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NOTA n.1 – Marzo 2022 – Di Jacopo Lareno Faccini, Codici Ricerca e Intervento, e Alice Ranzini, Politecnico di Milano

Quando Saskia Sassen nel 1994 scriveva “Cities in a World Economy” e Manuel Castells rivoluzionava il significato di reti con “The Rise of the Network Society”, Milano era una città profondamente ancorata al contesto economico nazionale, alle prese con un incerto processo di “terziarizzazione” economica, e che iniziava faticosamente a uscire dalla crisi morale, politica e culturale aperta dalle inchieste di Mani Pulite.

Trent’anni dopo è una città attraversata da reti e flussi globali, piattaforma di investimenti internazionali, e riferimento nazionale rispetto a istanze culturali e sociali emergenti. Da città austera e respingente per giovani e nuove famiglie, la “locomotiva d’Italia” si è ricollocata tra i luoghi desiderabili del nostro Paese, rilanciandosi anche attraverso una narrazione pubblica di città dinamica, giovane e di avanguardia.

Tuttavia, i dati segnalano che Milano è anche una delle città più diseguali e polarizzate d’Italia, in cui un terzo della ricchezza cittadina è detenuto dal 9% della popolazione. Tra il 2017 e il 2019 le famiglie a rischio di povertà sono cresciute di 2,5 punti percentuali e l’aumento dei redditi (+ 6,5 punti percentuali tra il 2015 e il 2018) non è stato in grado di pareggiare la crescita del costo della vita (+ 21,6 punti percentuali dal 2017 al 2019), superiore a quello di New York (Assolombarda, 2019).

Per questa ragione il caso milanese rappresenta un interessante osservatorio per riarticolare un pensiero critico intorno alla città, rispetto alle sfide da affrontare nei grandi contesti urbani italiani e ai divari che ne attraversano le società[1].

L’invenzione del “modello Milano”: nuove alleanze per rilanciare la città

Nel 2020 il centro nazionale di studi per le politiche urbane Urban@it[2] nel quinto rapporto annuale sulle città segnalava, come tratto caratterizzante dell’agenda urbana milanese, l’emergere di una narrazione positiva che elevava la città a “modello” di sviluppo urbano capace di coniugare competitività, innovazione e accoglienza, testa di ponte dell’economia italiana in Europa e nel mondo (Laino, 2020). Una narrazione che è andata consolidandosi nel tempo, ma che ha altrettanto velocemente mostrato tutta la sua fragilità nel celebre slogan “Milano non si ferma”, lanciato nei primi mesi di emergenza sanitaria e ritirato dopo pochi giorni.

Prima dello stop forzato imposto dalla pandemia, Milano aveva effettivamente conosciuto un periodo di performance economiche uniche nel panorama nazionale: il PIL della città cresciuto del +9,7% dal 2015 al 2019, il tasso di occupazione salito di 90.000 unità dal 2008 al 2018 – pur con una presenza sempre consistente di contratti atipici – con valori positivi anche sulle performance occupazionali delle donne e dei giovani tra i 25 e 34 anni (Lodigiani, 2020). Nel 2018 la città aveva conquistato il primo posto nella classifica annuale delle città italiane più vivibili stilata dal Sole 24 Ore, confermato anche nel 2019 grazie a Pil pro capite, reddito medio (oltre 28.800€/anno) e valore delle pensioni (1.500€/mese in media) tra i più elevati del Paese[3]. Una crescita avvenuta anche sul piano dell’attrazione di imprese e capitali, grazie a cui Milano è stata classificata tra le prime città in Europa per volume di affari.

Uno degli esiti più celebrati della fase di crescita precedente alla diffusione del Covid-19 è stato il traguardo simbolico, raggiunto nel 2019, di 1.400.000 abitanti dopo circa trent’anni di contrazione dei residenti, ai quali si sono aggiunti circa 7,6 milioni di turisti l’anno. Al contrario, come mostrano i dati Istat, nel 2020 la città di Milano ha perso circa 32.000 residenti, solo in parte connessi all’incremento dei decessi (+5.000 circa). Questi abitanti in uscita sono circa il 30% in più rispetto al 2015. Sebbene le ragioni di questa fuga dalla città durante l’anno dei primi due lockdown siano senza dubbio molteplici, non può essere ignorato il peso del costante aumento dei valori immobiliari registrati nella città, sia rispetto alla locazione che alla compravendita delle abitazioni.

