notiamo che la spesa è aumentata e non diminuita. Tuttavia, questo aumento si è verificato sostanzialmente nel primo decennio del XXI secolo, mentre nell’ultimo decennio vi sono stati prima tagli e poi stabilità nella spesa, che però non è tornata ai livelli pre-crisi.

Figura 1 Andamento nel tempo della spesa pro-capite pubblica in sanità in Italia (spesa espressa in euro e a prezzi costanti 2010) (anni 2000-2018)  

Fonte: elaborazione da OECD Health Statistics online database (2020) (https://stats.oecd.org)

Inoltre, dato anche più preoccupante, l’Italia nell’ultimo ventennio ha complessivamente perso terreno rispetto a buona parte del resto dell’Europa occidentale: pur avendo aumentato la spesa, lo ha fatto meno di tanti altri paesi. L’Italia è un paese che ormai da due decenni spende (molto) meno per la salute di ciascuno di noi rispetto all’Europa occidentale (tabella 1, ripresa da Fact Sheet 10/2019). Già nel 2000 la spesa pro-capite pubblica in sanità in Italia era di circa il 9% più basso della media dei paesi dell’UE-15. In altri termini, nel 2000 per ogni 100 euro spesi in sanità pubblica per un cittadino dell’Europa occidentale, l’Italia ne spendeva 91. La situazione è precipitata negli anni della crisi. Nel 2018 il nostro paese spendeva oltre un quarto di meno per ciascuno di noi rispetto alla media dell’UE-15.

Tabella 1. Le risorse economiche per la sanità pubblica in Italia in ottica comparata nel tempo (spesa pubblica italiana pro-capite in sanità espressa in percentuale di quella media dell’UE-15 a parità di potere di acquisto)

2000200520102018
91%90%83%73%

Fonte: elaborazione da OECD Health Statistics online database (2019) (https://stats.oecd.org) – tabella tratta da FACT SHEET OCIS n.10 – Ottobre 2019

Quindi, l’Italia nel medio periodo (venti anni) non ha tagliato la spesa: oggi si spende di più pro-capite di quanto si facesse nel 2000. Tuttavia, ha fatto tagli nell’ultimo decennio e soprattutto spende per ognuno di noi molto meno di quanto fanno mediamente gli altri paesi dell’Europa occidentale. La domanda da porsi è, quindi, perché gli altri paesi europei spendono più di noi? Siamo efficienti noi e gli altri spreconi?

Di certo, l’Italia ha fatto passi avanti nell’efficienza del sistema sanitario, al di là dei lamenti che regolarmente fino a pochi mesi fa si alzavano sul tema e chiedevano (chiederanno?) ulteriori tagli, efficienza e spending review. Tuttavia, non va dimenticato che la spesa pro-capite altrove è cresciuta più che da noi per tenere dietro a due tendenze non controllabili semplicemente con migliore efficienza nell’uso delle risorse: l’invecchiamento della popolazione (buona parte della spesa sanitaria si concentra sulle fasce più adulte ed anziane della popolazione, anche in tempi di non coronavirus, e quindi se aumentano gli anziani aumenta il bisogno e… dovrebbe aumentare la spesa); la tecnologia (parte della spesa è guidata da innovazioni nei macchinari per diagnosi e cura, così come da nuovi farmaci, che migliorano la qualità della cura e, spesso, della vita). Pertanto, la nostra efficienza di questi anni (ripeto, con buona pace di alcuni che ancora continuano a pretendere spending review in sanità…) è già encomiabile ma non è in grado di coprire i buchi che un limitato aumento della spesa nel medio periodo – e addirittura tagli nell’ultimo decennio – ha creato.

A pagare le spese in questi ultimi decenni (soprattutto l’ultimo) di un sistema che regge sotto il profilo della performance, ma con risorse finanziarie calanti (e ormai scarse), sono stati i lavoratori e alcuni gruppi sociali. Ripeto quanto scritto ad ottobre. Per quanto riguarda i lavoratori, nell’ultimo decennio il blocco delle assunzioni, che ha riguardato anche la sanità, ha accentuato due caratteri già tipici del SSN: la scarsa presenza relativa di infermieri e una forza lavoro di medici che va invecchiando e calando numericamente. La tabella 2 ci mostra in maniera impietosa lo stato delle risorse umane nella sanità italiana in ottica comparata. Rispetto agli altri paesi considerati nella tabella, l’Italia ha molto meno personale in campo sanitario e sociale. Inoltre, specificatamente in campo sanitario ha relativamente pochi infermieri e una forza lavoro di medici, abbastanza in linea con quella di altri paesi ma molto più “invecchiata”: oltre la metà dei medici italiani ha più di 55 anni.

