NOTA n.1 – Marzo 2023 – Di Federico Stefanutto Rosa e Manuela Caiani, Scuola Normale Superiore
L’ascesa di Meloni ha sorpreso numerosi osservatori che si sono chiesti come mai la prima donna ad assumere il timone del governo italiano provenga da una famiglia politica forgiatasi nel culto dell’esibizione della virilità e del fascino dell’uomo forte.
Per trovare le ragioni di questo apparente paradosso è opportuno analizzare il tema della leadership femminile a destra su due piani distinti. Il primo, quello italiano, ci aiuta a capire come il progressivo sdoganamento e le ambizioni di normalizzazione della destra postfascista abbiano cambiato la struttura delle opportunità politiche per le donne all’interno di queste organizzazioni. Il secondo, quello internazionale, è utile a comprendere come l’ascesa di Meloni sia parte di un cambiamento più ampio che investe la destra radicale su sfera globale.
L’ascesa delle donne nella destra radicale italiana
Da Giorgio a Giorgia, accompagnata da questo slogan nel 2018 Meloni emulava un celebre manifesto di Almirante del 1987, sovrapponendo la sua immagine a quella dello storico leader del Movimento Sociale Italiano (MSI)[1]. Un abile gioco linguistico che traccia la linea di successione tra il padre fondatore e la nuova madre della destra radicale italiana. Le radici e l’orizzonte “della fiamma” legati da una quasi omonimia che li distingue per una sola vocale. Ed è proprio questo cambio di desinenza che consente a Giorgia Meloni di incarnare il nuovo, mettendo in risalto la discontinuità tra la tradizione rappresentata dalla leadership maschile e la novità del volto femminile al comando. Così, in bilico tra continuità e rottura, Meloni si erge ad erede legittima della destra missina ma parallelamente, attraverso la sua identità di genere, mette in evidenza che si è aperta una stagione nuova rappresentata plasticamente dalla presenza di una donna al vertice.
Nel suo celebre e pionieristico studio sul Movimento Sociale Italiano, Piero Ignazi definisce le mansioni affidate alle donne del partito come “parassistenziali”, limitate ad attività di volontariato sociale e mutualistico (Ignazi, 1989). Questa connotazione contraddistingue soprattutto gli inizi del MSI quando le donne sono relegate al ruolo di madri e mogli a cui è affidato il compito di custodire con devozione la memoria degli uomini caduti al fronte. Nel 1950, durante il primo raduno nazionale della sezione femminile delle dirigenti del partito, il segretario Augusto De Marsanich attribuisce alle militanti la funzione mitigatrice di “temperare le passioni con la loro femminilità, recando nei contrasti la loro parola d’amore” (Terranova, 2009). L’MSI associa così alle donne qualità tradizionali come l’accudimento, la protezione e la moderazione mentre agli uomini spetta il primato della militanza eroica incentrata su virtù militari quali la fermezza, il comando e la forza fisica. Anche la rappresentanza femminile nei gruppi parlamentari del MSI appare alquanto marginale. La prima donna missina arriva in Parlamento solo nel 1963: si tratta dell’insegnante di filosofia Jole Giugni Lattari eletta alla Camera dei Deputati in un collegio della Calabria.
Per scorgere qualche elemento di modernizzazione bisogna attendere fino seconda metà degli anni Settanta. Le novità provengono però da ambienti limitrofi al partito. Una nuova interpretazione della questione femminile a destra si materializza sulle pagine di Éowyn, rivista che prende il nome dall’eroina guerriera de Il Signore degli Anelli di Tolkien, saga che ancora oggi è un punto di riferimento per Giorgia Meloni e i suoi Fratelli d’Italia. Il periodico, fondato da donne militanti nell’ambito della cosiddetta Nuova Destra italiana e dei suoi Campi Hobbit (Tarchi, 2010), elaborava una visione “differenzialista” del rapporto tra i sessi nel tentativo di proporre un’alternativa al femminismo progressista e al contempo di superare la concezione vetusta del Movimento Sociale Italiano. Ma si tratta di spinte movimentiste che trovano spazio soltanto nell’organizzazione giovanile del MSI, il Fronte della Gioventù, e che si scontrano con la linea ufficiale del partito che invece prosegue nel solco del conservatorismo (come dimostra la campagna a favore dell’abrogazione della legge sul divorzio nel referendum del 1974).
La svolta per le donne della destra radicale italiana arriva negli anni Novanta. Una prima novità è rappresentata dalle elezioni amministrative del 1993, quando la trentenne Alessandra Mussolini, grazie ad una comunicazione che oscilla tra il peso del suo cognome e la novità della sua immagine pop, conquista un inaspettato ballottaggio per la corsa a sindaco di Napoli (dal quale poi però uscirà sconfitta).
