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NOTA n.4 – Dicembre 2021 – Di Francesca Subioli, Università La Sapienza

Che la disuguaglianza dei redditi nelle economie avanzate, inclusa l’Italia, sia aumentata negli ultimi decenni – pur con rilevanti differenze tra paesi e fasi del ciclo economico – è un fatto ampiamente documentato dalla ricerca accademica. Molto meno sappiamo, invece, su quali dinamiche reddituali dei singoli individui nel corso del tempo abbiano accompagnato tale fenomeno: se, cioè, la crescente disuguaglianza dei redditi annui si sia accompagnata a un approfondimento dei divari “permanenti” fra individui o, viceversa, a una maggiore volatilità reddituale.

La maggiore (recente) disponibilità di microdati longitudinali che consentono di seguire un campione rappresentativo di lavoratori per molti anni permette però ai ricercatori di affiancare alle analisi di disuguaglianza quelle di mobilità – cioè di studiare non solo quanto i redditi individuali siano diversi tra persone in un dato momento, ma anche come si siano mossi i redditi dei singoli individui nel corso del tempo. Affiancare alle analisi di disuguaglianza quelle di mobilità aiuta perciò a fornire un quadro completo delle differenze reddituali con lo scopo, tra l’altro, di valutarne l’accettabilità sociale. Questa nota, che include i primi risultati di un progetto di ricerca condotto assieme a Michele Raitano, offre alcune chiavi interpretative di diversi concetti legati alla disuguaglianza e alla mobilità, fornendo evidenze in merito alla persistenza delle differenze reddituali in Italia negli ultimi 40 anni.

La disuguaglianza trasversale in Italia

La Figura 1, tratta dal XVIII Rapporto Annuale INPS del 2019 e riferita all’universo dei lavoratori dipendenti del settore privato, mostra l’andamento della disuguaglianza delle retribuzioni annue reali lorde in Italia dal 1975 al 2017: dopo una prima fase discendente, nell’ultimo periodo di applicazione della Scala Mobile[1], da metà anni ’80 e ancora più dai primi anni ’90 si è registrato un continuo aumento dell’indice di disuguaglianza di Gini, accompagnato dalla stagnazione dei redditi reali medi e della produttività.

Figura 1: Indice di Gini nel settore dipendente privato in Italia per diverse nozioni di reddito.

Fonte: Rapporto INPS 2019. Livello dei prezzi al 2018.

Se questo è il quadro per il nostro paese della disuguaglianza “trasversale”, ovvero calcolata anno per anno, quali sono le dinamiche reddituali, in termini di crescita dei redditi e mobilità delle posizioni individuali nel corso del tempo, che hanno dato luogo a queste “istantanee” della disuguaglianza economica?

Come sottolineato nei lavori di Stephen Jenkins (si veda soprattutto Jenkins, 2011) e dell’OCSE (OECD 2018), una società in cui gli individui cambiano posizione di anno in anno, e il cui reddito cresce, affronta sfide diverse rispetto a una in cui ognuno mantiene la stessa posizione per tutta la vita e il reddito complessivo ristagna.

Al proposito, Jenkins adotta l’efficace immagine del palazzo: immaginiamo di collocare ogni persona in un piano di un edificio in base a dove si trova nella distribuzione del reddito in un periodo; non può essere indifferente, per il decisore pubblico, se chi si trova in un piano rimane lì per tutta la vita, o se alcuni piani si svuotano a favore di altri, o se da un periodo all’altro le persone si scambiano posizione – alcuni salgono, altri scendono. In un edificio in costruzione, inoltre, è possibile che nuovi piani vengano aggiunti aumentando le possibilità di ascesa – come avviene tipicamente in un’economia in crescita. Il dibattito sull’accettabilità delle disuguaglianze, quindi, e sulle politiche per affrontarle, non può prescindere dalla conoscenza della mobilità reddituale che caratterizza una società.

