Ae n.221, dicembre 2019
Prima infanzia, il primo punto dell’agenda.
L’investimento in servizi per la prima infanzia di alta qualità e a costi contenuti può rivelarsi la chiave per contrastare le diseguaglianze
Servizi per la prima infanzia diffusi e di qualità consentono alle famiglie, e alle giovani madri in particolare, di conciliare ritmi lavorativi e vita familiare. Inoltre, è stato dimostrato come la partecipazione dei bambini a servizi socio-educativi -specie a partire dal primo anno d’età- abbia effetti benefici sulle future performance a scuola e nel mercato del lavoro. Un investimento in servizi per la prima infanzia di alta qualità e a costi contenuti può perciò rivelarsi una componente importante di una strategia che miri a contrastare le diseguaglianze, aiutando bambini nati in contesti familiari svantaggiati a uscire da una condizione di povertà. L’Italia presenta ancora un grave ritardo rispetto alla maggioranza dei Paesi europei. La spesa pubblica in servizi di cura per i minori di 3 anni è pari a circa lo 0,2% del Pil, a fronte di una media europea dello 0,8% e una spesa pari all’1,6% in Svezia e all’1% in Francia. Il limitato investimento pubblico si traduce in modesto numero di posti disponibili e costi elevati per le famiglie. In effetti, pur essendo aumentato significativamente negli ultimi due decenni, il “tasso di copertura” -cioè la percentuale di posti disponibili in servizi della prima infanzia pubblici e privati rispetto al totale della popolazione di età inferiore a 3 anni- è in Italia ancora significativamente inferiore alla media europea (28,6% contro 34,4% dell’Ue a 28) Inoltre, gran parte della crescente domanda di servizi per la prima infanzia è stata assorbita dall’offerta privata, che è passata dal rappresentare l’11,7% del totale dell’offerta di servizi nel 2000 a quasi il 50% nel 2016. Al contrario, in un Paese come la Spagna, dove fino al 2000 il tasso di copertura era pari a quello italiano, l’offerta totale di servizi per la prima infanzia è oggi significativamente superiore (38%), grazie soprattutto all’aumento dei servizi pubblici che passano dal 44,7% del totale dell’offerta nel 2000 al 52% nel 2016. A caratterizzare ulteriormente il caso italiano sono le differenze regionali, con il tasso di copertura che nelle regioni del Centro-Nord si avvicina agli standard europei, mentre scende vertiginosamente al Centro-Sud.
18%
Nel 2016, solo il 18% dei bambini dagli 0 ai 3 anni provenienti da famiglie a basso reddito accedono agli asili nido in Italia.
Secondo l’ultima rilevazione Istat, nel 2016 il tasso di copertura variava tra il 44,7% della Valle d’Aosta e il 7,6% della Campania. Inoltre, un’interessante analisi dell’OCSE (2016) dimostra come l’accesso ai servizi della prima infanzia in Italia sia tra i meno inclusivi in Europa: solo il 18% dei bambini provenienti da famiglie con bassi livelli di reddito accede ai servizi socio-educativi, contro il 32% di Spagna e Olanda e il 50% di Svezia e Danimarca. In effetti, in Italia l’accesso al nido è difficile non solo per la limitata disponibilità di posti, ma anche per l’alto costo delle rette che può rendere il servizio insostenibile per le famiglie, specialmente a basso reddito. Un recente rapporto di Cittadinanzattiva stima che per una famiglia con reddito ISEE da 19.990 euro annui nel Nord Italia la retta può arrivare fino ai 515 euro mensili. L’alto costo e l’assenza di misure nazionali che garantiscano un abbattimento della retta contribuiscono dunque a rendere difficili per molte famiglie accedere a un nido, con effetti negativi in termini di disuguaglianza nelle opportunità, sviluppo infantile e occupazione femminile. I bisogni dei minori sono entrati nell’agenda del nuovo governo; tuttavia, è necessario sottolineare la priorità di una politica nazionale che miri ad aumentare la disponibilità di servizi di qualità e metta in campo misure di abbattimento del costo delle rette.
Questo articolo è stato scritto da Marcello Natili e da Antonino Sorrenti, dottorando di ricerca all’Università degli Studi di Milano, per la rubrica mensile OCIS all’interno di Altreconomia.
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