Tabella 2. La dotazione di risorse umane nella sanità italiana in ottica comparata (anno 2016)

N° di professionisti in sanità e servizi sociali ogni 1000 abitantiN° di infermieri ogni 1000 abitantiN° di medici ogni 1000 abitanti% di medici con almeno 55 anni su totale dei medici
Francia58,510,23,145,6
Germania69,712,84,245,7
Italia31,35,63,953,1
Svezia85,310,94,143,7
Regno Unito59,27,92,825,7

Fonte: elaborazione da OECD Health Statistics online database (2020) (https://stats.oecd.org)

Inoltre, la spesa sanitaria pubblica pro-capite più bassa che in molti altri paesi ha comportato un maggiore esborso di risorse da parte dei cittadini. Chiaramente, non tutti possono permettersi di pagare di tasca propria prestazioni sanitarie e, quindi, accanto a una incidenza della spesa privata in sanità più alta che altrove in Europa occidentale, vi è una fetta di popolazione comparativamente più consistente, concentrata fra quella a redditi bassi e medio-bassi, che afferma di dover rinunciare ad alcune cure sanitarie per motivi di costo, distanza o liste di attesa. Infine, specificità tutta Italia, oltre che per classe sociale, i problemi di accesso e di qualità delle cure assumono un grado e una intensità differenti a seconda del territorio, con le regioni del Sud Italia in genere nettamente più svantaggiate rispetto a quelle del Centro-Nord.

Due punti importanti vanno, infine, sottolineati rispetto alle critiche che vengono indirizzate a come è stato gestito il SSN in questi ultimi decenni. Primo, realisticamente fino a pochi mesi fa pochissimi (per non dire quasi nessuno) di coloro che si occupavano di sanità pensavano che la sfida al SSN sarebbe arrivata da una epidemia (tanto meno da una pandemia). Il pensiero che si è affermato (condiviso anche dal sottoscritto) era invece quello di dover rafforzare il sistema di intervento non tanto rispetto alle acuzie (su cui molti passi avanti si sono fatti in questi decenni) quanto verso la cura delle cronicità. Negli ultimi decenni era questa l’area di bisogno socio-sanitario largamente in espansione. Quindi, la logica che ha guidato la trasformazione di molti sistemi sanitari occidentali è stata: meno posti letto per acuti in ospedale e più attività di ambulatoriale/specialistica sul territorio, più strutture socio-sanitarie residenziali (ad esempio, RSA) e più interventi domiciliari. L’Italia da questo punto di vista non è stata totalmente in grado di effettuare la transizione ed è rimasta in mezzo al guado. Si sono chiusi reparti ospedalieri e in una parte del paese (soprattutto il Centro-Sud) non si sono rafforzate adeguatamente le reti di intervento territoriali. Nel momento in cui è arrivato un fenomeno drammatico e inaspettato per quasi tutti gli esperti in sanità come il coronavirus, il nostro paese si è ritrovato con meno posti letto in ospedale, ma senza neanche una adeguata dotazione di servizi socio-sanitari residenziali e territoriali, e con un numero decrescente di medici ed infermieri, che già da un decennio stavano (sup-) portando sulle proprie spalle i tagli alla sanità. La tabella 3 serve di nuovo per contestualizzare il caso italiano in ottica comparata. Il numero di posti letto ospedalieri per acuti in Italia è relativamente contenuto ma non è molto differente da quello che avviene in molti altri paesi. Semmai, da questo punto di vista la Germania (un paese di cui si discute molto in questi giorni sui mass media) è un caso “anomalo” rispetto a tutti gli altri. Il problema è che gli altri paesi hanno investito molto più che in Italia in tutto ciò che non è acuto ospedaliero.

Tabella 3. Dotazione e caratteristiche dei posti letto nel sistema sanitario e socio-sanitario italiano (anno 2016)

N° di posti letto per acuti negli ospedali ogni 100 mila abitantiN° di posti letto per riabilitazione e lungodegenze negli ospedali ogni 100 mila abitanti% anziani (non autosufficienti) ospitati in strutture residenziali extra-ospedaliere
Francia3092054,0
Germania6021993,8
Italia262562,0
Svezia204n.d.6,0
Regno Unito211n.d4,2

Fonte: elaborazioni da OECD Health Statistics online database (2020) (https://stats.oecd.org) e da Eurostat online database

