nota

NOTA n.7 – Dicembre 2022 – Di Matteo Bassoli, Università di Padova, e Francesca Campomori, Università Ca’ Foscari Venezia

Introduzione

La scelta dell’Unione Europea di accordare la protezione temporanea alle persone in fuga dall’Ucraina – in prevalenza donne e bambini – ha segnato una vera e propria svolta nelle politiche europee di asilo, rendendo possibili percorsi di accoglienza più fluidi e meno esposti a strumentalizzazioni politiche. Il dispositivo della protezione temporanea è nato più di vent’anni fa (direttiva 2001/55/CE) raccogliendo la lezione dei conflitti in ex-Jugoslavia e in Kosovo del decennio precedente. La guerra nei Balcani aveva infatti provocato in pochi mesi un consistente afflusso di persone costrette alla fuga e palesato la necessità di un intervento comune degli Stati membri, finalizzato a garantire una protezione immediata. La protezione temporanea, tuttavia, non è mai stata applicata prima della crisi ucraina, nonostante le molteplici circostanze in cui si sono verificate situazioni che rispondevano alle previsioni della norma, ovvero “l’afflusso o imminente afflusso massiccio di sfollati provenienti da Paesi terzi che non possono rientrare nel loro paese di origine”. Ne sono esempi la crisi siriana del 2015 e quella afghana del 2021, ma anche i più recenti flussi lungo la rotta mediterranea centrale.

A questo riguardo è opportuno sottolineare che tale protezione è altro dal riconoscimento dello status di rifugiato, creando ex-lege una nuova categoria di migranti solo in parte assimilabile ai rifugiati, ai richiedenti asilo e a coloro che godono della protezione “speciale” (ex umanitaria). Infatti, in virtù dell’applicazione di questo dispositivo, gli ucraini hanno potuto scegliere il paese in cui chiedere protezione, insediandosi nei territori in cui vi erano già dei parenti, o nei quali si intravedeva un maggiore potenziale di inserimento. Tutto ciò in totale e, soprattutto, consensuale sovvertimento delle restrittive regole di Dublino relative alle politiche europee di asilo, per anni oggetto di tensione tra gli stati membri. Inoltre, a differenza dei tortuosi e incerti percorsi ordinari di richiesta di protezione internazionale, l’istituto della protezione temporanea ha consentito alle persone ucraine di diventare da subito residenti regolari e dunque di poter esercitare qualsiasi attività lavorativa, di beneficiare di assistenza socio-sanitaria e dei servizi educativi e di istruzione nonché di essere sostenuti nell’accesso all’abitazione. Non da ultimo, la protezione temporanea ha durata di un anno, ma può essere prorogata fino ad un massimo di 3 anni, garantendo quindi una certa tranquillità rispetto alla stabilità della residenza (si veda la Figura 1 che mette a confronto la procedura di protezione temporanea con quella di richiesta di protezione internazionale a cui sono sottoposti i richiedenti asilo).

 

Figura 1: Protezione temporanea vs procedura di richiesta asilo

Protezione temporanea vs procedura di richiesta asilo

Fonte: grafico pubblicato su Corriere della Sera on line (11 marzo 2022).

 

La bontà di queste misure straordinarie di accoglienza è stata provata innanzitutto dal fatto che hanno disinnescato i consolidati meccanismi del sospetto e della paura, lasciando invece spazio a esplosioni di generosità sia da parte di singole persone (migliaia di offerte di denaro e di spazi per l’accoglienza), sia di imprese che hanno offerto posti di lavoro. La deroga alle norme ordinarie è stata inoltre conveniente anche per gli Stati, poiché li ha sgravati di una parte considerevole dei doveri di una prima accoglienza che, considerata l’entità dei flussi, avrebbe messo in ginocchio il sistema. Tra la fine di febbraio e la metà di aprile, infatti, le persone in fuga dall’Ucraina hanno raggiunto le centomila presenze, un numero superiore al totale dei richiedenti asilo e rifugiati in accoglienza in Italia all’inizio del 2022 (poco più di 80 mila). Tra l’altro, un numero così consistente di arrivi si è registrato solo negli anni tra il 2015 e il 2018 (e lo raggiungeremo con ogni probabilità nel 2022); si trattava tuttavia di sbarchi distribuiti nell’arco di 12 mesi e non concentrati in un arco temporale così breve. A fronte di arrivi tanto consistenti, aver consentito alle persone arrivate nel nostro paese di decidere dove insediarsi ha portato a una distribuzione nelle regioni italiane nelle quali la comunità ucraina – composta in totale da 235.000 persone, in prevalenza donne impiegate nell’assistenza di persone anziane – è più numerosa. In larghissima parte l’accoglienza è stata pertanto sostenuta da parenti o conoscenti presso le proprie abitazioni e dall’attivazione spontanea di associazioni di volontariato e di privati cittadini, tanto che le persone ucraine in accoglienza istituzionale a inizio settembre erano meno di 15.000, ovvero il 9% di chi è arrivato in Italia dall’inizio della guerra.