Il rinascimento milanese non è infatti stato trainato esclusivamente da buone politiche locali, ma in buona parte dalla convergenza di interessi e capitali internazionali intorno alla valorizzazione immobiliare, il cui principale motore – da Expo 2015 fino alle Olimpiadi Milano-Cortina 2026 – è quello della grande trasformazione urbana. Il riconoscimento della centralità delle grandi trasformazioni e del mercato immobiliare come driver di sviluppo locale ci consentono di aprire una prospettiva critica sul cosiddetto “modello Milano” per identificarne i nodi problematici e prendere le distanze da una retorica tutta al positivo, poco utile ad identificare e analizzare alcune grandi questioni irrisolte della città contemporanea.

Ad inizio secolo il sociologo ed economista Richard Florida affermava che le città occidentali non sono più attrattive perché centri di produzione di beni, ma soprattutto per l’offerta di esperienze di qualità, rappresentazione di stili di vita e possibilità di intrattenimento, di consumo e produzione culturale. Queste competono tra loro per l’attrazione di una classe media di professionisti talentuosi sia nei settori della conoscenza e delle arti che in quelli della tecnologia, dei servizi finanziari e delle professioni specializzate. Questi talenti costituiscono una risorsa cruciale per la città in quanto sono essi stessi veicolo di crescita dei consumi, degli introiti pubblici, della popolazione stessa, così come dell’investimento immobiliare e di attrattività per le aziende specializzate (Florida, 2002). Questi gruppi hanno espresso una domanda di nuova urbanità nelle città: quartieri popolari “gentrificati”, distretti di produzione e fruizione artistica, centri storici rivitalizzati dal piccolo commercio. Ambienti urbani in cui la sinergia tra consumo e cultura sostiene l’interazione sociale e afferma una comune appartenenza a un set riconoscibile di costumi, valori e stili di vita.

Riattualizzando la tradizione auto-imprenditoriale lombarda fondata sul successo professionale, la città di Milano si è costruita un’identità nel panorama nazionale e internazionale di città delle opportunità per una variegata classe media istruita, qualificata e cosmopolita, attenta al tema dei diritti civili individuali. Le aspettative e gli interessi di questi gruppi hanno costituito un fondamentale propulsore per il cambiamento urbano, promuovendo un’idea di società urbana dinamica e di un contesto sociale ricco e diversificato in cui valorizzare l’impegno, le capacità e l’intraprendenza dei singoli. Trovando occasioni e possibilità concrete per sviluppare i propri percorsi biografici e le proprie aspirazioni di vita, le emergenti popolazioni urbane hanno dato origine ad una alleanza sociale ampia e trasversale che ha sostenuto il rilancio della città.

Al contempo Milano si è affermata anche come piattaforma di investimenti immobiliari per fondi internazionali. Alcuni grandi progetti hanno fatto da apripista in questo processo: dall’iconico “Bosco Verticale” dell’operazione di Porta Nuova, alle torri Isozaki, Libeskind e Hadid dell’area di CityLife. Si tratta di progetti di richiamo internazionale che hanno alimentato la trasformazione della città attraverso l’associazione ricorrente di edifici destinati a uffici per grandi brand internazionali, ampie quote di residenza in vendita a prezzi elevati e grandi spazi commerciali come funzioni pubbliche valorizzati dalla presenza di aree verdi e spazi aperti collettivi.

In pochi anni le aree destinate allo sviluppo edilizio-immobiliare nella città consolidata si sono moltiplicate. La più rilevante è rappresentata oggi dai sette scali ferroviari in via di riqualificazione, che coprono complessivamente 1.250.000 mq, una delle più grandi aree di trasformazione d’Europa. A queste si aggiungono il nuovo Stadio di San Siro – 280.916 mq –, l’ex Piazza d’Armi – 350.000 mq – le 11 aree inserite nel programma “Reinventing Cities”[4]  – 474.082 mq totali in cui sono comprese alcune parti di scali ferroviari.

 

Cosa (e chi) è rimasto fuori?