Box: Mobilità reddituale: cos’è e come si misura

Gli studi sulla mobilità reddituale si dividono in diverse macro-categorie[2]: un primo elemento di distinzione è che la mobilità può essere studiata tra diverse generazioni – parliamo in questo caso di mobilità inter-generazionale, che coglie quanto le prospettive economiche dei figli sono legate allo status dei genitori – o all’interno della stessa generazione, cioè mobilità intra-generazionale, che misura come cambiano i redditi degli stessi individui nel corso della loro vita adulta. Con riferimento a questa seconda categoria, distinguiamo gli studi che confrontano il reddito al tempo 1 con il reddito al (successivo) tempo n+1 – li chiameremo studi bi-periodali – da quelli che analizzano tutti i movimenti di reddito intercorsi tra il tempo 1 e il tempo n+1, che chiameremo studi di dinamica. Entrambe le analisi richiedono dati di tipo longitudinale, ovvero informazioni sugli stessi individui osservati in più punti nel tempo; inoltre, più aumenta la distanza tra il primo e l’ultimo punto di osservazione, più l’analisi passa dal breve al lungo termine.

La letteratura ha elaborato quattro principali concetti di mobilità intra-generazionale: i primi due nascono dalla distinzione tra mobilità in senso relativo (come mi muovo io rispetto a come si muovono gli altri) e in senso assoluto (se il mio reddito aumenta o decresce nel corso del tempo). Un terzo concetto nasce dal legame tra i movimenti di reddito e la disuguaglianza: si calcola la mobilità in modo indiretto come frazione della disuguaglianza trasversale (nei singoli anni) che “scompare” se calcolata sul reddito medio di un periodo temporale più ampio (ad esempio, in un quinquennio). Se la disuguaglianza dei redditi annui è più alta di quella tra i redditi medi nel periodo di osservazione, significa che le persone non hanno mantenuto le proprie posizioni in tutti periodi ma si sono mosse e scambiate di posto con conseguente riduzione della disuguaglianza “permanente”. Infine, un quarto concetto di mobilità coglie maggiormente la dinamica dei redditi nei singoli anni del periodo di osservazione, scomponendo i redditi annui in una componente permanente, prevedibile e sensibile solo a shock di lungo periodo, e una componente transitoria, imprevedibile e destinata a riassorbirsi in poco tempo.

Disuguaglianza e buona vs cattiva mobilità: quale relazione?

Se, da un lato, la mobilità reddituale – ovvero gli spostamenti degli individui lungo la distribuzione dei redditi nel corso del tempo – può compensare la disuguaglianza trasversale rendendola transitoria, dall’altro essa può non essere sempre desiderabile dal punto di vista del benessere individuale. Infatti, se mobilità vuol dire frequenti movimenti reddituali, positivi e negativi, essa può essere motivo di insicurezza e precarietà per gli individui e le famiglie che non hanno la possibilità di prevenire e affrontare gli shock tramite il credito e il risparmio. Chiamiamo  volatilità questo tipo di “mobilità instabile”, in analogia con il termine usato dalla letteratura finanziaria per descrivere le piccole e frequenti variazioni di prezzo dei titoli. A questo proposito, l’OCSE (OECD 2018) mette in guardia i decisori politici sull’esistenza della “mobilità disuguale”, ovvero di movimenti reddituali frequenti e non previsti, combinati con bassa crescita dei redditi e concentrati nei gruppi più vulnerabili della società.

Nella nostra ricerca abbiamo misurato per l’Italia quanto della disuguaglianza complessiva (tra individui e periodi) derivi da differenze persistenti e quanta, invece, sia attribuibile alla mobilità reddituale degli individui nel tempo. Facciamo uso di una base dati longitudinale costruita incrociando le informazioni amministrative raccolte dall’INPS con quelle campionarie dell’indagine IT-SILC dell’ISTAT. Per tenere conto delle considerazioni dell’OCSE sulla mobilità disuguale, distinguiamo la mobilità “buona” – ascendente e regolare – da quella “cattiva” – decrescita regolare o fluttuazioni di reddito frequenti, irregolari, e dunque difficilmente prevedibili. A tal fine, come spiegato in dettaglio successivamente, adottiamo una metodologia di analisi che consente di scomporre la disuguaglianza dei redditi in una componente permanente, una di mobilità e una di mera volatilità[3].

