Ae n.223, febbraio 2020
La spesa sociale e il nodo dell’equità.
La fiscalità generale ha un ruolo centrale nel finanziamento del welfare. Sono necessarie azioni incisive in tema di lotta all’evasione fiscale
La limitatezza delle risorse per il finanziamento della protezione sociale è tema ricorrente nel dibattito pubblico italiano. Ma quanto spende l’Italia per i programmi di welfare (pensioni, sanità, disoccupazione, povertà, etc.) rispetto agli altri Paesi europei? Com’è evoluta la spesa sociale? E com’è finanziata? Le statistiche (Eurostat) ci dicono cose differenti. Se consideriamo la spesa lorda -l’indicatore più utilizzato- l’Italia appare tra i big spenders nell’Unione europea, con un livello di spesa per la protezione sociale pari al 29,7% del Prodotto interno lordo 2016, superiore al 28,2% della media dell’Ue a 28 Paesi -mentre nel 2005 l’Italia presentava ancora una spesa lorda inferiore alla media europea (25,3% contro 26,0%)-. Tale scarto non è tuttavia dovuto a un più sensibile aumento della spesa per la protezione sociale in Italia rispetto agli altri Paesi membri -al contrario, la spesa in termini reali è cresciuta in misura minore in Italia tra il 2005 e il 2016- bensì alla più modesta dinamica del Pil nel nostro Paese a partire dal 2005. Inoltre, se si osserva la spesa netta per la protezione sociale -che, a differenza di quella lorda, sconta il prelievo fiscale operato sulle prestazioni sociali- l’Italia esce dal gruppo di Paesi ad alta spesa, con un livello pari al 26,2%, in linea con la media Ue28 (26,1%) e inferiore a Paesi come Francia, Finlandia, Belgio, Danimarca, Regno Unito, Austria e Germania. Infine, considerando la spesa pro capite a parità di potere d’acquisto, il dato italiano risulta addirittura inferiore alla media.
Tra il 2005 e il 2016, inoltre, anche la composizione interna della spesa sociale è mutata in modo significativo: mentre la risorse destinate a pensioni e sanità sono diminuite, rispettivamente dal 51,3% al 48,7% e dal 26,7% al 23,1% della spesa totale -per effetto delle misure di riduzione dei costi adottati nel triennio 2009-2011- due settori hanno registrato una robusta espansione: le politiche di contrasto alla disoccupazione -per le quali la spesa è cresciuta dall’1,9% al 6,1% del totale- e le misure (specie quelle monetarie) a favore di famiglie e bambini, per le quali le risorse sono cresciute dal 3,9% al 6,2%.
Chi paga? Come in altri Paesi europei, il sistema di finanziamento è misto: le risorse provengono in parte dai contributi sociali versati da lavoratori e datori di lavoro -specialmente nei settori pensionistico e di tutela della disoccupazione- in parte dalla fiscalità generale, soprattutto per il finanziamento del sistema sanitario, delle prestazioni di contrasto alla povertà e dei servizi di cura.
50,5%
La quota di spesa sociale finanziata tramite la fiscalità generale in Italia
È interessante notare come, tra il 2005 e il 2016, vi sia stata una sensibile variazione nel contributo relativo apportato da contributi sociali e fiscalità generale, con quest’ultima che (di poco) costituisce oggi la fonte primaria di finanziamento: 50,5% rispetto al 45,5% di un decennio prima. Tale sviluppo potrebbe in effetti rivelarsi positivo per la sostenibilità del welfare state italiano, poiché non solo allarga il bacino di prelievo delle risorse (la comunità di redistribuzione) oltre i confini del mondo del mondo del lavoro, su cui grava invece l’onere nel caso del finanziamento contributivo, ma rende il prelievo anche maggiormente progressivo. Tuttavia, date le note lacune del sistema fiscale italiano, il maggiore ruolo della fiscalità generale nel finanziamento del sistema di welfare deve essere accompagnato da incisive azioni sul terreno della lotta all’evasione fiscale al fine di combinare efficacia ed equità nel prelievo.
Questo articolo è stato scritto da Matteo Jessoula per la rubrica mensile OCIS all’interno di Altreconomia.
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