Se osserviamo le ipotesi di trasformazione di queste immense superfici, oggi perlopiù non edificate, ci accorgiamo come Milano stia rischiando di perdere, se non lo ha già fatto, un’occasione quanto mai unica di ribilanciare il rapporto tra città pubblica e città privata, tra suolo permeabile e impermeabile, tra consumo e cultura. Queste trasformazioni faticano infatti a prendere le distanze dall’idea del mercato immobiliare come unico motore di sviluppo e rigenerazione urbana, anche in un momento in cui i trend emergenti segnalano una nuova fase di contrazione della popolazione residente, un chiaro aumento delle famiglie in sofferenza economica e molte aziende stiano ridimensionando la domanda di spazi per uffici orientando i propri flussi di lavoro in parte o totalmente online. Alla luce della situazione attuale, che vede una città segnata – come molte grandi aree urbane – dagli effetti sociali e territoriali della pandemia appare urgente una riflessione intorno ad alcuni nodi ancora irrisolti dell’agenda urbana che emergono in particolare dall’intersezione tra le politiche di sviluppo urbanistico e le politiche pubbliche di welfare. Grandi temi della disuguaglianza urbana, che pur in un panorama di benessere diffuso sono passati in secondo piano, primo tra tutti la questione abitativa.

Se negli ultimi dieci anni Milano è stata indubbiamente un luogo di opportunità e possibilità di sperimentazione per alcuni gruppi sociali, per altri la città ha continuato ad essere uno spazio esclusivo (Torri, 2014). Con solo il 29% di stock immobiliare in locazione, Milano è ben lontana da città come Berlino e Bruxelles, con oltre il 70%, o da Parigi e Londra in cui il 60% degli alloggi cittadini sono in affitto. Il comparto immobiliare milanese è ancora fortemente sbilanciato verso l’offerta in proprietà, con quote residuali di offerta sociale in locazione: da un lato negli ultimi 25 anni la città ha perso oltre 25.500 alloggi pubblici, attraverso i processi di alienazione dei alloggi; dall’altro dei circa 4.000 alloggi in locazione prodotti dagli sviluppi immobiliari più recenti, meno di 1.000 sono effettivamente disponibili in regime di Edilizia Residenziale Pubblica[5]. Si aggiungono circa 12.000 alloggi privati potenzialmente disponibili per la locazione, ma “bloccati” sulle piattaforme di affitto temporaneo, alimentando la crescita del comparto turistico a scapito di quello della residenza a lungo termine (Bernardi, Cognetti, Delera, 2021).

Al contempo, tanto le previsioni di trasformazione urbana private e pubbliche – dagli scali alle nuove linee di metropolitana – quanto i processi di rigenerazione e rivitalizzazione innescati “dal basso” dal ricco tessuto sociale e imprenditoriale della città, stanno producendo in aree storicamente marginali un effetto espulsivo dovuto all’incremento dei prezzi degli alloggi locazione e in vendita in queste aree. Gli investimenti strutturali per la rigenerazione delle periferie corrono il rischio di incentivare forme di rendita di posizione con effetti distorsivi e, come detto, espulsivi: un paradosso generatosi in un contesto urbano in cui la maggioranza dello stock edilizio è di natura privata e non regolato. Una questione che richiederebbe nuove politiche, anche regolative, che riequilibrino gli effetti che i grandi investimenti pubblici e privati stanno avendo sul costo delle abitazioni private.

Dal caso pioniere di Isola, un quartiere operaio collocato nel settore nord separato dalla ferrovia e accessibile solo attraverso un cavalcavia divenuto uno dei principali recapiti della movida milanese con la trasformazione dell’area di Port Nuova, alle “ex periferie” di via Padova, oggi conosciuta come “Nolo”, e di Corvetto – che hanno registrato le più significative crescite dei valori immobiliari anche dopo il lockdown[6] – negli ultimi anni la crescita dei prezzi delle abitazioni, spinta dalle previsioni di trasformazione urbana nei diversi quartieri, ha delineato uno scenario in cui la gentrificazione e la conseguente espulsione delle fasce sociali più fragili dalla città centrale appaiono come il vero motore di cambiamento urbano di Milano. Questo processo sta portando in generale all’aumento dei valori locativi o in città, con tassi di crescita semestrali di oltre il 5%, sostenuti anche da continui investimenti nell’immobiliare cittadino a scopo di profitto[7]. Allo stesso tempo, l’attrattività internazionale ha sostenuto una conversione turistica dell’offerta immobiliare in locazione che ha eroso in un solo biennio l’8% del mercato degli affitti a lungo termine, sostituiti dagli affitti brevi, per un volume di risorse di 180 milioni di euro solo nel 2019[8].