 

L’attuazione della direttiva sulla Protezione Temporanea in Italia

La direttiva 55/2001/CE impone agli stati un dovere di assistenza nei confronti delle persone in fuga, definiti “sfollati”. Il governo italiano ha risposto a questo dovere proclamando lo stato di emergenza nazionale e affidando alla Protezione Civile l’incarico di mettere a punto un piano nazionale per l’accoglienza e l’assistenza. Il piano ha previsto che le Regioni dovessero: coordinare le azioni sui propri territori con le prefetture e i comuni; attivare un raccordo con il Terzo Settore e, in caso si ritenesse opportuno, anche con i rappresentanti istituzionali della comunità ucraina eventualmente presenti nel territorio. Inoltre, è stato previsto un contributo di sostentamento di 300 euro mensili (a cui si aggiungono 150 euro per ogni minore) per un massimo di 3 mesi (e comunque non oltre il 31 dicembre) rivolto a chi, avendo fatto richiesta di protezione temporanea, abbia poi trovato autonomamente alloggio presso privati.

Come evidenziato sopra, la principale forma di accoglienza si è realizzata presso privati, in maggioranza parenti o amici ucraini, in parte famiglie o singole persone italiane che hanno reso disponibili le proprie abitazioni, soprattutto nelle prime concitate settimane del conflitto. Per quanto riguarda l’attivazione di canali di accoglienza istituzionali, sempre nelle prime settimane degli arrivi la Protezione Civile ha predisposto un’accoglienza temporanea in strutture alberghiere (a settembre 2022 circa 8.500 persone si trovavano ancora in tali strutture). Sono poi stati resi accessibili sia i Centri Straordinari di accoglienza (CAS), sia le strutture del sistema di accoglienza e integrazione (SAI)[1], predisponendo un ampliamento dei posti – peraltro cronicamente insufficienti, a causa di una cattiva programmazione – che sono via via aumentati fino a 9.000. Tuttavia, a metà ottobre, solo meno della metà dei posti finanziati risultavano attivi, per via dei lunghi tempi burocratici necessari per l’affidamento della gestione dei progetti.

Consapevole dei possibili ritardi nell’effettiva messa a disposizione dei posti aggiuntivi di SAI e CAS, la Protezione Civile ha previsto un’ulteriore modalità di “accoglienza diffusa” sullo stile del SAI, di cui ha ripreso la terminologia. Facendo seguito all’Ordinanza 881 del 29 marzo 2022 la Protezione Civile ha emanato un avviso di manifestazione di interesse rivolto agli Enti del Terzo Settore per la messa a disposizione di 15.000 posti che garantissero i servizi tipici dei progetti SAI. La novità positiva nel disegnare questa forma di accoglienza si è configurata nella modalità di co-progettazione del bando, che ha visto protagonisti gli enti del Terzo Settore che compongono il Tavolo Asilo e Immigrazione e il Forum del Terzo Settore. Il mondo del privato sociale ha generosamente risposto all’appello, facendo registrare 48 proposte nel tempo record dei 12 giorni in cui il bando è rimasto aperto (11-22 aprile). La commissione di valutazione ne ha poi valutate positivamente 29 per un totale di 17.012 posti immediatamente disponibili, tra appartamenti indipendenti (57%), accoglienza in famiglia (23%) e altre tipologie, tra cui appartamenti in condivisione e spazi messi a disposizione da enti religiosi (17%). A metà maggio, dunque, dopo uno sforzo organizzativo ingente per gli Enti del Terzo Settore (che hanno dovuto trovare spazi, famiglie disponibili e ottenere una lettera di adesione formale da parte dei Comuni di riferimento in meno di due settimane) tutto era sostanzialmente pronto per firmare le convenzioni e avviare le accoglienze.