Con la dissoluzione del MSI, l’abiura del nostalgismo neofascista al Congresso di Fiuggi del 1995 e la nascita di Alleanza Nazionale (AN), per le militanti si aprono inedite opportunità al vertice. Il nuovo leader Gianfranco Fini è consapevole che, per uscire dall’isolamento politico e ambire al governo, è opportuno allontanarsi da un modello di mascolinità violenta e belligerante che è stato tipicamente associato alle frange più estreme della destra. Nasce da qui l’esigenza di cercare nuovi volti femminili in grado di interpretare il nuovo corso della destra radicale italiana. Ed è in questa stagione di profondo cambiamento che Giorgia Meloni scala i ranghi di AN, prima come consigliere della provincia di Roma nel 1998 e poi come Presidente dell’organizzazione giovanile del partito (Azione Giovani) nel 2004.
In particolare, sono le elezioni politiche del 2006 a segnare un’importante crescita della rappresentanza femminile a destra. In quest’occasione, Fini sceglie di rafforzare la quota di donne nelle liste elettorali. Sono tredici le parlamentari di AN che conquistano un seggio, tra loro le più in vista sono: Giulia Bongiorno, avvocato salita alle luci della ribalta per aver difeso l’ex premier Giulio Andreotti nel processo per mafia, Daniela Santanché, imprenditrice celebre per la sua battaglia contro il velo islamico, Flavia Perina, direttrice del Secolo d’Italia e per l’appunto Giorgia Meloni che in quella legislatura verrà eletta vicepresidente della Camera dei Deputati.
Ecco allora che la recente affermazione della leadership carismatica di Giorgia Meloni e del suo partito Fratelli d’Italia, fondato nel 2012 per raccogliere l’eredità di AN, non nasce dal nulla. Rientra bensì in un percorso più ampio che ha portato all’apertura delle opportunità politiche per le donne nella destra radicale. Un’apertura dettata dalla necessità di lanciare un segnale di discontinuità per ingentilire la propria percezione e accreditarsi come destra di governo.
La nuova leadership femminile delle destre radicali in Europa
Al contempo, l’ascesa di Giorgia Meloni non è un unicum italiano. Si inserisce bensì in un fenomeno più ampio di “femminilizzazione” della destra radicale populista in Occidente che sempre più frequentemente è rappresentata da donne in posizioni apicali di comando.
Una parte consistente della letteratura accademica definisce i partiti della destra radicale populista come Männerparteien (Amesberger e Halbmayr 2002, Decker 2004; Geden 2004), ossia organizzazioni politiche dominate dagli uomini in cui la rappresentanza delle donne è marginale sia nella base del partito che nei quadri dirigenziali. La natura “maschile” della destra radicale populista è ritenuta particolarmente rilevante quando si guarda alla dimensione della leadership. Il carisma dei leader populisti è infatti tradizionalmente associato alla costruzione di una mascolinità eroica. Un esempio primario di questo modello è rappresentato dal leader della Lega Matteo Salvini che si presenta ai suoi sostenitori con il soprannome di “il Capitano”, enfatizzando l’immagine epica della sua figura e la missione salvifica della sua leadership. Il mito della virilità si riflette anche sul linguaggio adottato dai leader. Lo scienziato politico Pierre Ostiguy (Ostiguy 2020) descrive uno stile performativo “basso” che caratterizza la retorica dei capi populisti e che ha tra i suoi motivi ricorrenti quello di descriversi come politici “con le palle” per sottolineare la propria attitudine al comando e alla risolutezza Tuttavia, raffigurare i partiti della destra radicale populista come club per soli uomini appare semplicistico. Le donne, soprattutto a partire dai primi anni Duemila, hanno infatti assunto un protagonismo sempre maggiore arrivando, in alcuni casi, fino al vertice dell’organizzazione. Il quadro teorico assume maggior chiarezza di dettaglio se si guarda ai diversi casi di leadership carismatica femminile nella destra radicale populista a livello internazionale. Si tratta di esempi importanti che aiutano a comprendere, più in profondità e con una prospettiva più ampia, le ragioni del successo di Giorgia Meloni. Con questo intento, la tabella 1 racchiude una mappatura delle donne alla guida dei partiti della destra radical populista che in Europa occidentale a partire dal 2000 hanno ottenuto rappresentanza politica in almeno un’elezione generale (camera bassa) oppure in un’elezione europea.
