Ae n.266, gennaio 2024
L’housing first nel Pnrr: tra innovazioni e occasioni mancate.
Quelli che verranno messi in atto sono progetti di accoglienza temporanea per le persone senza dimora. Una proposta molto lontana dall’approccio originale
Con 450 milioni di euro e un target di 25mila persone in situazione di grave deprivazione materiale a cui offrire soluzione abitative, l’housing first è entrato a pieno titolo nella programmazione della missione 5 (“Inclusione e coesione”) del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). La decisione di inserire nel piano la protezione e il sostegno alle persone senza dimora in un’ottica di inclusione, invece che di mera assistenza, è senz’altro un importante risultato. Secondo l’ultimo censimento Istat, nel 2021 le persone senza tetto e senza dimora in Italia erano 96.197, concentrate soprattutto a Roma (23%), Milano (9%), Napoli (7%) e Torino (4,6%). Una fotografia, tuttavia, solo parziale del fenomeno della grave marginalità, a causa del criterio meramente amministrativo adottato, quello dell’iscrizione anagrafica. Si rimanda alla Federazione italiana organismi per le persone senza dimora (fio.PSD, fiopsd.org) per una spiegazione più approfondita della difficoltà nella raccolta dei dati su questo fenomeno. A lungo la grave marginalità delle persone in età adulta e la condizione dei senza dimora sono state assenti dall’agenda nazionale, affidando di fatto la responsabilità a livello locale. Solo nel 2016 il ministero del Lavoro e delle politiche sociali ha messo a disposizione i primi 50 milioni di euro. L’approccio housing first (di cui avevamo parlato sul numero di gennaio 2022 di Altreconomia) innova radicalmente la tradizionale modalità operativa dei servizi sociali, offrendo prima di tutto un alloggio e un accompagnamento personalizzato. Risposte emergenziali come gli interventi limitati a mense e dormitori sono insufficienti e il periodo del lockdown ha reso ancora più evidente quanto sia importante avere una casa sicura in cui poter vivere stabilmente. Non è quindi un caso che un piano così ambizioso per le persone senza dimora sia emerso proprio in conseguenza alla crisi pandemica che ha enormemente complicato gli ingressi nei dormitori a causa del rischio contagi. Tutto bene dunque? Non proprio. Dai documenti del Pnrr emerge una commistione che non è solo linguistica: le espressioni housing temporaneo e housing first vengono utilizzate come sinonimi, sebbene rimandino ad approcci non omologabili.
Il secondo approccio, infatti, per sua natura non prevede un “termine” nell’accompagnamento e nella possibilità di usufruire di un alloggio. Anzi, proprio l’assenza di una scadenza del periodo di supporto ne è diventato l’elemento qualificante. Gli interventi finanziati dal Pnrr sono invece una forma di accoglienza temporanea, che fissa in 24 mesi il tempo massimo di utilizzo degli appartamenti messi a disposizione dai Comuni. La distanza tra i due approcci e la difficoltà per molti ambiti territoriali sociali di elaborare progetti coerenti con la metodologia dell’housing first sono emerse con particolare evidenza in fase di manifestazione di interesse per la presentazione dei progetti da finanziare. Dovendo scegliere tra avviare (o consolidare) progetti housing first oppure adottare soluzioni di housing temporaneo molti territori hanno infatti optato per questa seconda scelta, più vicina alle soluzioni tradizionali, e proprio per questo non comparabile a una metodologia efficace e validata da anni di studi ed esperienza sul campo. Oggi il Pnrr sta rappresentando, per molti territori, una sfida straordinaria per l’incentivo a studiare e mappare il fenomeno, programmare e progettare interventi, costruire alleanze strategiche tra enti pubblici territoriali e Terzo settore. Proprio per questo poteva rappresentare un’occasione preziosa per promuovere l’adozione diffusa dell’approccio housing first coerente con la metodologia originale.
Questo articolo è stato scritto da Francesca Campomori e Giuseppe Dardes per la rubrica mensile OCIS all’interno di Altreconomia.
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