SOCIAL COHESION PAPER n.2 – Settembre 2016 – Di Francesca Campomori, Università Ca’ Foscari di Venezia
Anche se il numero delle persone straniere residenti nel nostro paese ha cominciato a crescere già alla fine degli anni Settanta, l’Italia ha abbozzato un’agenda politica sul tema immigrazione solo verso la metà degli anni Ottanta, quando gli arrivi sono diventati più consistenti e la presenza di immigrati più visibile e a volte fonte di conflittualità. In altri grandi paesi del centro e nord Europa l’immigrazione era un fatto già da oltre tre decenni.
Inoltre, a differenza di paesi come la Germania, la Francia e la Gran Bretagna, che hanno cominciato la loro storia di paesi di immigrazione durante il “Trentennio glorioso” (1945-1975), l’Italia è diventata paese di destinazione per gli immigrati in un periodo in cui la situazione economica era compromessa e la disoccupazione nel nostro paese stava crescendo. Di fatto, in seguito alla crisi petrolifera, e quindi dalla metà degli anni Settanta, nei paesi dell’Europa occidentale l’immigrazione è passata dall’essere percepita come una “soluzione” alla carenza di manodopera (in paesi in forte espansione economica) all’essere rappresentata come un problema e un peso per sistemi di welfare in crisi. Dalla metà degli anni Settanta infatti nei paesi dell’ Europa occidentale è cessata l’era del reclutamento di manodopera straniera su larga scale ed è cominciata rapidamente l’era del controllo dell’immigrazione e dei tentativi di limitare gli ingressi regolari motivati dal lavoro (Sciortino,2000).
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