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POLICY MEMO n.8 – Maggio 2018 – Di Paolo Graziano, Università di Padova e OCIS, e Francesca Forno, Università di Trento e OCISa

In Europa, e non solo, la democrazia rappresentativa è in crisi da anni. Sono in costante calo la partecipazione elettorale, gli iscritti ai partiti e la fiducia nelle istituzioni (parlamento, governo e partiti politici – in modo marcato). Ciò ha determinato da un lato la crescita di partiti e movimenti considerati anti-sistema o (neo)populisti, dall’altro il tentativo di rinsaldare le ancore della democrazia grazie a strumenti aventi come obiettivo l’incremento della partecipazione delle cittadine e dei cittadini. La democrazia partecipativa, nelle sue due forme più significative (bilancio partecipativo e progettazione o urbanistica partecipata), si è diffusa in modo esponenziale a partire dall’esperienza di Porto Alegre dove la prima edizione del bilancio partecipativo è stata realizzata nel 1989. Secondo un recente rapporto del Parlamento Europeo (2016), vi sono attualmente circa 1.000 esperienze di bilancio partecipativo in America Latina e 1.300 in Europa, e oltre 8 milioni di cittadine e cittadini europei ne sono coinvolti. Altre forme di democrazia partecipativa, quali la progettazione urbanistica partecipata, hanno radici ancora più antiche ma anch’esse si sono moltiplicate in tempi recenti. A queste due forme più consolidate, si è aggiunta anche l’esperienza dei “Consigli del cibo” (Food Councils), tavoli multi-attoriali nell’ambito dei quali i cittadini si confrontano con l’obiettivo di elaborare e condividere politiche locali del cibo orientate ad una maggiore sostenibilità ambientale e sociale. Quali sono le caratteristiche delle esperienze di maggiore successo?

Bilancio partecipativo

Nel giro di pochi anni, i bilanci partecipativi sono riusciti ad imporsi come strumento di avvicinamento dei cittadini delusi alle istituzioni. Hanno rappresentato un modo per colmare quel divario che aveva allontanato sempre più cittadine e cittadini dalla ‘cosa pubblica’. E non è un caso che tale strumento si sia diffuso a partire da un continente che ha conosciuto tardi il processo di democratizzazione – l’America Latina – e che ha comunque cercato di ancorare la democrazia rappresentativa ad un fondale di democrazia partecipativa.

Il bilancio partecipativo consiste in una sorta di complemento di democrazia diretta giacché consiste nell’offrire un’opportunità ai cittadini di votare direttamente la destinazione di una parte limitata (nell’ordine del 5-10% delle risorse non vincolate) del bilancio comunale. A causa della natura dello strumento, la procedura partecipativa non è stata (ancora) applicata a livello nazionale bensì solo a livello locale. I risultati conseguiti dall’introduzione del bilancio partecipativo sono molteplici: non solo ha riavvicinato le persone all’attività di governo ma ha anche fornito la possibilità alle cittadine e ai cittadini di condividere idee di città che altrimenti non sarebbero emerse. Sotto questo profilo, la valorizzazione delle preferenze della cittadinanza va guardata con estremo favore – soprattutto in un contesto di disaffezione crescente, in cui poche iniziative sembrano riuscire a coinvolgere in modo continuativo le persone. E tale è stato il successo che, nel corso degli anni, anche le Nazioni Unite e la Banca Mondiale hanno sostenuto pratiche di bilancio partecipativo in varie parti del mondo. Il limite principale dello strumento risiede nel suo impatto ridotto: solo una piccola parte del bilancio viene allocata seguendo tale procedura. Inoltre, il fenomeno della frammentazione delle risorse, emersa in più occasioni, non facilita l’adozione di progetti che siano di grande impatto per il governo della città. Infine, solo una parte limitata (una percentuale oscillante tra il 5% e il 10%) degli aventi diritto effettivamente partecipa alle votazioni.

Urbanistica partecipata

Un altro strumento utilizzato per rafforzare il senso di appartenenza dei cittadini alla comunità è rappresentato dalle modalità di partecipazione in ambito urbanistico o in relazione all’adozione di decisioni connesse alla viabilità. Nel corso degli anni, ciò ha riguardato non solo le decisioni assunte a livello di quartiere, su cui ritorneremo, bensì anche decisioni rilevanti a livello nazionale. Nel contesto francese, ad esempio, l’introduzione della procedura del débat public nel 1995 ha consentito a decisioni di grande impatto ambientale – come ad esempio la costruzione della linea TAV tra Lione e Torino – di essere discusse in ‘dibattiti pubblici’ a cui hanno partecipato i principali portatori di interesse. E ciò ha permesso a scelte potenzialmente controverse di diventare meno divisive, in seguito agli aggiustamenti progressivi derivanti dal confronto pubblico. In tempi molto recenti (marzo 2018) è stato approvato anche un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) che introduce in Italia lo strumento del ‘dibattito pubblico’ – anche se è da utilizzare solo per decisioni relative ad importi di spesa pubblica molto elevati.