Tabella 1: Donne di destra radicale in posizioni partitiche apicali in Europa
Paese | Leader | Partito (abbrieviazione) |
AUSTRIA | Susanne Riess (2000 – 2002) | Partito della Libertà Austriaco (FPÖ) |
Ursula Haubner (2004 – 2005) | Partito della Libertà Austriaco (FPÖ) | |
Johanna Trodt Limpl (2015 – 2017) | Alleanza per il Futuro dell’Austria (BZÖ) | |
DANIMARCA | Pia Kjærsgaard (1985 – 1995) (1995 -2012) | Partito del Progresso (FrP) Partito del Popolo Danese (DF) |
Pernille Vermund (2015 – oggi) | Nuovi Borghesi (Nye) | |
FRANCIA | Marine Le Pen (2011 – 2018) (2018 – oggi) | Fronte Nazionale (FN) Raggruppamento Nazionale (RN) |
FINLANDIA | Riikka Purra (2021 – oggi) | Veri Finlandesi (PS) |
GERMANIA | Frauke Petry (2015 – 2017) | Alternativa per la Germania (AfD) |
Alice Weidel (2022 – oggi) | Alternativa per la Germania (AfD) | |
ITALIA | Giorgia Meloni (2012 – oggi) | Fratelli d’Italia (FdI) |
NORVEGIA
| Siv Jensen (2006 – 2021) | Partito del Progresso (FrP) |
Sylvi Listhaug (2021 – oggi) | Partito del Progresso (FrP) | |
SVIZZERA | Ana Roch (2016 – 2019) | Movimento dei Cittadini Ginevrini (MCG) |
UK | Catherine Blaiklock (gennaio 2019 – marzo 2019) | Partito della Brexit (BP) |
Fonte: Elaborazione degli autori
Si tratta di casi importanti di donne al vertice delle organizzazioni della destra radicale che, spesso, con la loro immagine sono riuscite ad ammorbidire la percezione di questi partiti. L’esempio più noto è senz’altro rappresentato dalla leader del Raggruppamento Nazionale (RN) Marine Le Pen. L’affermazione di Le Pen ha segnato l’inizio del percorso di dédiabolisation (de-demonizzazione) che ha favorito lo sdoganamento della destra radicale populista in Francia. Una strategia incentrata sulla personalizzazione esasperata che fa del volto e del corpo di Le Pen il principale strumento per rendere più accettabile la percezione del partito.
“Riflettendo sono piaciuta per il fatto di aver ribaltato la caricatura del Fronte Nazionale. Una donna disinvolta in un movimento descritto come un raggruppamento di individui maschilisti e violenti” (Le Pen 2011, p.158).
La funzione mitigatrice della leadership femminile emerge plasticamente nelle rare occasioni in cui la destra radicale populista europea ha ricoperto ruoli di governo.
Nel 2000, quando il Partito della Libertà Austriaco (FPÖ) è entrato a far parte di un governo di coalizione di centrodestra ha infatti scelto come vicecancelliere e nuovo capo del partito l’europarlamentare Susanne Riess – e lo storico leader George Haider è stato costretto a dimettersi in favore di Riess per facilitare il tentativo dell’organizzazione di guadagnare legittimazione istituzionale. In Norvegia, il Partito del Progresso (FrP) ha fatto parte della coalizione di governo per sette ininterrotti anni dal 2013 al 2020, diventando una delle più longeve forze politiche della destra radicale populista al potere. Anche in questo caso, a favorire l’ingresso nell’esecutivo è stata la leadership femminile carismatica di Siv Jensen, che per l’intero periodo ha ricoperto la prestigiosa carica di ministro delle finanze. Nel presentarsi all’elettorato, Jensen si è allontanata dai modelli più tradizionali di femminilità, coltivando la sua immagine grintosa di business woman single e senza figli. A raccogliere la sua eredita è un’altra donna: Sylvi Listhaug che nel 2021 ha assunto la leadership del partito.
In maniera similare, in Danimarca la destra radicale populista si è forgiata nel segno di Pia Kjærsgaard, che ha svolto un ruolo da pioniera nella costruzione di un modello di leadership femminile, prima al comando del Partito del Progresso (FrP) dal 1985 al 1995 e in seguito fondatrice del Partito del Popolo Danese (DF), che ha guidato fino al 2012 (Meret 2015). Prima di intraprendere la carriera politica Kjærsgaard aveva lavorato a lungo come assistente domiciliare per anziani: un mestiere che è stato un elemento chiave per la sua popolarità, poiché il contatto costante con gli strati sociali più popolari e l’estraneità alla politica come professione hanno rafforzato la credibilità dei suoi messaggi. Kjærsgaard è diventata così espressione di un potere materno che combina carità e intransigenza, premurosità e controllo, costruendo un’analogia tra la sua dedizione di assistente domiciliare e il suo impegno politico. Nel 2015, nel Paese scandinavo è emersa un’altra leadership femminile nella destra radicale populista, quella di Pernille Vermund, fondatrice e leader dei Nuovi Borghesi (Nye). Nella sua comunicazione Vermund segue logiche più simili a quelle di una influencer che di un politico, rappresentandosi come un’icona pop. Sul suo popolare profilo Instagram i contenuti a tema politico sono infatti quasi del tutto assenti, mentre prevalgono immagini che propongono un vero e proprio lifestyle danese: la cucina, le vacanze, la famiglia, lo sport e l’arredamento di casa.
