Ae n.226, maggio 2020
L’impatto ambiguo dei populismi sui sistemi sanitari nazionali.
Negli Usa Trump ha ridotto la spesa sanitaria e ha tagliato i fondi per l’Oms. Una scelta contestata da ricercatori e accademici
In che modo, direttamente o indirettamente, i partiti e i leader populisti di destra radicale -per definizione nativisti (convinti cioè che ci sia un popolo etnico unito dentro un territorio), autoritari (convinti nel valore dell’obbedienza e dell’autorità, nonché in valori conservatori in termini etico-normativi) e populisti (preferendo il “senso comune” di un popolo omogeneo alla conoscenza delle élites)- influenzano le politiche sanitarie del Paese? Consideriamo, ad esempio, Austria e Italia dove troviamo due populismi di destra di vecchia data. Nel 2018 il ministro del Lavoro, degli Affari sociali, della Salute e della Protezione dei consumatori, rappresentante del Partito della libertà austriaco (FPÖ) in coalizione al governo con il centro destra (ÖVP), ha bloccato l’introduzione del divieto di fumo in locali pubblici; inoltre, ha deciso l’accorpamento delle esistenti società pubbliche di assicurazione sanitaria in una sola società nazionale, la Österreichische Gesundheitskasse (ÖGK), che avrebbe dovuto far risparmiare un miliardo di euro da usare al “servizio del popolo austriaco”. Tuttavia, invece che rendere la sanità “più uguale per tutti”, la fusione sembra avere determinato maggiori diseguaglianze nella copertura assicurativa (ad esempio, tra lavoratori pubblici e autonomi). L’abrogazione provvisoria del divieto di fumo (poi introdotto nel 2019 da un governo senza il Partito della libertà austriaco) può costituire un provvedimento politico in controtendenza rispetto alla “scienza” e populista (nel senso di venire incontro alle preferenze del “popolo”), così come l’accorpamento delle compagnie assicurative sanitarie, che è suonato come protesta contro le élites economiche e politiche: nella fattispecie, i socialdemocratici austriaci sono stati accusati di aver usato questa complessa struttura assicurativa in modo clientelare. Nella sua campagna elettorale per le elezioni del 2018, Matteo Salvini (analogamente al Movimento 5 Stelle) ha sostenuto fortemente la campagna No Vax, promettendo una legge che prevedesse l’obbligatorietà a dieci anni di età dei vaccini per poter frequentare la scuola dell’obbligo. Se il pentastellato Di Maio ha successivamente allentato la sua posizione portando a quattro anni l’età della vaccinazione obbligatoria, la Lega ha mantenuto una linea dura bollando l’obbligo dei vaccini come “ruberia a danno della libertà di scelta degli italiani”.
80%
La percentuale dei fondi per le emergenze sanitarie globali ridotte dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump
Nel 2018 negli Stati Uniti, cioè prima dell’esplosione del Covid-19, Donald Trump ha tagliato le spese sanitarie per un ammontare di 15 miliardi di dollari, ridotto i fondi per le emergenze sanitarie globali dell’80% ed eliminato il fondo per “le crisi” sanitarie (Complex Crisis Fund); a metà aprile di quest’anno ha annunciato il taglio dei fondi all’Oms. Tutte queste decisioni sono state prese nonostante le forti critiche di accademici, ricercatori e professionisti del settore sanitario. I casi sopra illustrati evidenziano l’impatto ambiguo dei leader e partiti populisti di destra radicale sulle politiche sanitarie: da un lato, cercano di assecondare formalmente le preferenze del “popolo”; dall’altro, nella sostanza lo danneggiano. Un’ambiguità di fondo che è destinata a venire sempre più a galla con l’incremento del numero di partiti populisti di destra radicale al governo. E se per loro fosse proprio l’acuirsi delle contraddizioni, derivante dal maggiore potere di governo, l’inizio della fine?
Questo articolo è stato scritto da Manuela Caiani e Michelle Falkenbach per la rubrica mensile OCIS all’interno di Altreconomia.
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