Giunti a questo punto del processo di attuazione dell’intervento qualcosa si è però inceppato, causando un sostanziale scostamento tra risultati attesi e obiettivi raggiunti. Per poter firmare le convenzioni è stata infatti richiesta una corposa documentazione, non solo agli enti capofila ma anche ai singoli partner. Inoltre, su forte sollecitazione di ANCI – che ha rivendicato la necessità di un ruolo di primo piano per i comuni in questa forma di accoglienza –  si è resa necessaria la firma di accordi di partenariato con tutti i comuni su cui insistevano le accoglienze. Se la macchina organizzativa degli enti pubblici non brilla per fluidità in situazioni ordinarie, le elezioni amministrative di giugno hanno ulteriormente allungato i tempi, complice anche lo scarso coinvolgimento dei Comuni nella prima fase. Le prime convenzioni sono state così firmate solo il 4 agosto, alle porte delle chiusure generalizzate di Ferragosto e con molte delle famiglie accoglienti in ferie. A fine novembre sono così state attivate soltanto 12 delle 29 convenzioni previste, per un totale di 5.332 posti, ma solo una minima parte di queste accoglienze è effettivamente cominciata; 5 enti hanno ritirato la propria disponibilità e 4 non hanno potuto attivare la convenzione perché avevano messo a disposizione sistemazioni in Basilicata, Calabria e Sicilia, regioni in cui, secondo Protezione civile, “non sussiste una specifica necessità perché non ospitano persone in alberghi o strutture ricettive”.

È probabile che pochi dei posti offerti si trasformino in accoglienze reali per tre diversi motivi: le accoglienze del bando terminano il 31 dicembre; diverse famiglie accolte in albergo sono restie a trasferirsi dopo 5 mesi in altra sistemazione lontana dalla struttura dove hanno vissuto fino a questo momento; infine, gli Enti del Terzo Settore faticano a trovare famiglie disponibili per l’accoglienza domestica, ora che l’emotività dell’inizio del conflitto sta scemando (una parte delle disponibilità date in aprile non è infatti stata confermata in autunno, quando le famiglie sono state nuovamente interpellate dopo mesi di silenzio). Un’altra ragione del “fallimento” nell’attuazione di questa forma di accoglienza sta nel fatto che, nonostante ripetuti appelli e sollecitazioni, non è stato permesso agli Enti del Terzo settore di far rientrare, nei posti finanziabili dal bando, le accoglienze informali già cominciate ben prima che si mettesse in moto il sistema istituzionale. Un sostegno economico e di servizi avrebbe senza dubbio favorito la tenuta di accoglienze domestiche complesse (donne e bambini appena arrivati, che non conoscono l’italiano e non hanno nessuna conoscenza del sistema di servizi del nostro paese). Solo nelle ultime settimane, essendosi ormai profilata l’impossibilità di far partire tutte le accoglienze messe a bando, la Protezione Civile ha aperto a questa possibilità almeno per alcune convenzioni.  In definitiva, la procedura messa in campo sicuramente tutelava la trasparenza dei processi, ma – come ha sottolineato Oliviero Forti di Caritas Italia – in emergenza si deve rispondere con strumenti flessibili per rendere fluidi i processi.

Alla luce dell’evidente flop della modalità del bando, a inizio settembre i 15mila ulteriori posti che avrebbero dovuto essere assegnati con un nuovo bando della Protezione Civile sono invece stati assegnati come posti SAI aggiuntivi. Si pone comunque nuovamente il tema dei lunghi tempi di attivazione.

 

Gli ucraini e gli altri rifugiati: ancora graduatorie di merito?

Un ulteriore importante nodo critico che segna la vicenda, per altri aspetti virtuosa, dell’accoglienza ai profughi ucraini, è l’evidente disparità di trattamento con gli altri migranti forzati. Una disparità che si è palesata fin dal perimetro di attivazione della direttiva sulla protezione temporanea, che è riservata in via esclusiva ai cittadini ucraini (solo quelli usciti dal paese dopo lo scoppio della guerra) e alle persone –sempre fuggite dall’Ucraina dopo il 24 febbraio 2022- che, pur non avendo la cittadinanza ucraina, sono in possesso di permessi di soggiorno permanente o titolari di protezione internazionale. Risultano pertanto esclusi i cittadini di paesi terzi che vivevano in Ucraina con un permesso di soggiorno temporaneo, tra cui lavoratori con contratti a tempo determinato, studenti e richiedenti asilo. L’Unione Europea ha lasciato che fossero i governi nazionali a scegliere se applicare anche a queste categorie di persone l’istituto giuridico della protezione temporanea invece di sottoporli alle procedure ordinarie (complicate e incerte come si è detto) di richiesta di asilo. L’Italia ha scelto l’interpretazione più restrittiva, avallando di fatto l’idea di una diversa meritorietà anche per chi è fuggito dallo stesso conflitto.

Questa visione miope del riconoscimento di protezione ha generato sul confine polacco la paradossale situazione per cui i profughi che arrivano dall’Ucraina vengono accolti mentre i richiedenti asilo che tentano di entrare dalla Bielorussia (soprattutto iracheni e afghani) sono respinti brutalmente. La disparità si manifesta poi all’interno degli stessi sistemi di accoglienza, con un evidente trattamento di favore verso i profughi ucraini; si pensi, ad esempio, all’ampliamento dei posti SAI che è stato riservato a ucraini e afghani – quasi una distribuzione di posti su base etnica – o al riconoscimento di spesa per i minori stranieri non accompagnati, che nel caso di bambini ucraini è molto superiore. Emerge da tutto ciò, plasticamente, un poco edificante scenario di profughi di serie A e di serie B.