Osserviamo circa 21.000 uomini e 11.000 donne – analizzati separatamente – di età compresa tra i 35 e i 45 anni, una fase in cui assumiamo che la quasi totalità di essi abbia finito di studiare e sia stabilmente entrata nel mercato del lavoro. Si tratta, inoltre, di una finestra temporale sufficientemente ampia da consentire una stima accurata sia della mobilità e della volatilità dei redditi annui, sia del benessere complessivo durante la carriera lavorativa, approssimato dal reddito medio nella finestra di età considerata. I lavoratori sono suddivisi in 30 coorti di nascita quinquennali sovrapposte[4]: si parte dai nati tra il 1940 e il 1944 per arrivare ai nati tra il 1969 e il 1973.

Come dimensione del benessere individuale, l’analisi guarda al reddito da lavoro annuo (al lordo di imposte e contributi a carico del lavoratore e inclusivo della quota di retribuzione legata a indennità di malattia, maternità e CIG) espresso in termini reali (depurando, quindi, dall’inflazione). All’interno di ognuna delle 30 coorti di nascita considerate si scompone la disuguaglianza nelle tre componenti di persistenza, mobilità e volatilità, in modo da verificarne l’evoluzione nel tempo.

In dettaglio, il reddito individuale nell’anno è esprimibile come somma di tre componenti: i)  permanente (o di lungo termine), che non è altro che il reddito medio della finestra temporale considerata (nel nostro caso, dai 35 ai 45 anni, quindi in un periodo di 11 anni); ii) direzionale, che esprime (in termini lineari) la dinamica di mobilità dei redditi, ascendente o decrescente, degli individui negli 11 anni osservati;  iii) transitoria, che esprime la volatilità dei redditi annui rispetto al trend (ascendente o discendente) degli individui e che cattura, quindi, la deviazione dei redditi annui dalla componente direzionale.

La Figura 2 presenta un esempio che aiuta a capire in cosa consiste la scomposizione: per una finestra di cinque anni, la figura rappresenta con i pallini neri il reddito corrente (anno per anno), con la linea nera tratteggiata il reddito medio nei cinque anni (quindi la componente permanente), e con la linea azzurra continua la tendenza lineare (in questo caso, crescente) del reddito nel periodo (quindi la componente di mobilità direzionale nei 5 anni). I segmenti rosa rappresentano lo scostamento dalla media quinquennale dovuto della tendenza (in questo caso, alla crescita del reddito nel periodo), mentre quelli azzurri rappresentano la volatilità dei redditi, ovvero le deviazioni del reddito annuo rispetto alla tendenza lineare nel periodo considerato.

Figura 2: Esempio di scomposizione del reddito in tre componenti in base a media e tendenza.

 

La tendenza lineare, quando è crescente, rappresenta l’evoluzione prevedibile per l’individuo (ad esempio, la crescita della retribuzione sulla base dell’anzianità di servizio o di scatti nella qualifica professionale) e quindi la mobilità positiva, mentre le deviazioni dalla tendenza rappresentano i movimenti reddituali inattesi e quindi la mobilità negativa. Alla base di questa scomposizione c’è la convinzione che il benessere economico individuale che deriva dal reddito non sia solo funzione del livello di quest’ultimo in un singolo anno, ma anche della sua evoluzione in termini di crescita e di stabilità in un periodo temporale più ampio. Concretamente, quindi, per ogni lavoratore calcoliamo la variabilità dei segmenti rosa come misura di mobilità personale e la variabilità dei segmenti azzurri come misura di volatilità. Aggreghiamo poi all’interno della coorte queste componenti calcolate per ogni singolo individuo calcolando (i) la disuguaglianza tra i redditi medi come componente permanente, (ii) la mobilità media, separando chi ha tendenza crescente da chi ha tendenza decrescente per ottenere mobilità ascendente e mobilità discendente, e (iii) la volatilità media.

