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Commento n.1 – Maggio 2021. Di Francesca Campomori, Università Cà Foscari di Venezia 

Circa un anno fa la regolarizzazione dei lavoratori immigrati veniva inserita nel Decreto Rilancio (DL n. 34/2020) dopo un lungo braccio di ferro tra M5S – contrario al provvedimento – e Italia Viva, Pd e Leu che lo avevano promosso. La prima ondata della pandemia aveva di fatto aperto una ‘finestra di opportunità’ che sembrava impensabile: l’ultima regolarizzazione in Italia risale al 2012 e successivamente il tema è diventato tabù, mentre nei due decenni precedenti le sanatorie avevano assunto la connotazione di una routine periodica (ne sono state effettuate sette tra il 1986 e il 2012).

Con la pubblicazione del testo definitivo del Decreto l’entusiasmo iniziale è però rapidamente scemato e sono montate, invece, le critiche da parte di vari osservatori ed esperti del settore (tra cui ASGI, CNEL, Caritas-Migrantes[1]). L’articolo 103 della norma ha infatti adottato un’impostazione restrittiva, limitando la possibilità di emersione solo al lavoro domestico e al lavoro subordinato in agricoltura, lasciando esclusi numerosi comparti economici nei quali il lavoro irregolare è diffuso – come l’edilizia, la ristorazione, il turismo.  La stima per difetto dei lavoratori stranieri irregolari è di 621mila (Dossier Statistico Immigrazione 2020), mentre gli aventi diritto alla regolarizzazione sono stati stimati dal governo stesso in un numero decisamente inferiore (circa 220mila), nonostante la ratio del Decreto fosse legata alla salute individuale e collettiva in conseguenza all’emergenza sanitaria. Poiché è ovvio che l’uscita dall’irregolarità rende più praticabile la prevenzione e il monitoraggio sanitario, oltre che la procedura di vaccinazione, l’esclusione di una platea così vasta di potenziali beneficiari risulta incomprensibile. Alla chiusura dei termini della presentazione delle istanze sono state contate 207.542 domande, nettamente sbilanciate sul lavoro domestico (85%) rispetto al settore agricolo (15%). Oltre al lavoro subordinato, la procedura ha previsto un secondo canale di emersione che consisteva nella domanda di un permesso temporaneo di sei mesi per ricerca di lavoro. Potevano tuttavia usufruirne solo le persone straniere con un percorso precedente di regolarità (un permesso di soggiorno scaduto dal 31 ottobre 2019) e un’esperienza lavorativa documentata nei soli settori domestico o agricolo. La rigidità dei criteri ha fortemente depotenziato la portata di questo canale di emersione, che alla fine ha fatto registrare un numero di domande residuale (appena 13.000). Fatte salve le criticità nell’impostazione del provvedimento, la risposta alla regolarizzazione è stata tutto sommato in linea con quanto il governo si aspettava e ha confermato quanto le fila delle lavoratrici domestiche irregolari si siano progressivamente ingrossate dopo l’ultima procedura di regolarizzazione del 2012.

Quello che oggi preoccupa è il grave ritardo nell’esame delle domande, specie in riferimento al primo canale d’accesso (emersione di un rapporto di lavoro irregolare o instaurazione di un nuovo rapporto di lavoro con un cittadino straniero), per il quale a febbraio 2021 erano arrivate alla fase finale della procedura solo il 5% delle domande (13.244 le convocazioni effettuate al 16 febbraio 2021). A documentare puntualmente i ritardi è il gruppo di associazioni promotrici della campagna Ero straniero che ha raccolto i dati dal Ministero dell’Interno attraverso una serie di accessi agli atti. Ne è emerso un quadro inquietante soprattutto nelle due città italiane più grandi e che hanno ricevuto più istanze: alla fine di gennaio, a Roma (oltre 16mila domande ricevute) nessuna pratica era arrivata ancora alla fase conclusiva, mentre a Milano (oltre 26mila domande) a metà febbraio solo 289 pratiche risultavano in istruttoria e le convocazioni in prefettura limitate a 16 alla settimana a causa delle regole di sicurezza COVID. Il report di Ero Straniero ha calcolato che di questo passo servirebbero 30 anni per portare a termine tutte le domande di Milano. Un’altra città critica è Caserta, territorio in cui abbondano il lavoro nero le pratiche di caporalato: su oltre 6mila domande ricevute, a metà febbraio le convocazioni per finalizzare l’assunzione erano solo 10 e ancora non era stato rilasciato nessun permesso di soggiorno. Va un po’ meglio Bari (4.993 domande) e Firenze (4.483), pur dovendo considerare quasi un altro anno per portare a termine tutte le pratiche. Decisamente più incoraggiante la situazione delle pratiche relative al secondo canale di accesso, per la quali al 31 dicembre erano stati rilasciati 8.887 permessi di soggiorno su 12.986 domande presentate, complice una procedura più snella. Due elementi hanno contribuito prima a creare e poi a esasperare i ritardi. Il primo risiede in una difficoltà legata al reclutamento del personale aggiuntivo necessario per esaminare le pratiche. Degli 800 lavoratori/lavoratrici interinali previsti, al 12 aprile ne erano stati assunti solo 499 ma – questo è l’aspetto più grave – le prime assunzioni sono arrivate solo alla fine di marzo, lasciando sostanzialmente scoperte le prefetture per 6 mesi. Le prefetture hanno infatti lamentato la difficoltà di far fronte sia al carico ordinario, sia all’esame delle domande senza (o con insufficiente) personale aggiuntivo. La seconda ragione dei ritardi è da imputare alla necessità di rispettare le norme di sicurezza sanitaria che impongono un accesso contingentato agli spazi. Questo problema si potrebbe però superare derogando alle convocazioni in presenza dei datori di lavoro e dei lavoratori: la procedura potrebbe infatti essere completata in via telematica.

Come sostengono le associazioni promotrici di Ero Straniero, le conseguenze negative del gravissimo ritardo accumulato non ricadono soltanto sulle persone che attendono una risposta e un permesso di soggiorno per uscire da una situazione di incertezza che rischia di diventare permanente; ci sono infatti elementi di forte criticità anche in relazione alla campagna vaccinale poiché, finché restano invisibili, gli irregolari resteranno anche ai margini della programmazione vaccinale.

La difficoltà con cui le prefetture stanno affrontando l’evasione delle domande porta allo scoperto anche i limiti dello strumento della regolarizzazione intesa come provvedimento straordinario e categoriale. Una valida alternativa, già sperimentata in Germania e Spagna, potrebbe essere una forma di regolarizzazione senza finestre temporali e senza click day: una procedura sempre aperta e accessibile agli stranieri irregolari che dimostrino la disponibilità di un contratto di lavoro o che siano positivamente integrati in un territorio, secondo una valutazione da fare caso per caso piuttosto che con criteri astratti.

[1] ASGI, Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione: https://www.asgi.it/; CNEL, Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro: https://www.cnel.it/; Caritas-Migrantes: https://www.migrantes.it/xxix-rapporto-immigrazione-caritas-e-migrantes-2020-conoscere-per-comprendere/.

 

Per saperne di più:

Campomori F. e Marchetti C. (2020) Much Ado about nothing: i paradossi della regolarizzazione dei migranti figlia della pandemia, in Politiche Sociali/Social Policies, n.2/2020

Kraler A. (2019) Regularization of Irregular Migrants and Social Policies: Comparative Perspective, Journal of Immigrant & Refugee Studies, 17:1, 94-113 https://doi.org/10.1080/15562948.2018.1522561

https://erostraniero.radicali.it/

Caritas- Fondazione Migrantes, XXIX Rapporto Immigrazione 2020

 

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