Ae n.213, marzo 2019
In Italia solo il 4% delle abitazioni è in mano pubblica (contro una media Ue del 20%). Mentre cresce il numero di persone sotto sfratto.
La risposta pubblica alla questione abitativa in Italia è storicamente carente. Oggi, che finalmente si comincia a dar risposta ai più elementari bisogni di contrasto alla povertà, le politiche per la casa rimangono la Cenerentola del welfare italiano. Nel 2015, la spesa era pari a 9,6 euro per abitante, molto lontana da Francia (272,2 euro), Germania (206,5 euro), Danimarca (336,3 euro) o Regno Unito (538,13 euro): in nessun altro settore di politica sociale si riscontra un ritardo così elevato rispetto agli altri Paesi europei. L’insufficiente investimento pubblico in questo settore si esprime in due aspetti: la scarsa disponibilità di alloggi pubblici e i magri trasferimenti per il sostegno all’affitto per i nuclei familiari in condizioni disagiate. Per quanto concerne la prima dimensione, il modello di politiche abitative italiane tende a poggiare sull’abitazione di proprietà mentre è presente uno dei più bassi stock di edilizia sociale e pubblica d’Europa. I pochi dati comparabili forniti dall’OCSE mostrano come solo il 4% delle abitazioni in Italia sia in mano pubblica, contro il 36% dei Paesi Bassi, il 22% del Regno Unito e 20% della media UE. I dati di Federcasa mostrano come siano solamente 742mila le cosiddette “case popolari” e molte di queste sono in condizioni precarie e inagibili. Oggi, denuncia “Housing Europe”, solo un terzo di coloro che sono stimati bisognosi trova un posto negli alloggi sociali, mentre le liste di attesa comunali in tutto il Paese contano circa 650mila domande pendenti. Per quanto concerne la seconda dimensione, il sostegno agli affitti attraverso le risicate risorse del Fondo Nazionale per il sostegno alla locazione è andato riducendosi (da circa 360 milioni nel 2001 è sceso a 198 nel 2009) per essere poi completamente svuotato; mentre i diversi fondi introdotti nel 2016-2017 non hanno neppure consentito di tornare ai limitati investimenti pre-crisi. Non stupisce, perciò, che in Italia solo il 3,7% dei nuclei familiari abbia accesso a un affitto agevolato. I bisogni, al contrario, sono cresciuti sempre più rapidamente.
9, 6 euro per abitante, è la spesa pubblica per le politiche abitative in Italia nel 2015. In Francia è 272,2 euro, in Germania 206,5 euro, Danimarca 33,6 euro
La crisi ha esacerbato i problemi esistenti e ha portato a un aumento della domanda di alloggi sociali. Gli sfratti eseguiti sono più che raddoppiati: da 33.768 nel 2005 a 69.250nel 2014 (ministero dell’Interno, 2016). Negli anni seguenti il numero totale di sfratti eseguiti è leggermente diminuito, ma nel 2016 era ancora di 61.718. Inoltre l’Italia ha prestazioni peggiori rispetto alla media europea in tutti e tre i seguenti indicatori di disagio abitativo: la presenza di arretrati sui pagamenti di mutui o canoni (il 4,2% in Italia contro il 3,5% nell’Europa a 28), la percentuale di popolazione che vive in una abitazione “sovraffollata” (27,8% vs 16,6%) e il cosiddetto “grave tasso di deprivazione abitativa” (7,6% vs 3,3%). Tali dati indicano che il tradizionale sistema di sostegno per i bisogni abitativi stia crollando. L’introduzione di nuovi strumenti di politica abitativa, come le sperimentazioni di housing sociale che si sono avviate in alcuni contesti virtuosi negli ultimi anni, sono certo da accogliere positivamente, pur in assenza di finanziamenti, coordinamento e di una visione strategica complessiva. La quasi totale assenza di politiche abitative nei programmi elettorali di tutti i partiti politici per le elezioni legislative del 2018, getta forti dubbi sulla possibilità che l’Italia lanci una riforma globale del sistema nel prossimo futuro.
Questo articolo è stato scritto da Marcello Natili per la rubrica mensile OCIS all’interno di Altreconomia.
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