La Figura 3 riporta i risultati della scomposizione per uomini e donne nati fra il 1940 e il 1973 mostrando la percentuale di disuguaglianza complessiva attribuibile alle diverse componenti in esame.

Per la prima coorte, l’80% della disuguaglianza è dovuto a differenze persistenti, mentre il restante 20% si divide equamente tra mobilità e volatilità. Dopo una prima fase, positiva, di aumento del peso della mobilità ascendente a discapito, soprattutto, della mobilità discendente e della volatilità, a partire dalla coorte dei nati tra il 1946 e il 1950 la componente persistente ha acquisito sempre più rilevanza (in modo continuo per gli uomini, con un rallentamento per le donne), arrivando a pesare poco meno del 90%.

Figura 3: Composizione percentuale della disuguaglianza complessiva.

 

Fonte: calcoli degli autori su dati AD-SILC.

Partendo da questa scomposizione può essere utile distinguere la mobilità “buona”, quella ascendente, da quella “cattiva”, espressa come somma di mobilità discendente e volatilità. Nella Figura 4 si osserva l’evoluzione temporale per le diverse coorti della mobilità (asse y a sinistra), e della probabilità di sperimentare una tendenza lineare crescente piuttosto che decrescente (asse y a destra).

Figura 4: Andamento coorte per coorte della mobilità.

 

Fonte: calcoli degli autori su dati AD-SILC.

 

Notiamo, innanzitutto, che la probabilità di una crescita stabile è in riduzione nell’intero periodo sia per gli uomini che per le donne, pur con due fasi cicliche: per l’ultima coorte, il 30% dei lavoratori (poco più nel caso delle donne) ha una tendenza reddituale decrescente tra i 35 e i 45 anni. Questo dato riflette una situazione di diffusione nel tempo di carriere talmente insicure e discontinue da causare una complessiva perdita reddituale nella fase centrale della vita attiva. Tra donne e uomini non emergono rilevanti differenze nel livello di mobilità buona ma solo una più forte ciclicità di quella femminile in un quadro di complessiva riduzione nel periodo considerato; diversamente, per quanto riguarda la mobilità cattiva, il divario tra i generi è ampio, e le donne subiscono una mobilità negativa media quasi doppia di quella degli uomini. È un risultato atteso soprattutto in considerazione della finestra di età considerata, in cui l’impatto della maternità (che spesso comporta interruzioni lavorative nell’anno e transizione al tempo parziale) può essere più rilevante che in altre fasi di vita.

Queste dinamiche complessive nascondono al loro interno importanti eterogeneità legate al livello di istruzione (Figura 5): come atteso, i più istruiti hanno maggiore probabilità di sperimentare tendenze crescenti e beneficiano di livelli di mobilità buona maggiori. Sembra esserci anche un effetto di protezione dalla mobilità cattiva fornito dall’acquisizione di almeno il diploma di scuola secondaria superiore. È particolarmente interessante notare il cambiamento temporale del divario di mobilità buona legato all’istruzione: poco presente nelle prime coorti, esso si è progressivamente aperto ed è tornato a richiudersi per le coorti più recenti. Rimane invece anche per le coorti più giovani la protezione dalla mobilità cattiva.

Figura 5: Andamento coorte per coorte della mobilità per livello di istruzione.

 

Fonte: calcoli degli autori su dati AD-SILC.