Quest’ultima riflessione ci porta alle conclusioni del nostro ragionamento. Nell’ultimo ventennio, ed in particolare nell’ultimo decennio, indipendentemente da chi abbia governato a livello nazionale, non si è avuto un serio investimento in sanità. Anzi. Alcuni segnali in positivo sono giunti con l’ultima legge di Stabilità dello scorso dicembre. Tuttavia, vi è un problema generalizzato di scarsa attenzione alla cura e alla manutenzione della sanità pubblica. Come scrivevo alcuni mesi fa nel Policy Memo sopra citato, se si osservano in prospettiva comparata il livello (scarso) di risorse economiche investite nella sanità pubblica nell’ultimo ventennio e i buoni risultati in termini di cura e di salute ottenuti rispetto a quanto avvenuto in molti altri paesi occidentali, possiamo parlare di un ‘quasi miracolo’: riuscire ad avere una buona sanità pubblica con limitate risorse. Aggiungevo in quel testo che le possibilità che il ‘quasi miracolo’ continui si stanno, però, rarefacendo, dato che si basavano sul super-sfruttamento della professionalità, etica e disponibilità di chi opera in sanità e sulla capacità di spesa privata di molte famiglie. Il crescente disinvestimento nelle risorse umane stava minando la resilienza del personale in sanità, crescentemente oberato di incarichi. Tutto ciò avveniva prima dell’emergenza Coronavirus…

La ricetta quasi banale che si proponeva in quella sede era: la sanità pubblica italiana ha semplicemente bisogno di più risorse finanziarie. Il SSN è migliorabile, ma ha già raggiunto un buon, se non ottimo livello, di performance gestionale e professionale. Non sono necessari chissà quali interventi di ingegneria istituzionale o manageriale per mantenere il SSN a livelli adeguati: bastano più soldi per investimenti in assunzioni e per il personale (a partire da più borse di studio per gli specializzandi nelle discipline mediche), oltre che in manutenzione/ampliamento di servizi e strutture. Indubbiamente la capacità di azione del SSN è migliore al Centro-Nord Italia rispetto al Sud, dove ancora c’è molto da fare in termini di efficientamento e appropriatezza degli interventi pubblici. Tuttavia, il tema della spesa resta centrale e ritengo opportuno concludere queste riflessioni con una domanda: come mai la politica in questi anni ha prestato attenzione a tanti temi importanti, relativi alla protezione sociale delle persone, aumentando considerevolmente la spesa pubblica in un periodo di austerity (dalle pensioni con “Quota 100” al Reddito di Cittadinanza nel campo del contrasto alla povertà per fare i due esempi più recenti) ma ha trascurato la sanità (e si dovrebbe aggiungere, il sistema educativo e le politiche per la cura di bambini e anziani)? Sicuramente una parte della risposta va cercata nella drammaticità della situazione italiana dell’ultimo decennio, che ha spinto l’attenzione della politica verso alcune direzioni piuttosto che altre (ad esempio, dal 2007 al 2018 i poveri relativi sono passati da circa 6 milioni a 9 milioni). Purtroppo, la sanità è rimasta indietro. Tuttavia, dato che viviamo in democrazia, occorre evitare di dare la colpa solo alla politica. In democrazia funziona un principio di competizione / collaborazione che si basa sulla domanda di interventi (politiche) da parte di cittadini, imprese e società civile e sull’offerta di interventi da parte di partiti e governi. Se la sanità non ha acquisito un ruolo importante nell’agenda dei governi dell’ultimo decennio (in realtà sarebbe più appropriato riferirsi all’ultimo ventennio) è stato sicuramente per miopia della politica che, anche per tante ragioni comprensibili si è data altre priorità, ma anche per scarsa attenzione di cittadini, imprese e società civile, anche essi (noi) abbastanza miopi da non mettere la sanità ai primi posti delle loro richieste ai partiti. La pandemia in atto ci ricorda drammaticamente come il nostro paese non si possa permettere di continuare la tendenza dell’ultimo ventennio. Tutto ciò richiede sicuramente una classe politica adeguata (decenni fa, prima dell’ondata del neopopulismo approssimativo e da tastiera degli ultimi anni, avremmo scritto che abbiamo bisogno di una ‘élite modernizzante’, utilizzando con accezione positiva i termini di ‘élite’ e “modernizzazione”), ma anche una società civile che si mobilita concretamente e mette il rilancio ed il sostegno alla sanità pubblica (unitamente all’istruzione e al sostegno alle attività di cura delle famiglie) al centro delle domande di tutela fatte alla politica. Se dopo la fine della crisi pandemica attuale la società civile e i cittadini non si organizzeranno e non chiederanno maggiore attenzione alla sanità, limitandosi a ringraziare gli eroi della sanità, che stanno pagando un prezzo altissimo in termini di salute, il dramma che stiamo attraversando in questo periodo non ci avrà insegnato a sufficienza quali sono le priorità a cui dobbiamo guardare come paese e su quali punti pretendere prioritariamente risposte adeguate dalla classe politica e dalle istituzioni.

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