Ae n.202, marzo 2018
Concepita per promuovere gli standard sociali dei Paesi membri dell’Ue, l’iniziativa voluta dalla Commissione sta incontrando difficoltà.
Il 17 novembre 2017, in occasione del “vertice sociale” di Göteborg, ha avuto luogo la proclamazione inter-istituzionale del Pilastro europeo dei diritti sociali, pubblicato sotto forma di raccomandazione della Commissione nell’aprile 2017. La proclamazione inter-istituzionale da parte della Commissione europea, del Consiglio dell’Ue e del Parlamento europeo dimostra l’importanza del Pilastro, senza dubbio la più importante iniziativa dell’Ue nel settore delle politiche sociali sin da protocollo sociale annesso al Trattato di Maastricht (1992). Il Pilastro, fortemente voluto dal presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, si inserisce in un quadro più ampio di ripensamento del processo di integrazione europea delineato nel “libro bianco” sul futuro dell’Europa, che include anche alcune prospettive di sviluppo riguardanti, anche, l’“Europa sociale”.
Il Pilastro, il cui scopo è di promuovere una “convergenza verso l’alto” degli standard sociali dei Paesi dell’Unione, è composto da venti principi e diritti organizzati in tre capitoli: 1) Pari opportunità e accesso al mercato del lavoro (ad esempio il diritto all’eguaglianza di genere e il diritto a un supporto attivo nella ricerca di lavoro); 2) Condizioni di lavoro eque (il diritto alla salute e sicurezza sul lavoro); e 3) Protezione ed inclusione sociale (il diritto a un reddito minimo e alla protezione in caso di disoccupazione).
Sebbene il Pilastro rappresenti, potenzialmente, un importante passo in avanti nella costruzione di un’Europa più attenta al sociale, il cammino verso la sua piena implementazione appare complicato. In primo luogo i meccanismi attraverso cui esso verrà integrato nella governance economica e sociale europea (il Semestre europeo) non sono ancora chiari. In secondo luogo, bisogna notare che l’Unione non ha competenze legislative in tutte le materie coperte dal Pilastro.
Alcune iniziative legislative sono già state intraprese (si pensi alla proposta di revisione della direttiva sulla conciliazione lavoro/vita privata), tuttavia, in altri settori, l’azione dell’Unione sarà limitata a iniziative di monitoraggio della situazione negli Stati membri e scambi di buone prassi. È questo il caso dei diritti attinenti alla protezione e inclusione sociale come, ad esempio, la garanzia di un reddito minimo per tutti i cittadini europei.
Di conseguenza -ed è il terzo punto- l’implementazione del Pilastro dipenderà soprattutto dalla volontà degli Stati membri e alcuni di questi appaiono scettici a riguardo. In particolare è il caso dei Paesi dell’Europa centro-orientale, la cui competitività si basa soprattutto sulla presenza di standard sociali meno sviluppati rispetto al resto dell’Ue. Quarto, le parti sociali sono considerate dalla Commissione come “attori chiave” per l’implementazione del Pilastro ma le posizioni di sindacati e organizzazioni dei datori di lavoro appaiono quanto mai distanti. Da ultimo, il Pilastro va visto come un’iniziativa della Commissione Juncker. Non è detto che la prossima Commissione, sarà eletta dopo le elezioni europee del maggio 2019, deciderà di farlo proprio.
Questo articolo è stato scritto da Sebastiano Sabato per la rubrica mensile OCIS all’interno di Altreconomia.