Le donne hanno un ruolo di rilievo anche in Germania dove Frauke Petry, chimica e imprenditrice prestata alla politica, è riuscita a infrangere un tabù portando la destra radicale populista di Alternativa per la Germania (AfD) a diventare la terza forza politica del Paese, prima di abbandonare il partito nel 2017. Divorziata e risposata, con quattro figli dal primo matrimonio e due dal secondo, Petry si discosta dal modello di famiglia tradizionale difeso dall’AfD. Eppure questa contraddizione non è sembrata scalfire il suo consenso. Lo stesso vale per un’altra influente donna dell’AfD: Alice Weidel, co-leader del partito dal 2022. La biografia di Weidel riassume tutto quello che la destra populista vede come il fumo negli occhi: una carriera sfavillante nei più importanti colossi mondiali della finanza (Goldman Sachs e Allianz Global Investors), dichiaratamente lesbica, si è unita civilmente con una produttrice cinematografica di origini srilankesi insieme alla quale ha adottato due bambini. Tutto questo ha fatto sì che, agli occhi di molti, l’adesione di Alice Weidel all’AfD risultasse alquanto singolare, per non dire incomprensibile. Tuttavia, Weidel è riuscita a divincolarsi dalla trappola dell’incoerenza presentando la sua adesione al partito come la prova che l’AfD, a differenza di quanto emerge dal racconto mediatico, non sarebbe una forza politica intollerante. Nella sua narrazione trovano così ampio spazio strategie retoriche femonazionaliste (Farris 2019) e omonazionaliste (Puar 2013) attraverso cui la difesa dei diritti delle donne e della comunità LGBT viene associata alla necessità di fermare l’immigrazione dai paesi arabo-musulmani. “Ora le associazioni omosessuali dominate dalla sinistra verde trascurano il proverbiale ‘elefante nella stanza’, cioè l’unico grande pericolo che ci minaccia davvero. E questo è islamizzazione…gli attacchi contro gli omosessuali non solo mostrano l’odio di alcuni gruppi di migranti, ma mostrano anche il loro disprezzo per il nostro Stato di diritto e la nostra cultura.” (Weidel, intervista sul blog Philosophia Perennis del settembre 2017)
Conclusioni
L’ascesa della leadership carismatica di Giorgia Meloni si colloca all’interno di una trasformazione più profonda del ruolo delle donne nelle organizzazioni della destra radicale. In Italia, la necessità di assumere un profilo più istituzionale e la volontà di allontanarsi da un’immagine obsoleta, legata alla fascinazione per l’uomo forte e per un attivismo tutto al maschile, ha permesso che si creassero nuovi spazi e opportunità per la rappresentanza femminile a destra. La crescita della rilevanza delle donne e gli inizi della carriera politica di Giorgia Meloni si ineriscono, non a caso, in un periodo di riformulazione identitaria che, a partire dagli anni Novanta, spinge la destra radicale italiana a cercare una legittimazione istituzionale anche attraverso nuove protagoniste femminili. Allo stesso modo, questa trasformazione coinvolge le organizzazioni della destra radicale in tutto l’Occidente. In maniera crescente questi partiti scelgono infatti di puntare su donne leader per apparire più moderati e per dimostrare per “normalizzare” la loro identità. Le front women della destra radicale in Europa hanno dimostrato di favorire lo sdoganamento dei messaggi e delle politiche dei propri partiti e di contribuire anche alla loro istituzionalizzazione. Al contempo queste leader incarnano spesso, nel loro privato, modelli e ruoli che sono in contrasto con le piattaforme iper-conservatrici dei propri partiti. Questa contraddizione non sembra però essere percepita come un’incoerenza dal loro elettorato ma anzi si trasforma in un elemento a proprio favore, per dimostrare che la destra radicale è oggi entrata in una fase nuova.
Per saperne di più:
Anita Nissen, 2022, Europeanisation of the Contemporary Far Right Generation Identity and Fortress Europe, Routledge.
Manuela Caiani and Federico Stefanutto, 2022, Giorgia e le altre, Il Mulino, https://www.rivistailmulino.it/a/giorgia-e-le-altre
De Giorgi, E., Cavalieri, A., Feo, F. , 2023, From opposition leader to prime minister: Giorgia Meloni and women’s issues in the Italian radical right, Politics and Governance, https://www.cogitatiopress.com/politicsandgovernance/article/view/6042.
[1] Grafica social realizzata da Fratelli d’Italia nel febbraio 2018 riprendendo lo slogan elettorale del MSI alle elezioni del 1987.
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