In Italia, è soprattutto a livello di quartiere che, nel corso degli anni, sono stati sviluppati strumenti di partecipazione dei cittadini. Non solo con le numerose riforme degli anni ’70 che a livello municipale hanno introdotto i consigli (o comitati) di quartiere, ma più di recente con strumenti di vera e propria progettazione partecipata volti a coinvolgere i cittadini nelle decisioni di rilievo per il proprio territorio. A differenza del bilancio partecipativo, l’urbanistica partecipata – così come il débat public – prevede la corresponsabilizzazione dei cittadini sotto forma di co-progettazione, e non solo sotto forma di espressione di un voto formale a favore di una specifica politica.

Anche l’urbanistica partecipata è stata criticata per essere ‘poco partecipata’ e ‘catturata’ da interessi precostituiti. Inoltre, in alcuni casi ne sono stati evidenziati i limiti derivanti dal monopolio dell’agenda da parte dell’amministrazione pubblica di riferimento e dalla contestuale impossibilità – da parte dei portatori di interesse – di riuscire a incidere significativamente sui grandi temi urbanistici. Tuttavia, se ben congegnata, anche l’urbanistica partecipata può rappresentare un’opportunità per riavvicinare la comunità politica locale alle istituzioni attraverso un maggior coinvolgimento decisionale.

I Consigli del cibo

Consigli del cibo hanno il compito di promuovere la partecipazione dei cittadini nelle scelte relative alle politiche del cibo (food policy). Un impulso significativo alla costituzione dei Consigli del cibo è stato dato dai gruppi e movimenti sociali che negli anni si sono impegnati su tematiche che vanno dalla lotta alla povertà, alle questioni che riguardano la nutrizione, la salute e l’agricoltura sostenibile. Sebbene queste esperienze possano essere anche molto diverse da contesto a contesto, in generale, i Consigli del cibo consistono in tavoli di discussione all’interno dei quali si confrontano, mettendo in comune istanze e competenze, i diversi soggetti che, a vario titolo, sono coinvolti nella filiera alimentare (produttori, distributori, consumatori, associazioni, soggetti istituzionali ecc.) con l’obiettivo di migliorare le pratiche di consumo, produzione e distribuzione del cibo. Se le prime esperienze di Consigli del cibo si focalizzavano maggiormente sui temi della lotta alla fame, più recentemente queste iniziative hanno adottato un approccio più ampio toccando diversi temi: dal rilancio dell’agricoltura e della produzione locale, alla tutela della bellezza e salubrità del territorio, alla distribuzione e trasformazione, fino al problema dello spreco alimentare.

Attualmente, in tutto il Nord America, si stima che ci siano circa 300 esperienze di questo tipo che operano a livello urbano-metropolitano, regionale e nazionale. Forme analoghe sono diffuse anche in Sudamerica, Africa e Asia, dove i Consigli del cibo hanno spesso un ruolo fondamentale nell’ambito delle politiche di lotta alla povertà. In Europa, i Consigli del cibo sono esperienze più recenti che si sono diffuse in particolare a partire dai primi anni 2000 soprattutto nei contesti urbani. In Italia, particolarmente interessanti sono i casi di Milano e Torino. Similmente all’urbanistica partecipata, anche i Consigli del cibo prevedono la corresponsabilizzazione dei cittadini sotto forma di co-progettazione e non solo sotto forma di espressione di un voto per una specifica politica. I Sistemi del cibo rappresentano inoltre strumenti necessari per permettere l’accesso al cibo di qualità a più ampie fasce di popolazione.

Come nel caso dell’urbanistica partecipata, anche ai Consigli del cibo si critica il fatto di essere ‘poco partecipati’ e di attribuire più potere decisionale a chi ha più risorse (come nel caso alla Grande Distribuzione Organizzata o delle grandi associazioni dei produttori), lasciando spesso più ai margini le voci e le istanze dei soggetti meno strutturati e istituzionalizzati. In generale, si nota come queste esperienze tendano ad essere maggiormente inclusive in quei contesti dove pre-esistono reti di movimento auto-organizzate, capaci di articolare forme di pressione più strutturata e quindi rendere la pubblica amministrazione maggiormente consapevole e capace di riorientare le proprie politiche a beneficio degli interessi dell’intera cittadinanza.

Conclusioni

Quali lezioni trarre dalle ormai molteplici esperienze di democrazia partecipativa? In primo luogo, va sottolineato come esse debbano essere strumenti complementari a procedure di democrazia rappresentativa e, in quanto tali, consentire di focalizzarsi su temi di particolare rilievo per la comunità politica. In secondo luogo, perché abbiano successo le procedure che guidano tali esperienze, devono essere rese note alla cittadinanza e, pertanto, la comunicazione assume un ruolo centrale per incrementarne l’impatto e la portata. Infine, deve essere data la possibilità alla cittadinanza di essere coinvolta non solo ‘a valle’ bensì anche ‘a monte’, dandole cioè modo di contribuire maggiormente al processo decisionale attraverso l’ampliamento della quota relativa al bilancio partecipativo oppure attraverso un maggiore coinvolgimento nella definizione dell’agenda di eventuali interventi urbanistici, di valorizzazione dei quartieri e per l’accesso al cibo “buono pulito e giusto” per tutte e tutti.

Per saperne di più:

Allegretti, U. (a cura di) (2015), Democrazia partecipativa. Esperienze e prospettive in Italia e
in Europa, Firenze, Firenze University Press.

Calori, A., Magarini, A. (a cura di) (2015), Politiche del cibo per città sostenibili, Roma,
Edizioni Ambiente.

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