Mentre alcune delle grandi capitali europee soggette a simili dinamiche di valorizzazione immobiliare e polarizzazione sociale stanno sperimentando dispositivi, seppure parziali, di governo della redita economica privata generata dall’“effetto città” sui patrimoni immobiliari privati, Milano sembra ancora in difficoltà a costruire un discorso pubblico e una alleanza sociale che ponga seriamente la necessità di dotarsi di un’offerta ampia e articolata di casa accessibile. Questioni che il periodo pandemico ha certamente esacerbato, offrendo però anche una interessante finestra di opportunità per avviare un dibattito culturale e normativo intorno al controllo degli effetti delle grandi trasformazioni, proprio in virtù di un abbassamento di aspettative del mercato: una finestra di opportunità che, tuttavia, non sembra al momento essere stata colta per un radicale cambio di rotta nel governo urbano.

 

[1] Questo articolo è mutuato dalla più ampia riflessione contenuta all’interno del libro “L’ultima Milano – Cronache dai Margini di una città”, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, 2021.

[2] Si veda www.urbanit.it

[3] Sul sito della testata è possibile visualizzare la ricerca del Sole 24 Ore e approfondire indicatori e risultati.

[4] Reinventing Cities è un’iniziativa avviata inizialmente da 15 città di costruire dei criteri comuni ispirati al contenimento dell’impatto ambientale per lo sviluppo immobiliare di aree dismesse o sottoutilizzate. Nei fatti si tratta di un dispositivo per costruire competizioni di alto profilo e richiamo internazionale per mettere a bando alcune aree pubbliche strategiche per lo sviluppo della città.

[5] Un numero impressionante se paragonato ai risultati dell’ultima graduatoria generale per l’accesso alla casa popolare, ormai risalente al 2018, in cui figuravano più di 25.000 famiglie in attesa di un alloggio pubblico.

[6] Nel mese di gennaio 2022 La Repubblica riportava crescite del +8,9% dei prezzi delle abitazioni al mq nel quartiere di Corvetto, interessato dalla trasformazione dello scalo di Porta Romana in vista delle Olimpiadi Milano-Cotina 2026, e di +8,4% nell’area di Nolo. Cfr: Gallione A. (2022) “Immobiliare a Milano, record di compravendite e prezzi in salita: la mappa del mattone d’oro” La Repubblica, 5 gennaio 2022.

[7] Fonte dati: Centro Studi Immobiliare.it e Soloaffitti.it.

[8] Stime diffuse da Italianway, soggetto specializzato in “short rent” operante sul territorio cittadino, nel settembre del 2020.

 

Bibliografia

Assolombarda (2019) Osservatorio Milano, Rapporto di ricerca.

Bernardi M., Cognetti F., Delera A. (2021) Di-stanza. La casa ai tempi di covid 19, Lettera Ventidue, Siracusa.

Castells M. (1996) The Rise of the Network Society, Wiley, Hoboken.

Florida R. (2002) The rise of the creative class. And how it’s transforming work, leisure, community and everyday life, Basic Books, New York.

Laino G. (2020) (a cura di) Urban@it. Lodigiani R. (2020) (a cura di) Fondazione Ambrosianeum. Rapporto sulla città. Milano 2019. L’anima della metropoli, Franco Angeli, Milano.

Sassen S. (1994) Cities in a World Economy, SAGE, London.

Torri R. (2014) “Chi può ancora abitare a Milano? L’eredità di una lunga stagione di crescita urbana e leva immobiliare”, Planum, 28(1), pp. 13-16.

 

Per saperne di più:

Lareno Faccini J., Ranzini A. (2021) “L’ultima Milano – Cronache dai Margini di una città”, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Milano.

 

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