 

Conclusioni

La crisi umanitaria generata dal conflitto in Ucraina ha creato un afflusso di profughi di ampie dimensioni che supera la crisi dei rifugiati del 2015-2017. La risposta europea è stata tempestiva e solidale ed è culminata nell’attivazione della procedura di protezione temporanea che ha favorito una diaspora dei profughi verso i paesi dell’Ue in cui essi avevano parenti che potessero sostenerli.  In Italia questa crisi ha innescato un processo di relativa innovazione del sistema, che sarebbe auspicabile potesse trasformarsi in un nuovo modello di accoglienza a beneficio di tutti i migranti che fuggono da conflitti simili a quello ucraino e che raggiungono il nostro paese a volte dopo anni di violenze subite nei paesi in cui sono transitati. Un modello più rispettoso dei diritti dei migranti forzati e sostanzialmente più efficiente, efficace e parsimonioso, soprattutto guardando alla sostenibilità di lungo periodo.

I pilastri fondanti di un’innovazione complessiva, ispirata a quanto messo in campo per l’accoglienza degli ucraini, dovrebbero comprendere almeno tre aspetti: la valorizzazione dell’agency delle persone, la semplificazione delle procedure, un approccio che mira all’inclusione del lungo periodo. Per quanto riguarda l’agency dei migranti è importante dare la possibilità ai profughi di avere voce in capitolo rispetto ai territori in cui stabilirsi, invece di essere smistati come pacchi da una regione all’altra senza tenere in considerazione le possibili reti parentali o amicali, reti che permetterebbero tra l’altro di velocizzare i percorsi di autonomia. Una drastica semplificazione delle procedure burocratiche per il rilascio di documenti e per l’accesso ai servizi permetterebbe invece, da un lato, di alleggerire l’onere burocratico in capo agli enti pubblici, dall’altro di garantire l’esercizio dei diritti. Terzo, l’abbandono definitivo dei centri collettivi sul modello dei CAS (che dovrebbero essere utilizzati esclusivamente per eventuali primissime fasi di emergenza), a favore di un investimento strutturale in un sistema di accoglienza diffuso, con un adeguato numero di posti e con alti standard qualitativi in termini di accompagnamento verso percorsi di integrazione e di autonomia. Svuotare i CAS significa però triplicare le dimensioni del SAI. I bandi della Protezione Civile hanno rafforzato una partnership virtuosa tra pubblico e privato valorizzando le competenze e l’esperienza del terzo settore. Purtroppo, come abbiamo visto l’attuazione ha messo a nudo i limiti della formulazione degli interventi, rendendoli ostaggio della burocrazia. Una lezione che si può trarre da questa vicenda è che “a regime”, in un sistema d’accoglienza capace di superare la logica dell’emergenza permanente la Protezione Civile non dovrebbe essere coinvolta: le Regioni e i Comuni dovrebbero invece recuperare il loro ruolo centrale rispettivamente nel coordinamento e nell’implementazione di quelle che a tutti gli effetti sono misure di welfare locale.

 

[1] CAS e SAI sono le due principali tipologie di centri di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati. Per un approfondimento si rimanda al Social Cohesion Paper  2/2016 e alle note 4/2020 e 3/2021.

 

Bibliografia

Bassoli M. 2022 La politica dell’accoglienza domestica in Italia, in Dossier Statistico Idos 2022, pp. 141-144

Campomori F. 2022 La crisi ucraina e la (ri)organizzazione del sistema di accoglienza: tra lodevoli aperture e preoccupanti disparità di trattamento, in Politiche Sociali/Social Policies, n.2/2022, pp. 325-332

Schiavone G. 2022 L’esperienza italiana dell’accoglienza per gli sfollati dell’Ucraina: un approccio utile a una riforma del sistema di accoglienza? in Dossier Statistico Idos 2022, pp.135-140

 

Per saperne di più:

Situazione dei rifugiati Ucraini https://data.unhcr.org/en/situations/ukraine

Emergenza Ucraina: dati e ordinanze della Protezione Civile https://emergenze.protezionecivile.gov.it/it/umanitarie

Alfonso L. 2022 Profughi ucraini: le norme frenano l’accoglienza di famiglie e Terzo Settore, in Vita, 24 agosto 2022

https://www.vita.it/it/article/2022/08/24/profughi-ucraini-le-norme-frenano-laccoglienza-di-famiglie-e-terzo-set/163834/

 

Scarica la Nota completa in pdf

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Fornisci il tuo contributo!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *