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È partita in via sperimentale la prima politica attiva per il lavoro del Jobs Act. Coinvolge 30mila persone, aiutati nella ricerca “intensiva” di lavoro.

 

Nel corso degli ultimi trent’anni gli annunci in tema di “Politiche attive per il lavoro” (ovvero tutte quelle iniziative, misure, programmi ed incentivi volti a favorire l’inserimento o il reinserimento nel mondo del lavoro) sono stati numerosi, per poi rivelarsi spesso fuochi di paglia o, nel migliore dei casi, passi in avanti degni di nota, ma pur sempre lontani dalle aspettative originarie. Con l’approvazione e la prima implementazione del decreto attuativo 150 del 2015 del cosiddetto “Jobs Act” si è aperta un’ennesima finestra di opportunità, anche se quest’ultima sembra scontare un certo ritardo rispetto al passo decisionista che ha segnato l’adozione di altri provvedimenti in materia di politiche del lavoro. Val la pena soffermarsi su due delle novità introdotte. Il primo aspetto riguarda principalmente, ma non esclusivamente, la nuova governance del sistema, ovvero in particolare l’istituzione dell’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (Anpal).

L’operatività dell’Anpal si è fatta attendere: annunciata a inizio 2016, ha incominciato a muovere i primi passi solo nell’autunno dello scorso anno, in attesa probabilmente di conoscere l’esito del referendum sulla riforma costituzionale -la proposta prevedeva infatti anche di riportare le politiche attive del lavoro, che è oggi una materia di legislazione “concorrente”, in capo allo Stato-.

La seconda novità concerne la prima e più importante misura posta in essere dall’Anpal in attuazione del decreto 150/2015: il cosiddetto “assegno di ricollocazione” (Adr). Si tratta di una misura riservata ai disoccupati percettori dell’indennità di disoccupazione dell’Inps (nota come “Naspi”) da più di 4 mesi, i quali potranno rivolgersi a un centro per l’impiego pubblico o un’agenzia privata accreditata al fine di ricevere un tutorato personalizzato e un’assistenza alla ricerca intensiva di una nuova occupazione. In caso di collocamento del disoccupato, l’assegno riconosce al prestatore dei servizi selezionato un importo variabile -dai 250 ai 5mila euro- a seconda della tipologia contrattuale del rapporto di lavoro posto in essere e del profilo di “occupabilità” della persona assistita.

Un altro aspetto da rilevare riguarda la modalità di introduzione di tale assegno che sarà riservato in via “sperimentale” a un campione di circa 30.000 persone, selezionate attraverso sorteggio. Questa decisione risponde da una parte all’esigenza di non ritardare ulteriormente l’attuazione di una misura prevista dal Jobs Act; dall’altra, è importante notare la predisposizione di un vero e proprio disegno di ricerca controfattuale che, se condotto adeguatamente, dovrebbe consentire la realizzazione di un’accurata analisi sull’efficacia di una misura di attivazione adottata per la prima volta a livello nazionale.

In conclusione, va notato tuttavia che permangono alcune conferme quali la mancanza di adeguati investimenti per i servizi pubblici per l’impiego, difficilmente colmabili con il solo apporto degli operatori privati, e alcuni interrogativi rispetto alle capacità di regia dell’Anpal che dovrà dimostrare il suo effettivo “valore aggiunto” rispetto a quanto fatto finora dal ministero del Lavoro. Anche assumendo la desiderabilità di un modello di flexicurity all’italiana, la sua compiuta realizzazione resta dunque ancora in divenire, soprattutto in relazione a uno dei fronti della cittadinanza sociale, vale a dire l’accesso per tutti ad adeguati servizi e misure di sicurezza “attiva” del lavoro.

 

Questo articolo è stato scritto da Patrik Vesan per la rubrica mensile OCIS all’interno di Altreconomia.

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