I gruppi d’acquisto solidali producono coesione sociale, alimentando legami intensi e duraturi tra le persone e ponendo al centro la fiducia interpersonale.
Insieme a “innovazione sociale”, negli ultimi anni il termine aggettivato “coesione sociale” è diventato un riferimento d’obbligo nei discorsi pubblici di politici e operatori del mondo del non profit. Senza addentrarsi troppo in questioni definitorie -che cominciano ad occupare più di uno scaffale di librerie specializzate- possiamo definire la coesione sociale come una situazione in cui i legami tra le persone sono intensi, duraturi e solidali. In altri termini, legami che pongono al centro la fiducia interpersonale. A tal riguardo, i lettori di Altreconomia conoscono bene i gruppi di acquisto solidali (GAS), che sono collettivi di persone che socializzano la spesa e che acquistano prodotti locali, possibilmente biologici.
Spesso, però, si trascura un altro aspetto molto importante dei GAS: essi sono anche generatori di relazioni sociali e di fiducia. In altri termini, i GAS producono coesione sociale. E lo fanno senza saperlo. Rielaborazioni recenti di alcuni dati provenienti dal CORES, l’Osservatorio sui consumi, reti e pratiche di economia sostenibili dell’Università di Bergamo (www.unibg.it/cores), dimostrano proprio questo: i GAS incentivano la collaborazione, creando maggiori legami di fiducia. L’80% delle persone coinvolte nell’indagine del CORES, e che fanno parte dei gruppi d’acquisto lombardia, ritiene di sentirsi, grazie alla partecipazione al GAS, più capace di collaborare con gli altri. E la capacità di collaborare, che presuppone la presenza di interazioni frequenti e basate sulla presenza di un altro grado di fiducia, è un indicatore di coesione sociale. La produzione di coesione sociale emerge anche da un altro dato: oltre l’80% degli intervistati ritiene che partecipare ai GAS abbia modificato il proprio agire sociale attraverso l’adozione di forme di consumo più responsabili, il sostegno a produttori locali e la creazione di maggiori legami sociali. Tutti fenomeni che riguardano da vicino la sostenibilità ambientale e -ancora una volta- la coesione sociale.
Attraverso la creazione e il rafforzamento di legami di fiducia, i gruppi di acquisto generano coesione sociale dando vita a nuove forme di partecipazione sociale (ad esempio, in occasione degli incontri tra i membri che si tengono perlopiù una volta al mese o in occasione delle distribuzioni settimanali dei prodotti) e anche politica (ad esempio, attraverso la promozione di liste civiche che partecipano alle elezioni municipali). Tanto la partecipazione sociale quanto la partecipazione politica richiedono fiducia negli altri membri della comunità, oltre che nelle istituzioni. I GAS, quindi, non solo sono importanti perché promuovono un’altra cultura dell’alimentazione (con l’attenzione alla stagionalità, ai prodotti genuini, ai prodotti locali) ma anche -e forse soprattutto- perché forniscono l’occasione per creare o consolidare coesione sociale all’interno di comunità sempre più fragili. La critica più comune che viene rivolta ai GAS è che sono solo per “ricchi”, visti i prezzi (spesso presunti) dei prodotti. In realtà, i “gasisti” sono perlopiù donne e uomini dotati di redditi medi, non particolarmente elevati, come sa chiunque abbia frequentato i gruppi di acquisto. Insomma, non solo generano fiducia e coesione sociale, ma non hanno costi proibitivi: se lo slogan “più GAS per tutti” fosse realtà, la coesione sociale ne risentirebbe molto positivamente.
Questo articolo è stato scritto da Paolo Graziano per la rubrica mensile OCIS all’interno di Altreconomia.
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