Reggio Emilia significa tante cose. Significa cooperazione: solidarietà e fratellanza al lavoro. È stata movimento operaio (delle Reggiane è stato lo sciopero e occupazione più lungo della storia d’Italia, tra il 1950 e il 1951). A Reggio sono nati e cresciuti gli asili più belli del mondo. E in tutto ciò la città e i suoi cittadini non son stati isole, ma hanno contribuito, esportato, condiviso idee e metodi di lavoro. Perchè il saper fare bene è necessario per progredire ma se il benessere non è condiviso, se non diventa l’elemento base su cui fondare i progressivi avanzamenti, allora ci si trova di fronte al proverbiale colosso coi piedi di argilla. La capacità del territorio reggiano e di chi vi ha lavorato negli anni è stata quella di comprendere – non tanto come dato culturale acquisito, ma come matrice insita nella storia di questa comunità – la necessità di fare welfare, ovvero un interesse pubblico: una questione di tutti, una responsabilità collettiva, che non intacca ma anzi accresce la ricchezza dei singoli. E proprio ora, che la cosa pubblica fatica di più a tenere il ritmo dei crescenti disagi sociali e sempre più il benessere coincide con la ricchezza economica è importante parlare di quelle radici sulle quali è stata costruita questa comunità, di etica e di pensiero pluralista, di una società in cui non uno dei suoi elementi sia lasciato indietro e dimenticato.
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