Quella che emerge dai nostri primi risultati è quindi una società le cui disuguaglianze derivano sempre di più da differenze persistenti tra le persone, non mitigate da crescente mobilità. La società nel suo complesso ha subìto, negli ultimi 40 anni, un peggioramento della possibilità per gli individui di sperimentare mobilità “buona” ascendente, ma l’esperienza complessiva è stata molto varia a seconda del genere e del livello di istruzione: le donne e i lavoratori meno istruiti, infatti, già vulnerabili in termini di basso reddito medio e scarso attaccamento al mercato del lavoro, sono i gruppi che hanno registrato i minori livelli di mobilità buona e i maggiori livelli di mobilità cattiva; tuttavia, l’andamento temporale ci suggerisce che siano stati gli uomini, in particolare i più istruiti, a perdere maggiormente terreno in termini relativi, con la progressiva scomparsa dei benefici di mobilità legati al loro livello di istruzione.

[1] Introdotto nel 1949, il meccanismo di indicizzazione dei salari all’inflazione chiamato Scala Mobile è stato esteso a tutti i settori di attività nel 1975; il suo ruolo di mitigatore della diseguaglianza è dovuto all’applicazione a partire dal 1975 del cosiddetto “punto di contingenza unico”, ovvero di un adeguamento dei salari all’inflazione uguale per tutti i lavoratori in valore assoluto e non più legato all’età e alla qualifica. La Scala Mobile è stata progressivamente indebolita a partire dal 1984 e definitivamente abolita nel 1992.

[2] Si vedano, in particolare, i lavori di rassegna della letteratura di Fields and Ok (1999), Burkhauser and Couch (2009), Jäntti and Jenkins (2015).

[3] Nello specifico, sviluppiamo una metodologia dell’economista Austin Nichols (cfr. Nichols, 2010 e Nichols e Rehm, 2014) che consente di scomporre l’indice di disuguaglianza GE2 (General Entropy Index di grado 2) nelle tre componenti summenzionate. Gli indici di disuguaglianza della famiglia degli indici di entropia sono particolarmente apprezzati per la loro scomponibilità in sottogruppi: consentono infatti di separare la disuguaglianza “tra i gruppi” da quella “all’interno dei gruppi”. In questo lavoro, ogni lavoratore è un gruppo a sé stante, quindi la disuguaglianza intra-gruppo non è altro che una misura di mobilità. Il General Entropy Index di grado 2 corrisponde alla metà del coefficiente di variazione al quadrato.

[4] Spesso in questo tipo di analisi, sia quando la finestra è temporale (un certo numero di anni) sia quando è di coorte (un certo numero di anni di nascita) si usano finestre sovrapposte di tutti gli anni tranne il primo e l’ultimo per visualizzare un andamento più omogeneo nel tempo rispetto all’utilizzo di finestre non sovrapposte.

Per saperne di più:

Burkhauser, R. e Couch, K. (2009), “Intragenerational inequality and intertemporal mobility”, in Salverda, W., Nolan, B. e Smeeding, T. M. (Eds.), Oxford Handbook of Economic Inequality, Oxford University Press, Oxford, Capitolo 21, pp. 522–548.

Fields, G. S. e Ok, E. A. (1999), “The measurement of income mobility: an introduction to the literature”, in Silber, J., Handbook of income inequality measurement, Springer, Dordrecht, pp. 557-598.

Gangl, M. (2005), Income Inequality, Permanent Incomes, and Income Dynamics: Comparing Europe to the United States, Work and Occupations, 32(2):140-162.

Jäntti, M. e Jenkins, S. P. (2013), “Income Mobility”, in Atkinson, J. W. e Bourguignon, F. (2015), Handbook of Income Distribution, Volume 2, pp. 807-935.

Jenkins, S. P. (2011), Changing fortunes: Income mobility and poverty dynamics in Britain, OUP Oxford.

Nichols, A. (2010), Income inequality, volatility, and mobility risk in China and the US, China Economic Review.

Nichols, A. e Rehm, P. (2014), Income Risk in 30 Countries, Review of Income and Wealth.

OECD (2018), A Broken Social Elevator? How to Promote Social Mobility, OECD Publishing, Paris.

 

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