Ae n.227, giugno 2020

Tassiamo la ricchezza, non il reddito da lavoro.

Un’imposta straordinaria sulle attività finanziarie darebbe slancio alla ripartenza, riducendo il debito. In gioco fino a 200 miliardi di euro

Dopo due mesi di emergenza sanitaria, si comincia, faticosamente, a pensare al futuro. E il dibattito si concentra sempre di più sulle modalità per ripartire e su come limitare l’impatto economico e sociale del Covid-19. A tal riguardo, anche in attesa di comprendere quali saranno gli sviluppi a livello europeo, è indispensabile reperire risorse adeguate. Secondo un recente rapporto curato dall’Associazione italiana private banking (Aipr) e dal Censis, contando biglietti, monete e depositi, titoli obbligazionari, quote di fondi comuni e riserve assicurative e garanzie standard, nel 2018 il totale delle attività finanziarie detenuto dalle famiglie italiane era pari a 4.217 miliardi di euro: 2,5 volte circa il Pil italiano. Si tratta, evidentemente, di una quantità ingente di risorse, frutto di anni di risparmi, che rappresenta il risultato di uno sforzo personale e familiare meritevole di rispetto e di salvaguardia. Tuttavia, nell’attuale contesto emergenziale, un contributo straordinario -che pesi su tutta la comunità politica italiana, in modo proporzionale- costituirebbe una risposta collettiva che tradurrebbe lo slogan “andrà tutto bene” in un impegno unitario di grande rilievo pratico e simbolico. Accettando un principio di solidarietà per il quale è indispensabile reperire risorse in tempi rapidi, tre sono i possibili scenari che muovono da diverse aliquote di tassazione: 1%, 3%, 5%. Con un’imposta straordinaria dell’1% si riuscirebbe a recuperare approssimativamente una cifra di 40 miliardi di euro, un contributo che conterrebbe la crescita del debito italiano. Un’imposta straordinaria del 3% (per un gettito di circa 120 miliardi) consentirebbe di tamponare l’emergenza, e facilitare la ripresa nel corso del secondo semestre 2020 e del primo semestre 2021. Un’imposta straordinaria del 5% (gettito previsto di 200 miliardi circa) potrebbe dare molto più slancio alla ripresa, rendendo possibile anche una riduzione del debito pubblico, che verrebbe senz’altro molto apprezzata dai mercati. Tale contributo straordinario consentirebbe anche di avviare un rilancio dell’economia italiana, a partire da interventi in linea con gli obiettivi dello sviluppo sostenibile.

4.217 miliardi di euro:

la ricchezza finanziaria delle famiglie
italiane. Fonte: Associazione italiana private banking

 

Se mai questa crisi servirà a qualcosa, dovrebbe servire a rafforzare la convinzione che la crescita economica o è compatibile con l’obiettivo della lotta al cambiamento climatico, o non è. Il contributo straordinario sotteso ai tre scenari di solidarietà condivisa richiede una discussione molto più approfondita sotto il profilo tecnico rispetto a quanto non si possa fare in questa sede; tuttavia, è chiaro fin da ora che potrebbe costituire una risposta che enfatizzerebbe un principio di giustizia sociale e la condivisione dello sforzo necessario per la ripresa: anche nel caso dello scenario meno ambizioso, si dimostrerebbe che l’Italia può (cominciare a) farcela da sola. Ciò non significa rinunciare ad un possibile contributo europeo, ma piuttosto attenuarne la rilevanza. Inoltre, l’adozione della decisione suggerita in questa sede fornirebbe un capitale politico al governo italiano non di secondaria importanza: eviterebbe di contrarre (o perlomeno conterrebbe) ulteriore debito, riducendo la probabilità di un futuro incremento del carico fiscale sui redditi da lavoro.

Questo articolo è stato scritto da Paolo Graziano per la rubrica mensile OCIS all’interno di Altreconomia.

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